Come può tecnologia 3D contribuire al miglioramento della gestione clinica di patologie complesse? Come tutte le innovazioni tecnologiche che interessano il settore biomedicale anche il 3D ha avuto un forte impatto sui processi clinici all’interno dei centri che utilizzano questa tecnologia nelle attività di routine. Tuttavia l’adozione di queste tecnologie e la loro integrazione nella logistica di un sistema ospedaliero non è banale e può rappresentare un primo grande (e talvolta insuperabile) ostacolo all’introduzione delle nuove tecnologie nel contesto clinico.
Dal 2015 l’Ospedale Bambino Gesù di Roma ha adottato la tecnologia 3D nei processi di cura di patologie complesse come strumenti di ausilio al planning pre-operatorio in grado di orientare decisioni chirurgiche molto prima dell’intervento in sala operatoria. In Italia altre realtà ospedaliere complesse hanno introdotto il 3D nelle attività cliniche di routine. Parliamo ad esempio del Policlinico San Matteo di Pavia oppure dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. Molte altre realtà sono in procinto di adottare questa innovazione tecnologica e si trovano attualmente nella fase di programmazione e progettazione di
3D Lab Ospedalieri.
Un 3D LAB Ospedaliero è un laboratorio ubicato all’interno di una struttura sanitaria in grado di ospitare tutta la strumentazione necessaria per produrre “in-house” modelli anatomici paziente specifici, siano essi modelli virtuali oppure modelli di Stampa 3D.
Un laboratorio 3D all’interno di un ospedale deve essere immaginato come un luogo aperto ai clinici della struttura dove chiunque può entrare e confrontarsi con le figure ingegneristiche e tecniche presenti al suo interno. Si tratta a tutti gli effetti di un centro di produzione di informazioni anatomiche direttamente collegato con la Radiologia dalla quale si ottengono le immagini radiologiche che vengono processate all’interno del 3D LAB per restituire al clinico modelli anatomici 3D dettagliati e complessi. E’ molto importante rimarcare il ruolo di un 3D LAB nello stabilire legami multidisciplinari tra il team chirurgico e il personale paramedico che spesso si ritrova proprio all’interno di questa struttura per discutere e affrontare collegialmente casi clinici complessi.
L’ambiente di lavoro di un laboratorio 3D non è quindi da intendere come un laboratorio di patologia clinica o di microbiologia, ambienti normalmente chiusi e con poche relazioni dirette con i clinici della struttura. Tutt’altro: il 3D Lab è da intendersi come un punto di interscambio reciproco e continuo tra medici, ingegneri biomedici e tecnici in un’ottica fortemente interdisciplinare. Il tutto finalizzato ad aumentare la comprensione di patologie complesse e alla programmazione pre-operatoria di interventi chirurgici importanti.
Sulla base di quanto detto è facile comprendere quanto la presenza di un 3D LAB sia molto rilevante in grandi contesti ospedalieri e meno impattante invece su piccole realtà di cura dove la gestione dei casi complessi viene demandata a strutture a più alta complessità. Il livello di complessità delle cure prestata è, di fatto, la prima caratteristica dirimente sull’opportunità di implementare un 3D LAB in un ospedale.
Tecnicamente un laboratorio 3D in un contesto sanitario deve rispondere a delle caratteristiche architettoniche e infrastrutturali in grado di supportare le attività che dovranno svolgersi al suo interno. In linea del tutto generale si dovrebbe considerare la disponibilità di un ambiente di circa 30mq le cui caratteristiche architettoniche rispettino ovviamente le normative vigenti. L’aspetto più rilevante di un ambiente destinato a 3D Lab è la superficie finestrata che dovrebbe essere preponderante per garantire un continuo ricambio d’aria. I processi di stampa 3D infatti possono emettere dei fumi che, sebbene normalmente si mantengono contenuti nei range di non pericolosità per gli operatori, devono poter essere smaltiti adeguatamente. L’utilizzo di cappe localizzate è la soluzione più adeguata a questo tipo di problematica al fine di tutelare la sicurezza dei lavoratori.
