Studiando antichi testi greci e romani, due ricercatori americani hanno scoperto come la grave perdita di memoria, oggi diffusa a livelli epidemici, fosse estremamente rara più di duemila anni fa, ai tempi di Aristotele, Galeno e Plinio il Vecchio.
I risultati dello studio, condotto da
Caleb Finch, dell’University of Southern California, e da Stanley Burstein, della California State University di Los Angeles, rafforzano l’idea che la Malattia di Alzheimer e le demenze in generale siano da collegare ad ambienti e stili di vita moderni, caratterizzati da sedentarietà ed esposizione all’inquinamento atmosferico.
Lo studioI ricercatori hanno analizzato in modo approfondito un importante corpus di antichi scritti medici di Ippocrate e dei suoi seguaci. Questi testi elencano come patologie proprie degli anziani la sordità, le vertigini e i disturbi digestivi, ma non fanno menzione della perdita di memoria.
Nella letteratura medica romana, invece, iniziano a essere riportati i primi casi, con il medico Galeno che osserva, in un testo, come all’età di 80 anni alcuni anziani inizino ad avere difficoltà ad apprendere cose nuove. Plinio il Vecchio, in un altro scritto, cita il caso del senatore Valerio Messalla Corvino che dimenticò il proprio nome.
Le testimonianze di alcune forme riconducibili a demenza nei testi romani hanno spinto il primo autore Caleb Finch a ipotizzare un rapporto tra la comparsa di questa patologia e la maggiore urbanizzazione- con conseguente inquinamento – legata alla storia di Roma. Un inquinamento principalmente provocato dall’uso di utensili di piombo, che è una nota neurotossina.
Fonte: Journal of Alzheimer’s Disease 2024