Ognuno di noi compie 15-20 respiri al minuto, cioè 21.000-28.000 volte in un giorno. Il respiro è per molti un gesto scontato. Per le persone affette da Fibrosi polmonare idiopatica (Ipf), una malattia rara e progressiva del polmone, che in Italia riguarda circa 6000 – 9000 adulti, ogni respiro, invece, è una conquista. Fino a pochi anni fa la loro malattia era misconosciuta, le diagnosi poche e tardive, l’unica speranza di arrestare questo male affidata al difficile traguardo del trapianto: erano pazienti orfani. Oggi lo scenario inizia a cambiare e per queste persone il futuro ha un più ampio respiro. Da domani, infatti, sarà regolarmente disponibile il pirfenidone (Esbriet) di InterMune, il primo farmaco approvato in grado di rallentarne la progressione se preso in fase lieve o moderata della malattia.
L’arrivo di Esbriet, farmaco ad uso orale, sarà accompagnato anche dall’avvio di due importanti progetti: il Programma PerFect, che garantisce ai pazienti, grazie alla telemedicina, la consulenza degli specialisti più esperti, e il programma di assistenza domiciliare Ipf Care. Due progetti che, insieme alle molte iniziative organizzate dalle associazioni di riferimento, che hanno il culmine a Settembre, nella settimana mondiale dedicata alla malattia (Ipf World Week), mettono il paziente e la sua famiglia al centro di un approccio globale: un respiro collettivo che nasce e cresce per sostenere chi costantemente vive con la ‘fame d’aria’. I progetti, sostenuti da InterMune, l’azienda biotech che ha sviluppato e produce Esbriet, sono stati presentati questa mattina a Milano nel corso di una conferenza stampa che ha visto la partecipazione dei medici pneumologi e delle associazioni pazienti di riferimento e che si è aperta con la proiezione di un video costruito interamente sulle testimonianze di chi vive la malattia e di chi, tramite il trapianto, l’ha vinta.
Il focus dell’incontro sono state le necessità dei pazienti e dei loro familiari di fronte a questa malattia ancora in buona parte sconosciuta e dal carico psicologico fortissimo, un male che “quando entra in una famiglia sconvolge tutti i ritmi e cambia le prospettive”, come ha spiegato Giovanna Corder, una donna colpita dalla forma familiare della malattia, che le aveva portato via il papà, e che da dieci anni vive grazie ad un polmone nuovo, “un dono enorme – ha spiegato – Arrivare al traguardo è stato faticoso, ma ne è valsa la pena”. Oggi Giovanna fa parte dell’Unione Trapiantati al Polmone, un’associazione con base a Padova che si occupa di informare e sostenere coloro che hanno necessità di questo ‘dono di vita’ e coloro che l’hanno già avuto. Molti di questi pazienti vengono da una battaglia vinta contro la Fibrosi Polmonare Idiopatica. Il trapianto però non è accessibile a tutti, occorre non aver superato i 65 anni ed occorre essere in buone condizioni fin quando, si spera, arriverà un donatore: in tal senso Esbriet ( pirfenidone) , rallentando la progressione del danno polmonare, potrà essere utile a chi vive in questa attesa.
I progetti PerFect e Ipf Care
Qualunque sia la loro situazione specifica è necessario che i pazienti affetti da Fibrosi polmonare idiopatica possano trovare una rete in grado di sostenerli dal momento della diagnosi e nel prosieguo della battaglia con questa malattia.
“Le reazioni alla diagnosi sono le più varie – ha spiegato Venerino Poletti, Direttore U.O. Pneumologia Ospedale G.B. Morgagni - L. Pierantoni - ognuno è diverso, e questo vale per chiunque ha una malattia, ma in questo caso dipende anche da quale prospettiva si ha: terapia, trapianto o solo cure palliative. Anche il fatto di avere una forma sporadica o familiare fa differenza. Nella forma familiare alla preoccupazione per se stesso si aggiunge quella che un figlio possa ammalarsi. Sono pazienti diversi dagli altri perché hanno già visto e vissuto la malattia da vicino”.
