Una patologia multisistemica cronica, infiammatoria e autoimmune: questo è il Lupus eritematoso sistemico (LES), che può coinvolgere tutti gli organi e apparati del corpo, dalle articolazioni alla cute, al cuore, ai reni, ai polmoni e al sistema nervoso e per il quale non c’è al momento cura definitiva. Qualche piccolo passo in avanti per affrontare questa malattia però, può forse essere fatto. A dirlo, gli esperti riuniti in occasione del XLIX Congresso Nazionale della Società Italiana di Reumatologia in corso a Milano fino al 24 Novembre.
In Italia si stima che siano circa 60mila i casi attualmente seguiti, con un incremento di circa 1500 nuovi casi diagnosticati ogni anno. Il LES dal 2006 è stato classificato come malattia cronica e invalidante e dà diritto all'invalidità civile. Segni e sintomi comuni ad altre malattie rendono il LES di difficile diagnosi: il 70% dei pazienti manifesta segni dermatologici, il più comune dei quali è l’eritema a farfalla (dalla forma tipica su entrambe le guance che si mostra quasi come una farfalla con le ali aperte). Possono essere presenti alopecia, ulcerazioni della mucosa orale, nasale, urinaria e genitale e altre lesioni cutanee. Fra i sintomi del LES, i dolori articolari (soprattutto a carico di mani e polsi) sono presenti nella maggior parte dei casi e generalmente sono il sintomo che spinge il paziente a rivolgersi al medico.
Giovanni Minisola, Presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR) e Primario Reumatologo dell’Ospedale di Alta Specializzazione “San Camillo” di Roma, fornisce qualche dato epidemiologico: “Come le altre connettiviti, il LES colpisce prevalentemente le donne, anche in giovane età, con un’incidenza di 2-10 nuovi casi ogni 100.000 all’anno, una prevalenza di 10-120 ogni 100.000 individui e un picco tra i 15 e i 40 anni. Il LES è una grave malattia che può mettere a rischio la vita delle persone colpite a causa del coinvolgimento di organi vitali, che compromette gravemente la qualità della vita e la capacità lavorativa e che ha costi sociali particolarmente rilevanti”.
Prima di tutto la speranza arriva dai farmaci biotecnologici. “L’avvento di questi medicinali ha rappresentato una rivoluzione importante nel trattamento dei pazienti con malattie reumatiche”, ha spiegato
Gian Domenico Sebastiani, Responsabile della Lupus Clinic della Divisione di Reumatologia dell’Ospedale di Alta Specializzazione “San Camillo” di Roma. “Nel caso particolare del Lupus, tra le novità più interessanti c’è il Rituximab, un anticorpo monoclonale diretto contro i linfociti B, impiegato anche per il trattamento dell’Artrite Reumatoide. Questo farmaco risulta molto efficace nelle manifestazioni renali, articolari e vasculitiche del LES e rappresenta una risorsa efficace quando la terapia con i farmaci convenzionali non dà risultati soddisfacenti.”
“I farmaci biotecnologici rappresenteranno una risorsa importante anche per i pazienti affetti da LES, così come oggi già lo sono per quei pazienti nei quali sono indicati e quando le terapie tradizionali non hanno effetto”, ha poi aggiunto Minisola. “Tuttavia e purtroppo, tra i 5 maggiori Paesi dell’Unione Europea, l’Italia è quello con il più basso tasso di penetrazione di questa categoria di farmaci e si colloca al di sotto della media europea, a causa dei lunghi tempi di accesso all’innovazione che caratterizzano negativamente il nostro Paese. In media si verificano 326 giorni di ritardo tra l’autorizzazione dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) e l’autorizzazione alla commercializzazione in Italia. L’impiego dei farmaci biotecnologici deve essere tempestivo e appropriato; per tale motivo è assolutamente necessario che dalle parole si passi ai fatti e che Ministero e Regioni adottino percorsi diagnostico-terapeutici concreti e funzionali, attivando un network operativo tra medico di famiglia e strutture assistenziali reumatologiche. Solo così si eviteranno a chi è malato attese inutili e ritardi diagnostico-terapeutici le cui conseguenze possono essere drammatiche non solo per i pazienti ma anche per la collettività in rapporto alle ricadute socio-economiche e alla perdita di produttività”.
Ulteriori speranze potrebbero arrivare dagli studi attualmente in corso. Fra i farmaci in sperimentazione nel LES c’è un farmaco innovativo che inibisce la JAK chinasi 1, una molecola implicata nella risposta immunitaria in quanto trasmette al nucleo cellulare i segnali che arrivano alle cellule dall’ambiente esterno. Il farmaco si assume per via orale, consentendo così di evitare la somministrazione per via endovenosa, che richiede la necessità di recarsi in ospedale. Nei prossimi mesi inizierà uno studio clinico internazionale, che vede coinvolti anche i più importanti centri Italiani, per valutare la sua efficacia nel LES. Altri farmaci in studio sono il Epratuzumab, un biotecnologico anti-linfociti B che sta attraversando le fasi sperimentali nel LES con risultati promettenti, ed il Belimumab, un anticorpo monoclonale completamente umano che inibisce lo stimolatore dei linfociti B “BLyS”, una proteina prodotta naturalmente scoperta nel 1997 dai ricercatori della Human Genome Sciences. “BLyS è presente in notevole quantità nei pazienti con LES – continua Sebastiani – Il Belimumab, riducendo i livelli di questa citochina, esercita un’azione favorevole sulla malattia. Vari studi clinici internazionali, condotti con metodiche molto rigorose, hanno documentato la sua efficacia nel LES e la sua buona tollerabilità. Il Belimumab è il primo farmaco sviluppato in modo specifico per il LES; è stato approvato negli Stati Uniti, ed è in studio anche per altre malattie autoimmuni sistemiche.”
Parallelamente alle sperimentazioni farmacologiche proseguono le ricerche per identificare le cause e i meccanismi fisiopatologici della malattia, tra cui importanti studi sui fattori genetici. Dai risultati di questi studi ci si attende una migliore conoscenza sulle cause del LES, con una ricaduta positiva sulla possibilità di sviluppare nuove terapie.