In una malattia priva di cura, dopo trent’anni di ricerche la comunità scientifica non è ancora in grado di dare risposta alla domanda che quanti hanno a che fare con pazienti distrofici si pongono: “L’esercizio muscolare è utile o dannoso per i malati di distrofia?”. L’esercizio fisico non è né consigliabile, né sconsigliabile. Amaramente si deve dire che non si sa. Il dato emerge da una revisione sistematica pubblicata su
PLOS ONE, che passa in rassegna i risultati degli studi clinici disponibili in materia.
Un’aura di incertezza circonda la tesi secondo cui la ginnastica porterebbe beneficio ai pazienti distrofici, mettendo in guardia i clinici circa le relative raccomandazioni: come per chi non è distrofico, la ginnastica potrebbe aiutare i pazienti distrofici a mantenere il tono muscolare e a conservare forza o, al contrario, potrebbe affaticare oltre misura i già deboli muscoli e condurre a un deperimento cellulare precoce. A oggi i pazienti con distrofia muscolare si trovano a decidere se intraprendere o continuare percorsi che includono sessioni di esercizio muscolare solo sulla base del parere di esperti o sulla scorta dell’esperienza maturata.
La revisione sistematica pubblicata su
PLOS ONE (
Silvia Gianola, Valentina Pecoraro, Simone Lambiase, Roberto Gatti, Giuseppe Banfi, Lorenzo Moja. Efficacy of muscle exercise in patients with muscular dystrophy: a systematic review showing a missed opportunity to improve outcomes. URL Upon publication: http://dx.plos.org/10.1371/journal.pone.0065414) ha considerato 5 trial clinici e 2 trial ongoing, che hanno coinvolto un totale di 242 partecipanti. Tutti gli studi hanno diviso i partecipanti in due gruppi, costituiti rispettivamente da pazienti sottoposti a un programma di esercizio muscolare e da pazienti che non ne praticavano. Il risultato complessivo di questi studi è compatibile sia con effetto positivo che negativo dell’esercizio muscolare.
“Il primo studio è del 1978” dice la Dott.ssa Silvia Gianola, fisioterapista dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi e autrice della revisione. “Da allora in Europa molto meno dell’1% dei malati con distrofia sono stati inseriti in sperimentazioni per rispondere a questa domanda, negando un chiaro e anticipato riconoscimento dei benefici o rischi dell’esercizio. Il risultato è che quando ci chiedono se è utile fare esercizio in questi pazienti, non sappiamo cosa rispondere.”
Un segnale di come la ricerca sia ancora lontana dalle domande e dai bisogni dei pazienti e di come il sistema dia spesso la priorità a domande dal limitato impatto clinico. “Le famiglie dei pazienti con distrofia investono molte energie e risorse per far fare ai loro cari ginnastica, e non sanno se fanno del bene. I gruppi che sostengono la ricerca per la distrofia muscolare investono milioni con la speranza di promuovere cure e assistenze migliori”, sostiene Lorenzo Moja, ricercatore del Network Cochrane Italiano e co-autore della ricerca, “eppure a volte non siamo in grado di dare risposte semplici a quesiti basilari. Si perde l’orientamento e si inseguono ipotesi, magari affascinanti, ma lontane dalla quotidianità dei pazienti”.
Per questo, richiamando il “Principio di Alessandro Liberati” (
http://associali.it), i ricercatori ribadiscono l’impellente richiamo a una migliore strategia di governance della ricerca per le malattie neuromuscolari tramite un formale e sostanziale impegno da parte di tutte le parti in gioco (pazienti, associazioni, ricercatori e sistema sanitario) per discutere e condividere l’agenda della ricerca. “Ognuno che ha dedicato delle energie per aiutare i pazienti con questa malattia dovrebbe chiarire quali sono le proprie priorità” dice ancora la Dott.ssa Gianola “e ridiscuterle con gli altri attori. Questo esercizio potrebbe aiutarci a vedere le proprie priorità all’interno di una più ampia prospettiva, rendendo le scelte più trasparenti e efficienti. E potremmo accompagnare questi pazienti a essere maggiormente protagonisti, partecipando a trial multicentrici che rispondano alle loro domande.”