Trattare le cellule intorno a quelle tumorali, invece che quelle malate, potrebbe essere un metodo per ottenere risultati migliori nella lotta al cancro. A dirlo uno
studio della Queen’s University di Belfast, pubblicato su
Embo Journal. In questo modo, spiegano gli scienziati, è possibile sviluppare terapie più efficaci sia per il cancro alla gola che per quello alla cervice uterina: il tessuto stromale intorno al tumore, ovvero quello epiteliale non canceroso che insieme alle vere e proprie cellule della neoplasia costituisce il microambiente tumorale, potrebbe dunque essere incluso tra i target dei trattamenti, in una sorta di terapia preventiva.
Per condurre questo studio gli scienziati si sono avvalsi di campioni di tessuto ottenuti da coltura in laboratorio in modo che replicassero lo stroma intorno ai cancri di gola e collo dell’ultero. “La diffusione del cancro è il risultato di una comunicazione reciproca tra le cellule malate del tumore e quelle intorno, sane”, ha commentato
Dennis McCance, co-autore dello studio. “Sappiamo già che le cellule dei tumori sono programmate intrinsecamenteper invadere i tessuti circostanti, ma anche le cellule sane hanno un ruolo, e sono queste che – rilasciando fattori di crescita – mandano messaggi alle cellule malate, ‘invitandole’ all’invasione. Se si riescono a bloccare questi messaggi, allora si inibisce anche la diffusione del cancro”, ha spiegato. “Quello che non sapevamo è che esiste una particolare proteina nelle cellule stromali che può aprire e chiudere la comunicazione tra tessuto sano e malato. Quando la cosiddetta proteina del Retinoblastoma (Rb) risulta attiva nei tessuti non cancerosi, questo comporta una diminuzione dei fattori che incoraggiano l’invasione da parte dei tessuti malati e dunque il cancro non si diffonde”.
Questa particolare proteina Rb si trova in tutte le cellule del microambiente tumorale ed era già nota la sua importanza nel regolare la crescita dei tessuti tumorali dal loro interno. Tuttavia, non era mai stato dimostrato un ruolo di incoraggiamento (o scoraggiamento) da parte di queste proteine dall’interno dei tessuti sani. “Fino ad oggi i trattamenti per il cancro hanno avuto come target il tumore stesso, e l’approccio è stato solo quello di uccidere le cellule malate prima che si diffondessero”, ha continuato McCance. “Invece questa scoperta apre la via a un’idea di trattamento del tutto diversa, che ha come target proprio il resto del microambiente tumorale e in particolare la proteina Rb. Dunque dovremmo cercare questa ed altre proteine simili in diversi tipi di tumore, in modo che le implicazioni possano andare ben oltre quelle della sola cura del carcinoma alla cervice uterina o alla gola”.