“Nell’ultimo mese si è alzato almeno due volte a notte per urinare? Nell’ultimo mese ha avuto più volte difficoltà a trattenere l’urina nell’arco della giornata? Nell’ultimo mese ha mai la sensazione di non riuscire a svuotare completamente la vescica?”. Tre domande, semplici e rapide che, sottoposte nel corso di una normale visita urologica, possono aiutare a prevenire l’iperplasia prostatica benigna, anticipandone la diagnosi. Si tratta del “Quick Prostate Test” (QPT), il nuovo strumento sviluppato dalla Siu (Società Italiana di Urologia) e a disposizione dei medici di medicina generale per prevenire il rischio e anticipare la diagnosi di Iperplasia Prostatica Benigna (IPB), una malattia che solo in Italia colpisce quasi il 14 per cento della popolazione con oltre 50 anni di età, con forti ripercussioni sui disturbi d’organo e la vita sociale e di relazione.
“Una malattia attorno alla quale ruotano in modo ingiustificato riluttanza, riserbo e scarsa informazione: contrariamente alle donne che non hanno timore di una visita medica o ginecologica, i maschi prima di sottoporsi ad una qualsiasi visita in caso di problemi urinari, arrivano all’assurdo di circoscrivere e subordinare la loro vita sociale alla vicinanza di un bagno”, spiegano gli esperti. La problematica infatti viene ‘accettata’ come naturale conseguenza del processo di invecchiamento e solo il 50% dei pazienti si apre con il proprio medico di famiglia, affronta i disagi correlati alla minzione notturna e diurna e il conseguente adattamento del proprio stile di vita ai bisogni della malattia. Invece, il ritardo diagnostico e terapeutico ne causa l’aggravamento (riduzione del flusso urinario e ritenzione acuta) fino alla necessità di intervento chirurgico.
Ecco perché nasce il Quick Prostate Test: per aumentare nel paziente la consapevolezza della malattia e del suo impatto sulla qualità della vita e per i medici di medicina generale per identificare la presenza di IPB e indirizzare il paziente all’urologo, vero driver della malattia. Oggi, infatti, sono a disposizione nuovi strumenti terapeutici che combinando più principi attivi sono in grado non solo di ridurre significativamente il rischio di ricorso ad intervento chirurgico IPB-correlato rispetto alla monoterapia, come dimostrato dai risultati dello studio CombAT, ma anche di migliorare la qualità di vita del paziente e la sua soddisfazione.
Le domande del ‘Quick Postate Test’, enunciate all’inizio dell’articolo, si basano sui tre principali sintomi e disagi dell’Ipb. È sufficiente una risposta positiva per riconsiderare il trattamento del paziente o l’invio alla consulenza urologica.
“Gran parte dei pazienti – spiega Luigi Schips, Primario del dipartimento di Urologia dell’Ospedale San Pio di Vasto - considera i disturbi urinari come fisiologici, normali e si rassegna a sopportarli. Si stima, infatti, che meno del 50% degli uomini che presentano difficoltà urinarie si rivolge ad un medico poiché il paziente si sente inibito di fronte a tale problematica. L’imbarazzo che prova lo porta alla riluttanza, al riserbo e al timore di dover incorrere nella chirurgia per la risoluzione del proprio problema. In realtà se affrontata in tempo, un semplice cambiamento o modulazione della terapia e una visita urologica mirata sono sufficienti a migliorare sia la sintomatologia, riducendone le manifestazioni, sia la qualità della vita sociale e relazionale non più condizionata dalla vicinanza di servizi igienici. Solo in caso di progressione della malattia l’opzione terapeutica diventa la chirurgia”.
“È fondamentale che nel dialogo tra medico e paziente durante la visita si comprenda qual è il reale impatto della malattia sulla vita del paziente e si facciano emergere i sintomi che spesso non vengono riportati. Il ‘Quick Prostate Test’ è un breve e semplice test di monitoraggio, composto da tre domande che indagano i sintomi urinari, che può contribuire a ottimizzare la gestione dello stato di salute del paziente affetto da IPB. Una risposta positiva ad una sola delle tre domande è sufficiente per mettere in guardia il medico sulla possibilità che un paziente sia affetto da IPB”, sostiene Vincenzo Mirone, Professore Ordinario della Facoltà di medicina e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli e Segretario Generale SIU (Società Italiana di Urologia). “Si tratta, quindi, di uno strumento estremamente utile per facilitare il dialogo tra medico e paziente sia nella prima visita che nelle successive visite di follow-up, consentendo anche di monitorare gli effetti della terapia. Sono oggi molteplici le opportunità terapeutiche possibili in caso di IPB. Prima fra tutte – spiega ancora l’esperto - la terapia con l’associazione estemporanea di dutasteride (inibitore delle 5-alfa-reduttasi) e di tamsulosina (alfa-bloccante) in presenza di sintomi urinari moderati o gravi e di un aumento significativo delle dimensioni prostatiche. I dati che ci vengono dallo studio CombAT, pubblicati lo scorso anno, hanno dimostrato chiaramente come l’associazione di inibitore delle 5-alfa reduttasi e alfa-bloccante siano in grado di determinare nei primi 9 mesi di terapia un miglioramento sintomatologico costante nel tempo ed una riduzione significativa del rischio di ritenzione urinaria acuta (AUR) e della chirurgia correlata all’IPB rispetto alla monoterapia. Tali risultati hanno modificato le attuali linee guida internazionali per il trattamento dell’IPB, che oggi raccomandano la terapia di combinazione in tutti i pazienti con sintomi urinari da moderati a gravi che presentano un elevato rischio di progressione (con prostata di dimensioni > 30 cc, PSA > 1.5 ng/ml)”.
“Rispondendo a tre semplici domande, che non hanno alcun punteggio e quindi non demotivano né scoraggiano per il risultato, il paziente oltre a conoscere meglio la malattia comprende che vi è una soluzione non invasiva al suo problema, grazie ad una migliore modulazione della terapia e a una sinergia di azione tra medico di base e urologo”, aggiunge Ciro Niro, Medico di Medicina Generale presso l’ASL di Foggia, Tesoriere e Responsabile Nazionale dell’Area Uro-Andrologia della SIICP (Società Italiana Interdisciplinare per le Cure Primarie. “Il medico di base, per primo, ottiene invece dal test chiare indicazioni della presenza di malattia e un adeguato orientamento anche per la gestione del successivo follow-up. Il QPT – conclude Niro - è un test ‘opportunistico’, nel senso che consente di diagnosticare la patologia nel corso di una normale visita ambulatoriale alla quale di norma il paziente si presenta per motivi di altra natura e di valutare fin da subito l’occorrenza di indagini diagnostiche più approfondite”.