Si celebra oggi, 28 luglio, la
Giornata mondiale dell’epatite, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’epatite virale, un’infiammazione del fegato che causa gravi malattie epatiche e cancro. Il tema scelto quest’anno è: “È tempo di agire”. Del resto, sottolinea l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms): “Con una persona che muore ogni 30 secondi a causa di una malattia correlata all’epatite, dobbiamo accelerare l’azione per migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento per salvare vite umane e migliorare i risultati sanitari”. Questo anche considerato che, secondo i dati Oms, solo 1 malato su 6 di epatite sa di esserlo. Sensibilizzare sull‘infezione e sull'importanza di sottoporsi al test per la diagnosi è quindi più urgente che mai, perché quella che conosciamo è solo la punta dell‘iceberg.
“Le epatiti virali continuano a rappresentare un problema importante per la salute, con un grande impatto sulla vita delle persone, oltre a quello sociale ed economico – sottolinea la Prof.
Anna Teresa Palamara, che dirige il Dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss – le epatiti virali, in particolare la B e la C, ma anche la A, condividono alcune delle modalità di trasmissione con HIV e con le IST. È utile quindi che anche alcune delle strategie da mettere in atto per controllare la loro diffusione siano condivise”.
Esistono 5 ceppi principali del virus dell’epatite: A, B, C, D ed E. Insieme, l’epatite B e C sono le infezioni più comuni e provocano 1,3 milioni di morti e 2,2 milioni di nuove infezioni all’anno, secondo i dati dell’Oms. Nel 2022 si contavano, nel mondo, 304 milioni di persone con epatite cronica di tipo B e C. Ogni giorno muoiono 3.500 persone a causa delle infezioni da epatite B e C. Si tratta, appunto, di circa un decesso per epatite ogni 30 secondi. Ogni giorno oltre 6.000 persone vengono infettate dall'epatite virale.
In Europa, riferisce l'Ecdc, circa 3,6 milioni sono malate di epatite B cronica e 1,8 di epatite C. L’epatite cronica è “tra i principali fattori di rischio per il cancro al fegato, la sesta causa di morte per cancro in Europa, con quasi 55.000 decessi nel 2022”, spiega l'Ecdc.
Per quanto riguarda l‘Italia, solo per l’Epatite C lo scorso anno l’Istituto superiore di Sanità (Iss)
citava trattamenti antivirali somministrati dal 2015 al 2023 a oltre 250 mila pazienti. L’incidenza dell’HCV risultava stabilizzata intorno agli 0,1 ogni 100 mila abitanti ma “in un’elevata percentuale di casi, che in Italia si stima in 300mila persone, l’infezione da epatite C decorre in modo subdolo e asintomatico fino alle fasi più avanzate in cui il danno al fegato diventa evidente”, sottolineava l‘Istituto. E i
dati dello scorso marzo mostrano numeri in crescita per quasi tutti i ceppi.
Un focus particolare va fatto sullo lo screening per l’epatite C, che può individuare le infezioni asintomatiche che possono quindi essere curate precocemente riducendo la trasmissione del virus e la progressione della malattia. L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che ha stanziato un fondo dedicato per lo screening dell’infezione da HCV per la popolazione generale. Il fondo dedicato per lo screening gratuito è focalizzato sulle popolazioni chiave (persone che vengono seguite dai servizi delle dipendenze e i detenuti) e sulla popolazione generale nata tra 1969-1989. Grazie a questi programmi dal 2020 sono state testate oltre 1.700.000 persone, rilevando oltre 13mila infezioni attive da epatite C. Lo screening attivo in Italia ha raggiunto circa il 10% della copertura della popolazione target al 31 Dicembre 2023, con 14 regioni che lo hanno attivato: la copertura più alta (32%) è stata riscontrata dalla Regione Emilia Romagna; le Regioni che hanno delle coperture intorno al 20% sono Liguria, Veneto e la provincia autonoma di Bolzano; la Regione Lombardia riporta un tasso di copertura del 13% mentre le altre Regioni, alcune delle quali hanno però iniziato da poco lo screening, hanno delle coperture inferiori al 10%. Uno studio pubblicato recentemente, cui ha partecipato anche l’Iss, ha stimato che lo screening allargato alla popolazione generale adulta, porterebbe ad una riduzione a 10 anni di circa 5.600 decessi, 3.500 epatocarcinomi e/o oltre 3000 scompensi epatici, rispetto a uno screening meno efficiente o semplicemente a una diagnosi tardiva. In Italia si stimano circa 280 mila persone infette da HCV, asintomatiche e pertanto non diagnosticate. “Il nostro studio – sottolineano gli esperti del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Iss – ribadisce l’importanza dell’allargamento dello screening alle fasce di età più anziane (nate prima dell’anno 1969) ad oggi ancora non indirizzate verso lo screening gratuite dell’epatite C”. Questo obiettivo porterebbe ad un importante vantaggio in termini di “guadagno di salute”.
