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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Ricerca clinica. Italia rischia esclusione da studi europei. Foce: “Nuova legge e decreti delegati per semplificare sistema”

immagine 22 febbraio - La Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi chiede alle Istituzioni di adeguarsi quanto prima ai parametri richiesti dall’Europa. “Restano ancora troppi nodi da risolvere. Abbiamo accumulato un incredibile ritardo, mentre altri Paesi si sono già adeguati”. Ogni anno in Italia 35-40mila cittadini coinvolti nei trial beneficiano di trattamenti innovativi. Noi siamo già fuori da un quarto delle sperimentazioni da avviare. Pesanti conseguenze negative anche per l’economia.
L’Italia rischia di perdere il nuovo treno della ricerca clinica che è già partito il 31 gennaio scorso, con l’entrata in vigore del “Clinical Trial Information System” (Ctis), il portale unico continentale per le sperimentazioni. Lo ha istituito il Regolamento europeo 536 del 2014, stabilendo regole uniformi per armonizzare il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri.
 
Una vera e propria rivoluzione, che mira ad attrarre più risorse per la ricerca in Europa. Ma l’Italia, dopo 8 anni dalla deliberazione della nuova normativa, non si è ancora adeguata come richiesto dal Regolamento. Abbiamo fatto poco o nulla. Restano troppi nodi irrisolti e pesanti vincoli burocratici: dalla definizione dei requisiti dei centri autorizzati alla conduzione delle sperimentazioni, all’individuazione delle modalità per tutelare l’indipendenza degli studi e garantire l’assenza di conflitti di interesse. Fino al punto cruciale, cioè la riduzione dei comitati etici territoriali a un numero massimo di 40 (oggi sono circa 90), oltre ai 3 a valenza nazionale.
 
I decreti delegati, necessari per colmare la distanza che separa l’Italia dagli altri Paesi che da tempo hanno armonizzato il proprio sistema con quanto stabilito dal Regolamento europeo, avrebbero dovuto essere emanati entro il 31 gennaio. E potrebbe servire ancora un anno per una nuova legge delega immediata (perché è scaduta la precedente) e i relativi decreti delegati. Ora è indispensabile recuperare il tempo perduto, per evitare gravi danni sia per il sistema sanitario che per i pazienti. In Italia, infatti, sono 35-40mila i cittadini colpiti da diverse patologie (i due terzi rappresentati da da tumori, malattie ematologiche e cardiovascolari) che ogni anno, partecipando agli studi clinici, possono beneficiare di trattamenti innovativi con grande anticipo, anche anni, rispetto alla loro disponibilità e, quindi, di maggiori possibilità di guarigione, ottenendo miglioramenti anche in termini di qualità di vita. L’appello viene da Foce (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi), oggi in una conferenza stampa virtuale.

“Sono trascorsi quasi otto anni dall’emanazione del Regolamento europeo, ma l’Italia rischia di restare ferma in una fase di transizione di un anno e sarà impossibile aggregarsi al resto del Continente quando il sistema sarà già consolidato - afferma Francesco Cognetti, Presidente Foce -. In questo modo perdiamo i vantaggi che derivano da sperimentazioni che vedranno escluso il nostro Paese e che prevedono un arruolamento ed una valutazione centralizzata identica per tutti i Paesi membri. Con conseguenze molto gravi per i nostri pazienti, che non potranno usufruire dei grandi vantaggi dell’innovazione prodotta dalla ricerca. In base agli ultimi dati disponibili, nel 2019, in Italia, sono state autorizzate 672 sperimentazioni, 516 profit e 156 no profit. E i due terzi interessano complessivamente proprio le neoplasie, le malattie ematologiche e cardiovascolari, che tra l’altro producono di nuovo i due terzi della mortalità annuale nel nostro Paese. Il Regolamento segna un cambiamento epocale negli studi clinici, passando dalla gestione nazionale al coordinamento a livello europeo. Se il nostro Paese, come auspicato più volte dal Presidente del Consiglio Draghi, vuole ritrovare una competitività internazionale, deve inserire la ricerca scientifica come priorità massima nell’agenda governativa”.

