Ma quanti sono i bambini con Disturbi specifici dello sviluppo (Dsa) in Italia? “Dai numeri sembriamo tutti dislessici. Si leggono percentuali di incidenza che variano dal 5 al 20%, ma in realtà si tratta di dati improbabili. Dovremmo soffermare l’attenzione sui criteri con cui vengono svolte le diagnosi sui Dsa, perché la valutazione numerica e la descrizione di un comportamento non determinano l’eziologia di quel problema”. La pensa così Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), che il 10 novembre a Roma presenterà il XV° convegno nazionale su ‘Le dislessie. Il ruolo della scuola nella complessità degli apprendimenti’, presso l’Istituto Regina Elena.
“Anche nei test della dislessia – spiega lo psicoterapeuta - non si cerca di capire qual è l’origine della difficoltà ma si va a vedere in quanto tempo il bambino compie l’errore e di che errore si tratta. Questa però - ha precisato - è sempre una descrizione e non una diagnosi e la potrebbero fare tutti, a partire dalle insegnanti”. Una valutazione efficace, sottolinea l’esperto, “dovrebbe vedere ciò che si cela dietro il problema andando oltre la sua manifestazione. Infatti al convegno noi parleremo delle ‘Dislessie’ poiché sono varie le cause che possono determinare un disturbo di apprendimento e capirle ci aiuterebbe a curarlo in modo tempestivo ed efficace”.
Ma c’è anche un’altra idea, che sta circolando all’interno di una corrente di specialisti, su cui l’IdO ha un’opinione differente e che riguarda la convinzione che un disturbo del comportamento, o la dislessia, abbia un’origine unicamente di tipo genetico. “Dire questo - per Castelbianco -
significherebbe escludere ogni altra causa e determinare un’etichetta inamovibile che condizionerebbe negativamente la vita dei bambini a cui è stata data”.