Le attrezzature
In un laboratorio 3D generalmente sono presenti le seguenti attrezzature:
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Due o più computer performanti in grado di trattare modelli 3D. Generalmente questo tipo di computer vengono definite “Workstation 3D” proprio perché assemblate rispettando dei requisiti hardware e software minimi in grado di garantire fluidità nel trattamento delle immagini radiologiche 3D. In genere tali workstation sono equipaggiate con software 3D specifici e certificati per l’uso nel settore biomedicale.
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Una tavoletta grafica di medio-grandi dimensioni. Questo strumento consente, attraverso l’uso di una penna direttamente sullo schermo, di eseguire ricostruzioni 3D di parti anatomiche con molta più facilità e precisione. Sappiamo infatti che per creare un modello 3D anatomico a partire da immagini TAC o Risonanza Magnetica è necessario eseguire il cosiddetto processo di “segmentazione” ossia il disegno dell’area anatomica interessata ripetuto per ogni singola “slice” dell’esame tomografico. Talvolta questo processo può durare svariate decine di minuti (se non addirittura diverse ore) ed eseguire la segmentazione con un mouse può risultare molto poco comodo oltre che sicuramente poco accurato. Una tavoletta grafica di qualità risolve il problema tecnico di gestione della segmentazione di dati radiologici.
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Tre tipologie di stampanti 3D, ossia di strumenti in grado di produrre un oggetto fisico a partire da un file 3D virtuale. Le tre tipologie di stampanti generalmente ospitate all’interno di 3D LAB ospedalieri sono le seguenti:
1)
FDM (Fusion Deposition Modeling): si tratta di una tipologia di stampante 3D adatta alla produzione di modelli per chirurgia maxillo facciale e ortopedia. E’ una stampante che usa un filo di termopolimero il quale attraversa un piccolo ago riscaldato deponendosi sul piatto di stampa a creare il modello 3D. La consistenza degli oggetti ottenuti è molto simile a quella degli oggetti costruiti in plastica di uso comune. Il pregio di questo tipo di stampanti è il basso costo delle stesse e dei materiali oltre che la facilità di gestione. Il difetto invece è la necessità di stampare supporti 3D durante la creazione del modello. Tali supporti vengono stampati per sostenere le parti a “sbalzo” del modello stampato durante la fase di stampa e devono essere rimossi manualmente dall’operatore una volta terminato il processo di stampa. Questa fase di rimozione dei supporti è molto difficile nei modelli anatomici cavi (es. cuore, cranio) dove non è sempre possibile rimuovere agevolmente i supporti creando così dei problemi di interpretazione anatomica del modello da parte dei clinici.
2)
SLA (Stereolitografia): è una tipologia di stampante che utilizza resine fotosensibili e biocompatibili per produrre modelli 3D. E’ molto utilizzata per la produzione di dispositivi biomedici ad uso temporaneo sui pazienti quali dime chirurgiche per odontoiatria, chirurgia maxillo facciale e ortopedia. E’ anche utilizzata per la produzione di modelli anatomici completamente trasparenti che offrono una “traguardabilità” delle strutture anatomiche la quale a volte si dimostra molto funzionale all’indagine diagnostica che il clinico esegue sul modello stesso. I pregi delle stampanti SLA sono la possibilità di usare materiali biocompatibili e l’affidabilità del processo di stampa. I difetti invece sono rappresentati da una non facile gestione del modello stampato (il quale va sottoposto ad approfondita pulizia in alcool e fotopolimerizzazione in lampade UV) e la presenza di supporti di stampa.
3)
SLS (Selective Laser Sintering): è una tecnologia di stampa di notevole interesse nell’ambito biomedico perché realizza modelli 3D a partire da polveri di materiale polimerico. Viene utilizzata nella stampa 3D di dispositivi medici altamente affidabili come le dime chirurgiche per chirurgia vertebrale in Poliammide (Nylon) oppure per la stampa di dime chirurgiche per ricostruzioni cranio facciali a partire da resezioni di tibia o perone. Il pregio di queste stampanti è la totale assenza di supporti nella stampa, la possibilità di usare polimeri di grande interesse biomedico e la precisione e accuratezza dei modelli ottenuti. Il difetto, d’altro canto, è l’alto costo della strumentazione e la difficile gestione della stampa che richiede infrastrutture con sistemi di areazione di notevole impatto infrastrutturale.
