“Sareste più tranquilli a essere operati da un dottore che ha studiato la teoria solo sui libri o da uno che ha anche fatto pratica su un vero corpo?”. Questa la domanda provocatoria che fa
Giovanni Botti, presidente dell'Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica (Aicpe), per chiedere alla comunità scientifica italiana e alla società in generale di infrangere un tabù presente solo del nostro paese: quello della donazione del corpo a fine scientifico. La pratica è infatti consolidata all'estero, ma dai noi praticamente sconosciuta, con conseguenze – a quanto dicono gli esperti Aicpe – molto negative sulla formazione dei medici.
Il tema della donazione dei cadaveri in Italia è un argomento 'sommerso': nessuno ne parla e nessuno la fa. Senza un motivo apparente, visto che si tratta di una pratica altrove perfettamente legale, sostenuta anche dalla Chiesa e utilizzata regolarmente con enormi benefici. “È ora di iniziare a parlarne e a informare la gente. Bisogna sfatare false convinzioni e credenze per colmare il divario, anzi il baratro, che c'è tra noi e gli altri Paesi”, afferma sicuro Botti.
Anche se a sollevare il problema è l'associazione di categoria dei chirurghi plastici estetici, la questione è più ampia e riguarda tutti gli ambiti della chirurgia. “Oggi in Italia aspiranti chirurghi e medici affermati che vogliono imparare tecniche nuove o fare pratica, sono costretti ad andare all'estero per seguire corsi in cui si può operare sui cadaveri”, ha spiegato il presidente di Aicpe. “Recentemente, diversi centri italiani hanno iniziato a proporre dei corsi con dissezioni di corpi: tuttavia questi devono importarli dall'estero. Dopo l'utilizzo si restituiscono, non senza problemi di tipo logistico-organizzativo: è di qualche giorno fa la notizia di 18 teste bloccate alla dogana di Chicago di ritorno da un corso scientifico a Roma”.
In entrambe i casi i costi lievitano, e la possibilità di accesso è limitata. “Il problema si potrebbe risolvere in modo semplice: sensibilizzando la gente sull'importanza di donare il proprio corpo alla scienza, una possibilità che spesso è del tutto sconosciuta. E creando strutture e centri organizzati per gestirli in modo ottimale, come già avviene per la donazione di organi”, ha aggiunto Botti.
Di idea simile anche
Claudio Clemente, presidente della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia diagnostica (Siapec): “Importantissimo è il lato della comunicazione e in un certo senso della ‘pubblicità’ alla pratica della donazione, visto che i cittadini in media non conoscono questa possibilità, e dunque non pensano a quanto potrebbe essere importante donare il proprio corpo a scopo scientifico e didattico. È evidentemente un problema culturale, e dunque si potrebbe pensare a delle campagne informative, come quelle già attive per la donazione e il trapianto di organi”. Un po' come accade all'estero.
Negli altri paesi, infatti, donare il corpo per il training medico è una prassi comune, come da noi lo è la donazione di sangue o di organi: “Anche nella donazione del corpo valgono gli stessi principi: i cadaveri umani sono utilissimi per l'attività scientifica, per lo studio anatomico e l'attività chirurgica. Tuttavia, parlare di donazione degli organi è socialmente accettato e considerato un gesto di generosità, mentre quello dei cadaveri resta un argomento tabù”, ha concluso poi Botti.