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QS Edizioni - martedì 17 settembre 2024

Scienza e Farmaci

Vasculiti ANCA-associate: come ridurre infezioni e ospedalizzazioni

immagine 12 settembre - Le vasculiti ANCA-associate vengono trattate con corticosteroidi e immunosoppressori, una terapia che espone il paziente a un maggior rischio di infezioni, la prima causa di mortalità nel primo anno di malattia. A giugno è stata annunciata la rimborsabilità di avacopan, un farmaco che permette di ridurre l’uso di corticosteroidi e il rischio di infezioni

A giugno di quest’anno è stata annunciata la rimborsabilità di avacopan, un inibitore selettivo del recettore del complemento C5a, C5aR1, per il trattamento delle due principali forme di vasculiti ANCA-associate (AAV): la granulomatosi grave con poliangioite (GPA) e la poliangioite microscopica (MPA). Il farmaco viene somministrato in regime di combinazione con rituximab o ciclofosfamide. Gli esperti sostengono, sulla base dei risultati dello studio di fase III ADVOCATE che ha portato all’approvazione del farmaco, che l’uso di avacopan permette di ridurre le complicanze associate ai corticosteroidi, in particolare le infezioni che sono causa di ospedalizzazione e mortalità tra i pazienti.

Cosa sono le vasculiti ANCA-associate

“Le vasculiti ANCA-associate sono un gruppo di malattie rare, infiammatorie, autoimmuni che colpiscono i vasi sanguigni di piccolo e medio calibro e sono caratterizzate dalla presenza di anticorpi anti-citoplasma dei granulociti neutrofili presenti nel sangue di pazienti affetti”, spiega Gian Domenico Sebastiani, Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso l'Ospedale di Alta Specializzazione San Camillo in Roma e Presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR).



Di questo gruppo di malattie fanno parte la GPA, “una vasculite necrotizzante che colpisce soprattutto le vie respiratorie superiori e inferiori ma che può interessare anche i reni, il sistema nervoso e altri organi”, e la MPA, che “colpisce prevalentemente i piccoli vasi dei reni e dei polmoni, causando infiammazione e danni a questi organi”.

La diagnosi

La diagnosi nasce dal sospetto clinico, come osserva il reumatologo: “il paziente presenta sintomi quali febbre; interessamento renale testimoniato da incremento della creatinina e presenza di proteinuria; manifestazioni polmonari con dispnea e tosse, e all’imaging si osservano quadri che possono simulare una polmonite o un’alveolite emorragica”. La diagnosi viene confermata dalla presenza di anticorpi ANCA, in particolare i PR3 e gli MPO. Sebastiani aggiunge che la biopsia dei tessuti degli organi colpiti, come il polmone, il rene, le vie aeree superiori, è spesso cruciale per confermare la diagnosi e permettere la gestione di queste vasculiti.

Occorre una gestione multidisciplinare

La gestione delle vasculiti ANCA-associate è demandata al reumatologo, che è lo specialista di riferimento. Tuttavia, poiché si tratta di patologie complesse, che interessano diversi organi, è necessario un approccio multidisciplinare, come sottolinea l’esperto. “Il reumatologo deve collaborare strettamente con altri specialisti, come il nefrologo, per le complicanze renali, lo pneumologo per il coinvolgimento polmonare o lo specialista otorino per le manifestazioni a carico delle vie aeree superiori. La collaborazione multidisciplinare è fondamentale per una diagnosi accurata e tempestiva e un trattamento ottimale del paziente”.

Il coinvolgimento renale

Il rene è uno degli organi più colpiti, viene interessato circa nell’80% dei casi di GPA e MPA e il suo coinvolgimento è associato a una prognosi peggiore, come osserva Loreto Gesualdo, Direttore della Struttura Complessa di Nefrologia, Dialisi e Trapianto presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari e Professore Ordinario di Nefrologia presso l’Università degli Studi di Bari.
Il nefrologo sottolinea che una diagnosi precoce è necessaria per iniziare tempestivamente il trattamento ed evitare che la malattia porti a insufficienza renale cronica.

“Al momento di una diagnosi di vasculite ANCA-associata bisogna indagare la presenza di un danno renale e intervenire precocemente per prevenire l’evoluzione di tale danno verso la fibrosi e la sclerosi, che portano il paziente a dipendenza dialitica e al trapianto”, dice Gesualdo.
Le recenti linee guida internazionali KDIGO hanno riconosciuto il ruolo di avacopan nella gestione dei pazienti con danno renale, come ricorda l’esperto: “gli inibitori del complemento ora disponibili anche in Italia permettono di ridurre l’uso di corticosteroidi, e quindi dei loro effetti collaterali”.

Le terapie

I corticosteroidi sono in effetti la terapia principalmente usata nel trattamento sia delle forme più gravi sia in quelle meno gravi di malattia come spiega Lorenzo Dagna, Direttore dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare presso l'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore associato di Medicina Interna all'Università Vita-Salute San Raffaele.

