Lo scorso maggio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto per la prima volta l’epatite virale come un problema sanitario di impatto globale e ha approvato la prima risoluzione sull’epatite, per guidare lo sviluppo di un forte sistema di collaborazione tra gli Stati nella lotta a questa priorità sanitaria.
L’epatite C, in particolare, è per l’Oms un’emergenza sanitaria globale con i suoi 180 milioni di persone infette nel mondo (oltre 1 milione soltanto in Italia).
L’infezione, infatti, se non curata in tempo può evolvere in cirrosi e causare il tumore del fegato, una patologia che colpisce ogni anno in Italia 10 mila persone, nel 60 per cento dei casi positivi all’Hcv.
Ciò che più preoccupa dell’epatite C è il suo decorso silenzioso: molte delle persone che hanno contratto il virus non si accorgono di avere l’epatite C per molti anni dopo l’infezione. In molti casi la diagnosi avviene addirittura dopo 20 anni, quando l’epatite C è ormai in stadio avanzato e ha causato gravi conseguenze.
Eppure questa “epidemia silenziosa” può essere sconfitta: le più recenti evidenze scientifiche e gli studi effettuati sul trattamento antivirale a base di peginterferone alfa-2a e rivabirina hanno confermato che la terapia è in grado di portare a una completa guarigione in oltre il 60% dei casi. Se si interviene in tempo, quindi, il virus dell’epatite C si può eliminare completamente, evitando il contagio e prevenendo l’insorgere del tumore.
“Diagnosticare l’infezione nei suoi primi stadi è un fattore chiave per contrastare la progressione della malattia e le sue gravi conseguenze”, ha spiegato Massimo Colombo, ordinario di Gastroenterologia all’Università degli studi di Milano.
“Lo sviluppo scientifico ha portato a notevoli progressi in ambito terapeutico, destinati a cambiare il futuro scenario della lotta all’epatite C. In futuro la ricerca porterà all’introduzione di farmaci antivirali diretti, da associare all’attuale terapia duale a base di peginterferone e ribavirina”, ha proseguito. “La prospettiva è quella di agire per individuare le infezioni asintomatiche in stadio precoce e bloccarle prima della loro evoluzione con un auspicabile e realistico calo dell’incidenza dei tumori epatici”.
Il trattamento tempestivo consente inoltre un netto miglioramento della qualità di vita dei pazienti. “Spesso l’epatite C rivoluziona la vita dei pazienti e dei loro familiari”, ha spiegato Patrick Marcellin professore di Epatologia all’Università di Parigi. “Molti pazienti, dopo la diagnosi, vivono sensazioni di sconforto, rabbia, depressione e ricercano l’isolamento per paura del contagio. Molte di queste conseguenze derivano da informazioni scorrette sulle cause dell’infezione. Per evitare che l’epatite C sconvolga la vita dei pazienti e delle loro famiglie è importante fornire loro assistenza e informazioni chiare. Le persone affette da epatite C possono continuare a svolgere tutte le normali attività quotidiane. È chiaro che un trattamento precoce, oltre a garantire maggiori possibilità di cura per i pazienti, impatta positivamente anche sulla loro qualità di vita”, ha concluso Marcellin.