Gli investimenti complessivi pubblici e privati in questo settore in Italia equivalgono a oltre 750 milioni di euro all’anno, di cui il 92% proveniente da finanziamenti di aziende farmaceutiche per studi profit. “La ricerca clinica è un motore di sviluppo economico e sociale, che può offrire un contributo importante al recupero dell’attuale crisi sanitaria – spiega Paolo Corradini, Vice Presidente Foce e Presidente della Società Italiana di Ematologia -. Vi sono poi ricadute positive per i fornitori di servizi e sull’occupazione, grazie all’impiego di profili professionali di elevata specializzazione. E i centri in cui vengono svolte le sperimentazioni cliniche garantiscono la crescita dei ricercatori coinvolti. Senza dimenticare i grandi vantaggi per i pazienti, che accedono a terapie innovative anche alcuni anni prima della rimborsabilità. A ciò vanno aggiunti i risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale e per le singole strutture, in termini di erogazione a titolo gratuito dei farmaci sperimentali e di controllo, i cui costi sono interamente a carico delle aziende sponsor”. È stato stimato, soltanto nell’area dell’oncoematologia, un risparmio potenziale di circa 400 milioni di euro ogni anno e, quindi, valutabile per alcuni miliardi per tutto il sistema.

Da maggio 2014 è stata emanata la cosiddetta “Legge Lorenzin” (Legge 11 Gennaio 2018, n.3) che delegava il Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia di sperimentazione clinica e che prevedeva che, entro 12 mesi dalla data della sua entrata in vigore, si dovessero emanare uno o più decreti delegati per la piena attuazione del Regolamento europeo. Così non è stato. Ecco perché, scaduta la delega, potrebbe essere necessaria di nuovo un’altra legge delega, per poi ricominciare daccapo.

“Il ‘Clinical Trial Information System’ diventa il punto di accesso unico per la presentazione, l’autorizzazione e la supervisione delle domande di sperimentazione clinica nell’Unione Europea e nei Paesi dello Spazio economico europeo (See) - sottolinea Fabrizio Pane, Tesoriere Foce e Past President Società Italiana di Ematologia -. Attualmente, gli sponsor devono presentare le domande separatamente alle autorità nazionali competenti e ai comitati etici di ciascun Paese per ottenere l’approvazione regolatoria. Grazie al Ctis, gli sponsor potranno richiedere l’autorizzazione in un massimo di 30 Paesi See a partire da un’unica domanda. Un quadro regolatorio identico in ciascun Stato membro garantisce la conduzione degli studi clinici in una modalità univoca, con tempistiche definite e certe. Inoltre, rende più facile e veloce l’arruolamento dei pazienti e la chiusura degli studi. Serve quindi un decreto delegato che stabilisca i requisiti dei centri autorizzati alla conduzione delle sperimentazioni cliniche, dalla fase I alla IV, prevedendo anche il monitoraggio annuale e la pubblicazione dell’elenco delle strutture autorizzate nel portale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa)”.
 
Il Regolamento europeo inoltre richiede che le persone incaricate di convalidare e valutare la domanda non abbiano conflitti d’interesse, siano indipendenti dal promotore, dal sito di sperimentazione clinica e dagli sperimentatori coinvolti nonché dai finanziatori, e siano esenti da qualsiasi indebito condizionamento. “Vanno previste la riorganizzazione dei comitati etici e la loro ricollocazione al di fuori del centro di sperimentazione - continua Pane -. Questo tema è molto importante. Ad oggi, i comitati etici non possono valutare uno studio clinico secondo i criteri del Regolamento europeo, perché non sono indipendenti dai centri di sperimentazione”.

“Durante il primo anno di validità del Regolamento, gli sponsor hanno l’opzione di decidere se sottomettere le nuove sperimentazioni seguendo gli standard precedenti o in accordo con quelli aggiornati – spiega Guido Rasi, Past Executive Director dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), Professore Ordinario di Microbiologia all’Università di Tor Vergata di Roma e Consulente del Commissario Figliulo per l’emergenza Covid-19 -. Dopo il 31 gennaio 2023, tutte le sperimentazioni dovranno essere sottomesse secondo i nuovi standard. E gli studi ancora in corso dovranno passare ai nuovi criteri non più tardi del 31 gennaio 2025, ma la competizione è già iniziata da tre settimane e noi ne siamo fuori. Altri Stati europei sono in realtà pronti da anni, con la precisa strategia di beneficiare degli studi che i Paesi in ritardo organizzativo non potranno svolgere. L’Italia è in forte ritardo e deve recuperare in fretta il terreno perduto, perché ricerca e innovazione portano miglioramenti della qualità dell’assistenza. Per recuperare ci vorranno anni ed investimenti. Essere stati pronti ora sarebbe stato a costo zero. L’intero ‘Sistema Paese’ rischia di restare ai margini in termini di finanziamenti, respiro internazionale e collaborazione con i grandi centri”.