La diagnosi però non sempre è un traguardo facile. “Resta un punto problematico per questi pazienti. Quando arriva è spesso in ritardo e preceduta da altre diagnosi errate. Rimane uno dei principali problemi da affrontare”. Così Carlo Vancheri, Professore Ordinario di Malattie Respiratorie - Università di Catania ha introdotto uno dei problemi oggi più rilevanti per i pazienti Ipf e la risposta che ora viene lanciata attraverso il Progetto Perfect.
“Per una diagnosi corretta – ha spiegato Vancheri - il ‘gold standard’ è rappresentato dalla possibilità di mettere attorno a un tavolo il clinico capace di riconoscere i sintomi del paziente, un radiologo capace di interpretare i segni sulla Tac ed un patologo che sappia leggere il materiale bioptico. Sviluppare queste competenze non è facile e richiede anni. Questo spiega perché oggi siano pochi i centri che hanno tutte queste competenze insieme. Il Progetto PerfectÒ, che ora parte a livello sperimentale coinvolgendo circa una cinquantina di centri prevede un’attività di ‘consulenza’ che avviene per via telematica, prevede la costituzione di una rete tra centri Esperti e non, in questo senso possiamo pensarlo come un progetto di telemedicina. Ai medici dei centri territoriali basterà inviare le immagini radiologiche o le foto dei preparati istologici via web, avendo la certezza che dall’altra parte i colleghi li esamineranno in tempi brevi mandando loro delle risposte. Il paziente ha il vantaggio di non doversi muovere né cambiare il centro a cui fa riferimento, i medici quello di poter accrescere le proprie competenze”.
La diagnosi è certamente il primo fondamentale passo perché il paziente possa cominciare un percorso terapeutico adeguato, soprattutto ora che è disponibile un farmaco utilizzabile se preso prima che il danno sia troppo grave.
“Diagnosticare questa malattia il prima possibile è davvero fondamentale. Prima abbiamo una diagnosi, più sono le opzioni di trattamento che possiamo offrire ai pazienti – ha spiegato infatti Carlo Albera, Responsabile dell'ambulatorio per le interstiziopatie Polmonari e Malattie Rare del Polmone dell’ Università degli Studi di Torino - Esbriet (pirfenidone), come sappiamo, è stato approvato per le forme di Ipf lievi e moderate, per pazienti dunque che hanno ancora una qualità di vita discreta. Il farmaco può essere somministrato anche a pazienti in lista d’attesa per il trapianto, Purchè nei criteri di indicazione. Ricordiamo però che il trapianto viene eseguito in meno del 5% dei casi, perché il limite biologico oltre al quale i rischi superano i benefici è di circa 65 anni, esattamente l’età media della diagnosi Ipf. Il pirfenidone rappresenta dunque una possibilità anche per tutti quei pazienti che non possono essere in lista d’attesa per il trapianto”.
Dal momento in cui un paziente, dopo aver avuto la diagnosi, entra in terapia si avvia una nuova fase, quella in cui è necessario supportarlo dal punto di vista medico e anche psicologico nella sua quotidianità. “Al momento uno dei problemi maggiori – ha spiegato infatti Poletti - è l’interruzione della continuità terapeutica, cioè quei pazienti di cui non sappiamo più nulla e che non si presentano alle visite successive. La regolarità dei controlli è importante. Solo mantenendo un contatto costante tra il paziente e lo specialista si può ridurre questo problema”. Per aiutare i pazienti anche in questo ,nel momento in cui entrano in terapia, è nato il secondo progetto supportato da InterMune, l’Ipf Care, un programma di assistenza domiciliare che mette a disposizione del paziente e delle famiglie infermieri formati per affrontare le difficoltà che questa patologia pone in essere.