Il fatto è che, spiega l‘Oms, “nonostante strumenti migliori per la diagnosi e il trattamento e la diminuzione dei prezzi dei prodotti, i tassi di copertura dei test e dei trattamenti sono in stallo”. A livello globale, avverte l'Organizzazione mondiale della Sanità, “c’è un numero enorme di persone non diagnosticate e non trattate che convivono con l’epatite. Quasi 220 milioni di persone con epatite B non sanno di avere l’infezione, quasi 36 milioni di persone con epatite C sono nella stessa condizione”. In termini percentuali, stima l'Ecdc, a livello globale l'87% delle infezioni da epatite B e il 64% delle infezioni da epatite C non sono diagnosticate.
La maggior parte dei sintomi, infatti, compaiono solo quando la malattia è in stadio avanzato e la maggior parte delle persone scopre di avere l’epatite B o C solo quando sviluppa una grave malattia al fegato o un cancro. Sottoporsi allo screening è quindi fondamentali per scoprire tempestivamente di avere contratto l'infezione. Ma le criticità non si fermano alla diagnosi: anche dopo avere scoperto di essere malati, la copertura del trattamento e dell’assistenza per le persone affette da epatite è sorprendentemente bassa: “Dei 304 milioni di persone affette da epatite B e C, solo 7 milioni sono trattate per l’epatite B e 12,5 milioni sono curate dall’epatite C”, spiega l’Oms.
L’Organizzazione mondiale della Sanità è tuttavia convinta che l’obiettivo di eliminazione dell’OMS entro il 2030 possa essere ancora raggiungibile, “se si intraprende un’azione rapida adesso”.
In che modo? Anzitutto “tutte le donne incinte con l’epatite B cronica dovrebbero avere accesso alle cure e i loro bambini accesso ai vaccini alla nascita contro l’epatite B per prevenire l’infezione”. Inoltre i servizi per la diagnosi e il trattamento dovrebbero essere diffusi di più, invece oggi sono spesso disponibili solo presso ospedali centralizzati o specializzati.
“I test diagnostici rapidi per l’epatite virale costano meno di 2 dollari, ma molte persone continuano a sostenere costi vivi per i test”, evidenzia ancora l’Oms, ricordando che ora esiste la possibilità di effettuare un autotest per l’epatite C e un test prequalificato dalla stessa Organizzazione per incoraggiare i test, “a fronte dello stigma e della discriminazione”.
Ma l’Organizzazione mondiale della Sanità sottolinea anche come, “nonostante la disponibilità di farmaci generici a prezzi accessibili per l’epatite virale, troppi paesi continuano a pagarli più del dovuto. Ad esempio, i medicinali usati per trattare l’epatite C (sofosbuvir generico e daclatasvir) costano 60 dollari per un ciclo di 12 settimane, ma questi paesi pagano tra i 33 e i 10.000 dollari”.
“È questo il momento di dare priorità ai test, alle cure e alle vaccinazioni”, è il richiamo dell’Oms. “È tempo di agire per realizzare un mondo libero dall’epatite”.