Un gene sarebbe capace di predire l’aggressività della Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e potrebbe essere usato per rallentarne il decorso. Questa la notizia pubblicata in uno
studio su
Nature Medicine che regala speranza ai malati della patologia che attacca i motoneuroni: un team della Massachusetts Medical School ha infatti scoperto come la perdita di attività di un recettore chiamato EphA4 possa estendere in maniera sostanziale l’aspettativa di vita dei pazienti. Il risultato, se considerato insieme al precedente
studio del team condottoinsieme ai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta” – pubblicato su
Nature il mese scorso - potrebbe portare a nuove opzioni terapeutiche per la malattia, per la quale non esiste ancora cura.
La malattia è un disordine neurodegenerativo progressivo, che colpisce i motoneuroni del sistema centrale e periferico: man mano che questi “muoiono”, la capacità del cervello di mandare segnali ai muscoli del corpo ne risulta compromessa e questo porta alla paralisi dei muscoli volontari e infine al collasso respiratorio. Circa il 10% dei casi sono di origine ereditaria, ma non si conosce la causa che porta alla patologia: sebbene gli scienziati abbiamo identificato diversi geni che sembrano essere collegati alla Sla familiare o ereditaria, circa il 50% dei pazienti non sembrano presentare un firma genetica particolare che possa indicare la patologia. Forse anche per questo non si è mai trovata una cura alla malattia.
Soprattutto se considerato insieme al gene della profilina-1, trovato nella ricerca precedente, questo nuovo marker sarebbe capace di rivelare non solo la predisposizione alla Sla, ma anche la sua aggressività nel caso si presenti. “E in più, lo studio suggerisce che sopprimere l’espressione di questo gene potrebbe essere un trattamento per la terribile patologia”, ha commentato
Robert Brown, co-autore di entrambi gli studi.
Per giungere a questa conclusione gli scienziati hanno cercato tra i geni del Pesce zebra (
Danio rerio), usato come modello per lo studio della malattia, se ce ne fosse uno capace di “smussare” l’effetto del gene Sod1, uno dei geni mutanti collegati alla Sla. In questo processo il team ha identificato proprio EphA4, capace di modificare l’aggressività della patologia: sui pesci, ma anche sui topi, quando il gene veniva disattivato la sopravvivenza era infatti maggiore. Questo indica che il gene potrebbe diventare un target terapeutico, nel futuro. “I due geni studiati nei due diversi studi, quello di
Nature e quello di
Nature Medicine, identificano uno stesso pathway nella malattia”, ha spiegato
John Landers, anche lui autore di entrambe le ricerche. “Speriamo che questa scoperta possa dunque portare a un’accelerazione nella ricerca di una cura per la Sla”.
Laura Berardi