“L’estensione della malattia e il coinvolgimento di organi vitali ci danno indicazioni sulla gravità della malattia”, dice Dagna. “Quando il paziente non presenta manifestazioni gravi con danno d'organo maggiore, la terapia di prima scelta si basa sull'impiego di una dose adeguata di glucocorticoidi in combinazione con un farmaco ad azione immunosoppressiva, che permette di risparmiare nella dose generale di glucocorticoidi. I farmaci più utilizzati per questa tipologia di pazienti sono il metotrexato o il rituximab. La dose di corticoidi viene poi scalata e si cerca di proseguire solo con gli immunosoppressori. In caso di malattia grave si procede con glucocorticoidi e con l'utilizzo precoce di rituximab o ciclofosfamide. Per il mantenimento della remissione viene usato in genere il rituximab o immunosoppressori come azatioprina, metotrexato e micofenolato mofetile”.

Avacopan trova spazio in questo contesto come farmaco che favorisce la remissione permettendo una riduzione dell’uso dei corticosteroidi. “Studi clinici hanno dimostrato la capacità di avacopan di contribuire a indurre la remissione, permettendo una più rapida riduzione del glucocorticoide”.

Ridurre le infezioni causate dalla terapia

Ridurre la dose di glucocorticoidi è fondamentale poiché le infezioni, dovute proprio a un abbassamento delle difese immunitarie indotto dalle terapie, sono la prima causa di mortalità nel primo anno di malattia, come osserva Carlo Salvarani, Direttore della SC di Reumatologia, Ospedale IRCCS S. Maria Nuova di Reggio Emilia, Direttore della Scuola di specializzazione di Reumatologia dell’Università di Modena-Reggio Emilia.

“Le infezioni, batteriche o virali, rappresentano circa il 40% delle cause di mortalità e quindi è fondamentale ridurle”, dice l’esperto. “Queste infezioni sono in parte dovute alla terapia farmacologica, perché l'associazione tra ciclofosfamide, rituximab più steroide determina un’immunodepressione e incrementa il rischio infettivo. In particolare la terapia steroidea è un fattore che incrementa il rischio di infezioni. Per questa ragione dobbiamo ridurre l'esposizione al cortisone il più possibile, riducendo sia i dosaggi sia la durata della terapia steroidea”. Salvarani aggiunge che uno studio su una nuova molecola, avacopan, durato un anno, ha evidenziato una riduzione del numero delle infezioni, in particolare quelle severe, nei pazienti trattati con questa molecola rispetto a quelli trattati con steroidi. “Possiamo quindi agire a due livelli, o riducendo al massimo l'esposizione alla terapia steroidea o sostituendo lo steroide con un altro farmaco che sia altrettanto efficace, sempre in associazione a ciclofosfamide o rituximab”.

GPA ed MPA in Italia

La prevalenza di GPA e MPA nel mondo è stimata tra 5 e i 42 casi ogni 100.000 abitanti. In Italia non esiste un dato certo di prevalenza né di incidenza di queste due vasculiti, ma sono stati condotti e sono in corso diversi studi per determinare i casi di GPA e MPA nel Paese e i tassi di ospedalizzazione. “In uno studio recente ci siamo basati su un campione di 12 milioni di italiani afferenti a diverse ASL, utilizzando sia i codici di esenzione che le schede di dimissione ospedaliera. In questo modo abbiamo individuato 859 pazienti, dei quali 713 con GPA 146 con MPA. Questo ci ha portato a stimare, negli ultimi dieci anni, la presenza in Italia di circa 4.300 pazienti”, dice Luca Quartuccio, Professore Associato di Reumatologia presso l’Università di Udine.

Un risultato molto simile a quello che stiamo ottenendo con un altro studio, tuttora in corso, condotto in collaborazione con l'Università Bocconi di Milano, in cui stimiamo la presenza di 4.900 pazienti affetti da vasculiti ANCA-associate, di cui 3.700 con GPA e 1.200 con MPA”.

Circa un terzo dei pazienti identificati negli studi citati dal professore ha un'età compresa tra i 40 e i 60 anni, si tratta quindi di pazienti giovani o comunque in età lavorativa e la patologia incide in un momento chiave della loro vita.
“Una quota significativa (almeno un quarto) dei pazienti affetti da queste due vasculiti viene ricoverato. Il ricovero avviene entro il primo o il secondo anno dalla diagnosi, gli anni più critici, e la mortalità per queste patologie resta elevata nonostante il miglioramento delle cure: il tasso di mortalità è stimato intorno al 17%”.

Federico Alberici, Direttore della UO di Nefrologia, Direttore della Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Università degli Studi di Brescia, ASST Spedali Civili, nota che le ospedalizzazioni sono dovute alle conseguenze del danno indotto dalla malattia stessa e alle conseguenze della terapia utilizzata per gestire la malattia.

“Ci sono le ospedalizzazioni legate alle riattivazione di malattia, quindi alle recidive, piuttosto che alla gestione di complicanze a lungo termine dei danni d'organo secondari alle malattie, ad esempio alla gestione delle complicanze del danno renale e quindi della malattia renale cronica, o delle complicanze legate al danno polmonare e quindi eventuali affezioni respiratorie e croniche”, dice Alberici. “Ci sono poi le ospedalizzazioni legate all’eccessiva soppressione del sistema immunitario legata alle terapie utilizzate. Non è infatti sempre facile identificare il bilancio migliore tra quantità di immunosoppressori e effetti collaterali degli immunosoppressori stessi”.

12 settembre 2024
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