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Una stazione di lavaggio e post-produzione necessaria per la pulizia e il post-processing dei modelli stampati. E’ particolarmente importante per gli oggetti stampati in con tecnologia SLA che richiedono adeguata pulizia e trattamenti in soluzioni alcoliche.
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Tecnologie di Realtà Virtuale quali visori o haptic systems per il controllo virtuale dei modelli anatomici in modalità immersiva.
Figura 1: esempio di 3D Lab diviso in tre aree: un'area dedicata alla realtà virtuale con l'uso di visori e monitor interattivi per la navigazione anatomica; un'area dedicata alla ricostruzione 3D di immagini anatomiche e progettazione CAD 3D e un'area dedicata alla stampa 3D con ampia superficie finestrata.
LE COMPETENZE e IL PERSONALE
Un laboratorio 3D ospedaliero è un centro di produzione di “informazioni biomediche” che ospita al suo interno figure professionali specifiche in grado di interfacciarsi con i medici della struttura. Si tratta di figure preparate con una specifica competenza relativamente a tutto ciò che ruota intorno al mondo della tecnologia 3D applicata alla medicina. In particolare le figure che, più di altre, risultano essere coerenti con questo ruolo sono:
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Medico Radiologo: è la figura clinica cruciale, indispensabile all’interno di un 3D LAB Ospedaliero. E’ colui che, di fatto, supervisiona tutte le ricostruzioni 3D effettuate dal personale non medico. E’ il professionista che si interfaccia principalmente con il resto dei medici della struttura dai quali comprende le esigenze e le richieste cliniche specifiche.
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Ingegnere Biomedico: figura professionale in grado di gestire e utilizzare le tecnologie 3D più innovative con competenze specifiche acquisite nell’ambito biomedicale e medico-chirurgico. Si occupa nello specifico della ricostruzione di modelli anatomici 3D a partire da immagini radiologiche quali TAC o Risonanza Magnetica. E’ in grado di gestire e governare la strumentazione tecnologica quali stampanti 3D e sistemi di post-produzione dei modelli con competenze di secondo livello anche nelle operazioni di manutenzione e eventuale customizzazione di tali strumenti.
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Personale Tecnico: si tratta di figure professionali molto importanti (es. Tecnico di Radiologia Medica) in grado di seguire specificatamente i processi di stampa e occuparsi della fase di produzione tecnica dei modelli. E’ fondamentale che queste figure possiedano una formazione specifica orientata al biomedicale per ottimizzare la loro attività in funzione dell’obiettivo finale.
LE ASPETTATIVE SULLA TECNOLOGIA 3D IN CONTESTO OSPEDALIERO
Un aspetto particolarmente rilevante dell’introduzione di un’area dedicata alla tecnologia 3D riguarda le “aspettative” che si ripongono in questo tipo di attività sia da parte dei clinici che da parte degli organi di direzione e gestione sanitaria della struttura. E’ importante infatti considerare una serie di aspetti che, insieme, sono in grado di trasformare una innovazione tecnologica in una applicazione pratica di successo oppure, al contrario, in una attività poco impattante sui processi di cura.
In base all’esperienza acquisita dal 2015 ad oggi all’interno dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma nella creazione e gestione di un 3D LAB riepiloghiamo quindi alcuni aspetti cruciali da considerare quando si intende adottare un’innovazione ospedaliera in forma stabile.
Qualsiasi innovazione tecnologica dirompente in un contesto sanitario va comunicata adeguatamente.
L’esigenza di comunicare bene a tutta la struttura sanitaria la tipologia e le potenzialità dell’infrastruttura tecnologica che si intende creare è cruciale per il successo dell’iniziativa. E’ necessario chiarire con estrema trasparenza quali sono le potenzialità e quali sono i limiti della tecnologia 3D in ambito biomedico.
E’ importante capire da subito che non tutto il personale operante all’interno di un contesto ospedaliero conosce il questa tecnologia e non è detto che tutti sappiano cos’è e cosa fa una stampante 3D. E’ pertanto fondamentale spiegarlo in maniera semplice evidenziandone soprattutto i limiti di questa tecnologia. Questo è importante soprattutto per non generare false aspettative orientate dall’entusiasmo mosso soprattutto dalla curiosità di vedere una stampante 3D all’opera nella riproduzione di una parte anatomica di un paziente reale. Curiosità del tutto legittima ma non funzionale agli obiettivi scientifici del progetto.