“L’Italia è al vertice nel mondo per i risultati ottenuti nelle ricerche scientifiche, non possiamo perdere questo primato – evidenzia Walter Ricciardi, Membro del Consiglio Esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Presidente del ‘Mission Board for Cancer’ dell’Unione Europea e consigliere scientifico del Ministro della Salute per l’emergenza Covid-19 -. Gli ostacoli ancora da superare sono noti: troppi comitati etici, scarso coordinamento fra questi enti che agiscono spesso in base a protocolli differenti, tempi di autorizzazione e avvio degli studi eccessivamente lunghi, enormi differenze nei contratti per le sperimentazioni”.

“In Italia le sperimentazioni multicentriche e multinazionali sono le più frequenti, rappresentando circa il 65% del totale – spiegano Ciro Indolfi (Vice Presidente FOCE e Presidente Società Italiana di Cardiologia) e Francesco Romeo (Segretario FOCE) -. Per questo è urgente l’adeguamento del ‘Sistema Italia’ ai requisiti del Regolamento europeo, partendo proprio dalla riorganizzazione dei comitati etici, riducendone anche il numero. Oggi sono circa 90, davvero troppi. È previsto che siano ridotti a quaranta e solo 3 siano quelli a valenza nazionale. Si tratta di una revisione dell’intero sistema della ricerca clinica di cui, a oggi, non vediamo traccia”.

“Scoprii di avere la leucemia mieloide cronica nel 2000 – afferma Felice Bombaci, coordinatore nazionale dei gruppi pazienti Ail (Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma) -. Allora le possibilità di sopravvivenza erano scarse. Mi fu offerta l’opportunità di entrare in un protocollo sperimentale e sono guarito grazie a una terapia innovativa, la prima in grado di controllare la malattia e definita ‘pallottola magica’ perché colpisce le cellule malate in maniera mirata. Questa cura ha cambiato la storia della leucemia mieloide cronica ed il suo meccanismo d’azione è stato poi applicato anche ad altre neoplasie. La ricerca offre in modo tangibile nuove opportunità di cura e di sopravvivenza. In questi 20 anni ho visto crescere i miei figli. I pazienti non siano privati del diritto all’innovazione, perché può salvare la vita”.

In Italia, la spesa in ricerca e sviluppo è pari all’1,2% del PIL, mentre la media dei Paesi europei raggiunge il 2%, con la Germania quasi al 3%. “Pur avendo poche risorse a disposizione, gli studi condotti in Italia hanno cambiato la pratica clinica a livello internazionale in diversi tipi di tumori, portando alla modifica di linee guida e raccomandazioni – sottolineano Giordano Beretta (Vice Presidente Foce e Presidente Fondazione Aiom) e Saverio Cinieri (Presidente Aiom, Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. E i lavori scientifici italiani in ambito oncologico sono tra i più citati al mondo, subito dopo quelli del Regno Unito. Nel 2020, sono state stimate 377mila nuove diagnosi di cancro nel nostro Paese, circa 1.000 al giorno. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi raggiunge il 65% nelle donne e il 59% negli uomini. Ricerca e innovazione sono fondamentali perché permettono di mettere a disposizione dei pazienti nuove terapie efficaci molto più velocemente, migliorando le possibilità di guarigione. L’Italia non può fermare la ricerca per ostacoli burocratici”.

Sono significativi i risultati preliminari di un’indagine realizzata da Farmindustria su 34 aziende farmaceutiche. Gli studi attualmente in corso sono 1598, queste aziende prevedono di avviarne, entro il 2022, 396, circa un quarto (86) sarà condotto in accordo con il Regolamento europeo e quindi escluderanno i pazienti del nostro Paese.
 
“Questo campione mostra numeri importanti – conclude Cognetti -, perché raccoglie la maggior parte delle Aziende farmaceutiche che promuovono sperimentazioni cliniche e offre una misura del potenziale rischio di effettuazione degli studi in mancanza di un quadro normativo chiaro e conforme al Regolamento. Oggi le Aziende stanno tenendo relativamente basso il numero di ricerche condotte con il nuovo Regolamento, anche se queste ultime rappresentano una percentuale non trascurabile, che già così abbasserebbe sensibilmente le sperimentazioni nel nostro Paese e nel prossimo futuro la percentuale degli studi condotti nella piattaforma europea è destinato certamente a crescere. In assenza dei decreti delegati, le aziende del farmaco potrebbero scegliere di escludere l’Italia dagli studi. Stupisce che, in tutti questi anni, Farmindustria non abbia manifestato interesse nei confronti di questa preoccupante situazione. Le società scientifiche, invece, che hanno il solo scopo di tutelare il diritto dei pazienti all’innovazione, hanno deciso di muoversi e si augurano di trovare nel Governo un valido alleato”.  
22 febbraio 2022
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