Uno studio collaborativo, diretto da un gruppo di ricercatori della Duke University e condotto con l’apporto della Biobanca I.B.AHC presso l’IRCCS Medea e di altri centri di ricerca italiani, regala una buona notizia ai pazienti affetti da emiplegia alternante e ai loro familiari: una
ricerca pubblicata su
Nature Genetics, ha permesso di individuare il difetto genetico responsabile della patologia, e potrebbe portare allo sviluppo di una terapia mirata.
Si tratta di una malattia ancora molto poco conosciuta e significativamente sotto diagnosticata: non essendo mai stati disponibili dei marcatori biologici specifici, ancora oggi le diagnosi vengono infatti effettuate su base esclusivamente clinica e per esclusione. L’Emiplegia Alternante (AHC) è infatti una malattia neurologica molto rara (un caso ogni milione di persone) e invalidante, caratterizzata dall'esordio precoce di attacchi ricorrenti di emiparesi e tetraparesi, che vengono scatenati da fattori vari come lo stress, le emozioni o i cambiamenti di temperatura. In tutti i pazienti è presente anche una disabilità motoria ed intellettiva di grado variabile; nel 30% dei casi, si riscontrano crisi epilettiche.
Il gene identificato come causa è ATP1A3 e codifica per una proteina con funzione di pompa ionica sodio-potassio a livello neuronale. La scoperta del gene è stata resa possibile grazie all'applicazione della tecnologia dell'exome sequencing: il sequenziamento iniziale dell'esoma di 7 pazienti ha permesso di identificare il gene; successivamente, grazie ad un impressionante sforzo collaborativo a livello internazionale promosso e sostenuto dalle tre principali associazioni di pazienti (in Italia, Francia e Stati Uniti), i laboratori genetici e i centri clinici di 13 diverse nazioni si sono uniti per studiare altri 95 pazienti, arrivando così a confermare la presenza di mutazioni causative nel gene ATP1A3 in più del 75 % dei casi studiati. Si tratta di mutazioni de-novo, ovvero presenti solo nei pazienti affetti e assenti in tutti i loro genitori.
Questa scoperta aumenterà la capacità di effettuare nuove diagnosi in modo più accurato, grazie alla messa a punto di un test genetico specifico da utilizzare per la conferma della diagnosi nei casi di sospetta emiplegia alternante. L’individuazione del gene potrebbe inoltre aprire la strada per una terapia mirata per la malattia: per approfondire questo aspetto, alcuni studi funzionali sono già stati avviati.
Hanno partecipato allo studio diversi enti di ricerca italiani, in particolar modo l’Istituto di Genetica Medica dell’ Università Cattolica di Roma con il supporto organizzativo dell’associazione dei pazienti A.I.S.EA Onlus e con i laboratori di genetica molecolare e l‘Unità di Neurofisiopatologia dell ’IRCCS Medea di Bosisio Parini.
A.I.S.EA Onlus e l’IRCCS Medea hanno infatti messo a disposizione la casistica più ampia grazie al progetto I.B.AHC, la prima Biobanca italiana dell’Emiplegia Alternante. Si tratta di un “contenitore”, operativo dal 2004, progettato per raccogliere, organizzare, conservare e condividere i campioni biologici (sangue, DNA e linee cellulari linfoblastoidi) dei pazienti arruolati e il DNA dei loro genitori. I 38 campioni attualmente conservati presso l’Istituto Medea sono a disposizione per qualsiasi ricerca (in Italia o all’estero) sull’Emiplegia Alternante, a patto che essa sia di qualità scientifica, non duplicata, senza finalità di lucro e approvata dal Comitato Scientifico di A.I.S.EA Onlus. La responsabile della Biobanca I.B.AHC è la Dott.ssa Maria Teresa Bassi, che opera presso il Laboratorio di Genetica Molecolare del Medea.