“Questo progetto prevede che lo specialista, l’infermiere e la famiglia si confrontino per creare un programma personalizzato – ha spiegato Luca Richeldi del Dipartimento per le Malattie Rare del Polmone Università di Modena - Questo tipo di intervento è efficace solo se costruito intorno al paziente e al suo nucleo familiare. Il ruolo dell’infermiere sarà quello di interfacciarsi con il paziente e con il medico, a cui potrà riferire tempestivamente eventuali difficoltà. Non meno importante, però, è il supporto umano che il paziente e la famiglia ricevono. La Ipf è certamente una malattia grave dal punto di vista fisico ma le sue ripercussioni psicologiche non sono da meno. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che sono alla fine della loro vita lavorativa o che sono appena andate in pensione. Aspettano da anni quel momento e quando arriva si trovano a dover rivedere i loro piani. Chi pensava di poter dare una mano nel gestire i nipoti si trova ad ‘essere un peso’ per i figli. È per tutti questi aspetti che la persona con Ipf ha bisogno di un’assistenza che tenga in dovuta considerazione anche il carico psicologico ed emotivo”.
Il ruolo delle Associazioni dei pazienti
A sostenere i pazienti e i loro familiari anche da questo punto di vista collaborano inoltre le associazioni pazienti, in Italia ce ne sono almeno cinque che con diverse iniziative sostengono la ricerca, organizzano gruppi di supporto che coinvolgono anche i medici – come quello iniziato la scorsa settimana a Modena e organizzato da Ama Fuori dal Buio onlus – o che si occupano di seguire i pazienti a livello locale, fornire assistenza per le pratiche burocratiche e sensibilizzare l’opinione pubblica. Negli ultimi anni la forza e il numero di queste associazioni è molto cresciuto, tanto che nel 2012, per la prima volta, l’Italia ha partecipato con delle proprie iniziative alla Ipf World Week, la settimana mondiale dedicata alla patologia. Quest’anno la settimana mondiale si svolgerà dal 21 al 29 settembre e vedrà certamente un numero di iniziative superiore, per numero e partecipazione, a quella, già molto soddisfacente, dello scorso anno.
Il ruolo delle associazioni è stato riconosciuto anche dai medici, che in molti casi partecipano alle attività delle stesse e ne compongono i comitati scientifici.
Responsabilità, sostenibilità, ricerca: le parole chiave della ‘vision’ di Intermune
Sostegno alla diagnosi, all’assistenza dei pazienti nella vita quotidiana e alle attività di sensibilizzazione delle associazioni pazienti sono, insieme al ruolo attivo nella ricerca scientifica, i punti su cui si fonda la ‘vision’ di InterMune, azienda che ha fatto delle malattie rare il suo ambito privilegiato di azione, con un occhio molto attento tanto alla responsabilità verso i pazienti quanto alla sostenibilità del sistema. “Lavorare sulle malattie rare è una scelta, ma anche una forte responsabilità. Chi sceglie questa strada sa che ci sono pazienti in attesa quotidiana di una speranza; noi abbiamo il dovere, nei limiti della correttezza normativa, di dare loro delle risposte, il prima possibile. Nel nostro caso questo ha significato, nel periodo tra la registrazione di Esbriet (pirfenidone) da parte dell’Agenzia Europea (Ema) e quella dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), fornire gratuitamente per oltre un anno la terapia a molti pazienti a totale nostro carico secondo una specifica tipologia di uso compassionevole, il Named Patient Program”. Così, infatti, David Ponzecchi, General Manager di InterMune, spiega la visione dell’azienda rispetto a valore e sostenibilità della propria offerta terapeutica.
“L’Italia – ha spiegato - è da molti anni attraversata una forte e profonda crisi. La rimborsabilità del nostro farmaco prevede una forma di risk-sharing, simile al "Payment for Performance". Esbriet, infatti, verrà rimborsato solo nel caso in cui i pazienti ottengano un risultato clinico in linea con le aspettative di migliore efficacia terapeutica. Considero questo modello come una via per soddisfare la necessità dei pazienti ad avere accesso a nuove terapie e per il Sistema Sanitario Nazionale e Regionale per meglio destinare le risorse a disposizione. Lo considero un modo di fare la nostra parte per il bene comune. Parimenti, mi aspetto che le Istituzioni lavorino al meglio per garantire un accesso rapido alla nuova terapia in ciascuna Regione perché è forte l’attesa per questa nuova speranza terapeutica.