Dopo l’approvazione in conferenza Stato-Regioni a
dicembre, il Piano Nazionale per la malattia diabetica è stato pubblicato la
settimana scorsa in Gazzetta Ufficiale, ed è dunque ormai legge. Risposta alla risoluzione del Parlamento europeo con cui il 14 marzo 2012 si chiedeva agli Stati membri di dotarsi di uno strumento codificato e ufficiale contro la malattia, il Piano sancisce un importante passo in avanti nella lotta al diabete, in diversi modi. Abbiamo chiesto a
Umberto Valentini, presidente di Diabete Italia, consorzio che riunisce tutte le Società scientifiche, Associazioni di pazienti e operatori professionali del mondo del diabete, e tra i primi artefici del Piano, di raccontarci quali sono i cardini su cui esso si fonda.
“Quello del diabete sta diventando sempre più un problema di sostenibilità, oltre che di salute pubblica”, ci ha spiegato Valentini, contattato telefonicamente. “Secondo i dati Oms siamo arrivati oggi ai livelli di diffusione della malattia che prevedevamo per il 2025. Le cause sono molteplici, da una parte l’invecchiamento generale della popolazione, dall’altra – soprattutto – la diffusione di stili di vita sbagliati, ma la conseguenza è che ad oggi il diabete è una delle quattro patologie più costose al mondo. Questo vuol dire che per forza di cose le risorse con cui far fronte al problema si stanno riducendo, soprattutto in un periodo di crisi come questo, e che in qualche modo il diabete sta probabilmente ‘erodendo’ anche le risorse che sarebbero state destinate ad altri problemi di salute pubblica. Ben presto se le cose non cambiano tutto ciò diventerà insostenibile e per questo le istituzioni internazionali, Commissione europea, Onu e Oms si sono attivate per sollecitare gli Stati”.
Soprattutto, perché la malattia diabetica è abbondantemente prevenibile. “Il 60% dei pazienti potrebbe evitare di diventare diabetico per i prossimi dieci anni semplicemente dimagrendo 5 kg e facendo i 30 minuti di attività fisica giornaliera consigliata”, ha continuato. “Ma oltre a ridurre il numero di persone che diventano diabetiche, altro fattore importante è quello della prevenzione delle complicazioni più gravi: il trattamento di una malattia diabetica senza complicanza impiega molte meno risorse, e i pazienti hanno una qualità e un’aspettativa di vita molto migliore. Il piano dunque vuole fare proprio questo, prevenire, oltre che – naturalmente – continuare a curare ad alto livello”.
Per far sì che le terapie e l’assistenza siano le migliori possibili, il piano contiene alcuni accorgimenti. “Presenta una parte generale e alcune parti specifiche, per risolvere alcune difficoltà particolari che riguardano la patologia o alcuni ambiti precisi come il diabete in gravidanza o in età evolutiva”, ha spiegato ancora Valentini. “Il punto cruciale da cui si è partiti è che un paziente deve sarà curato in maniera diversa a seconda che la malattia sia acuta o cronica, o a seconda che ci siano complicazioni o meno. Il Piano vuole fare proprio questo, adattare la cura ai bisogni del paziente. Ma soprattutto, vuol fare sì che ci sia una rete tra i livelli assistenziali: questo vuol dire che a prescindere da quale sia la gravità del paziente quando si rivolge al medico e a prescindere da quale sia il professionista cui si rivolge per primo, gli obiettivi da raggiungere e le modalità di trattamento devono essere chiari e ci deve essere una comunicazione impeccabile tra i diversi attori del percorso assistenziale”.
E oltre a questo devono esistere degli indicatori che possano misurare l’efficacia delle cure stesse. “Ad esempio, noto che la cancrena diabetica è la prima causa di amputazione di arti è utile censire quante persone subiscono questo intervento, che tra l’altro è anche facilmente ‘tracciabile’: sapere quante persone si devono sottoporre a un’operazione di amputazione per cancrena diabetica dà una misura della qualità della cura, ovvero se diminuiscono gli interventi vuol dire che in qualche modo sta migliorando la cura”.
Infine, cruciale è il ruolo assegnato alle associazioni di volontariato e dei pazienti. “In Italia esistono più di 300 associazioni che si occupano di diabete, che hanno sempre più un ruolo cruciale di rappresentanza dei bisogni della persona diabetica”, ha continuato il presidente di Diabete Italia. “Per quanto preparato il medico non vive la malattia in prima persona. Per questo c’era necessità di inserire nel processo decisionale chi vede la patologia più a 360 gradi e quindi sa anche qual è il reale accesso alle cure, la loro qualità, così come qual è la vera qualità di vita dei pazienti diabetici. Insomma, si è tentato di mettere la persona diabetica al centro di questo Piano Nazionale”.
Ora tutto sta a vedere se il piano verrà effettivamente applicato e in che modo. “Saranno le regioni ad occuparsi dell’applicazione, e probabilmente avremo delle difficoltà, soprattutto in alcuni posti dove ci sono più problemi. È possibile che ci saranno – come in altri casi è successo – differenze a livello nazionale”, ha concluso Valentini. “Viviamo in un paese in cui le cose vengono scritte, ma poi abbiamo difficoltà ad applicarle. Speriamo non sia questo il caso”.
Laura Berardi