Ad esempio è fondamentale spiegare ai colleghi medici o, più in generale, a tutti i diretti interessati che la ricostruzione 3D di parti anatomiche
non permette di aumentare l’informazione diagnostica che è già presente nelle indagini radiologiche ma consente di rappresentare quell’informazione in maniera più “vicina” a come l’uomo percepisce la realtà, ossia in forma tridimensionale.
Sebbene inizialmente questa verità possa risultare spiazzante (e forse anche un po deludente) per un clinico che ripone nella tecnologia 3D molte aspettative ben presto lo stesso clinico si accorgerà che avere tra le mani la stampa 3D fisica di un organo specifico di un paziente ancora prima di approcciare chirurgicamente al paziente stesso è un grande valore aggiunto molto rilevante nel formulare una strategia chirurgica.
Diffondere il concetto di “appropriatezza” nell’uso della tecnologia 3D
Di questo concetto abbiamo già accennato nei precedenti articoli della nostra rubrica. E’ fondamentale che la curiosità e l’interesse generale nella produzione di parti anatomiche tramite stampa 3D non prenda il sopravvento sull’appropriatezza clinica. Ogni ricostruzione 3D anatomica effettuata a partire da indagini radiologiche del paziente, sia essa soltanto virtuale oppure fisica tramite stampa 3D, deve essere giustificata da una reale esigenza clinica, da un quesito diagnostico oppure, più in generale, dall’esigenza del medico di comprendere meglio il caso clinico che si appresta a trattare.
Quando questi requisiti di appropriatezza (peraltro già ben collaudati nell’ambito della medicina di laboratorio, ad esempio) non vengono rispettati è necessario limitare l’attività di produzione 3D la quale rappresenta un costo sia in termini di risorse umane che in termini di materiali di consumo.
L’appropriatezza nell’uso delle ricostruzioni 3D o della Stampa 3D in un ospedale deve inoltre servire a valorizzare questa tecnologia dal punto di vista scientifico e tecnologico evitando così brutali banalizzazioni della stessa.
Ridimensionare l’idea di un facile Return of Investment (ROI) da un 3D Lab Ospedaliero
Si tratta di un tema particolarmente delicato perché riguarda la quantificazione del ritorno economico atteso dall’investimento necessario per realizzare un’infrastruttura 3D all’interno di un contesto ospedaliero. E’ un tema di gestione e management sanitario che di fatto esula dagli scopi di questo articolo ma è fondamentale poter fare un breve accenno per ridimensionare l’eccesso di aspettative in termini economico-finanziari. Il giusto approccio di management alla creazione di un 3D Lab Ospedaliero è quello che guarda a questa tecnologia prima di tutto come una
grande opportunità per il paziente, per migliorare e rendere più sicuro il suo processo di cura (specie se parliamo di cure chirurgiche). Non è quindi consigliabile affrontare la messa in funzione di un 3D LAB in un contesto sanitario puntando lo sguardo al ritorno dell’investimento iniziale perché si rischia di perdere di vista l’obiettivo primario di questa tecnologia che non è quello di generare utili per la struttura che la adotta (almeno non direttamente). Tuttavia esistono una serie di opportunità di ritorno dell’investimento che definirei “indirette” e che possono arrivare dall’uso della tecnologia 3D in un ospedale in maniera sistematica e routinaria.
Per fare degli esempi concreti possiamo citare la riduzione dei tempi operatori grazie alla stampa 3D pre-operatoria di modelli anatomici paziente specifici. Nell’ambito dell’attività di routine dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma abbiamo potuto appurare che l’uso di modelli di Stampa 3D per la chirurgia maxillo facciale consente un risparmio di circa il 40% del tempo operatorio. Questo genera una conseguente ottimizzazione della logistica interna e della gestione delle sale operatorie. Un ulteriore esempio di possibile ritorno dell’investimento indiretto è la possibilità di esportare servizi 3D all’esterno dell’ospedale ponendosi come “service” per strutture terze che intendono usufruire di tale tecnologia affidando la gestione 3D dei propri casi clinici in “outsourcing”. In generale, quindi, i benefici economici che possono derivare dall’utilizzo della tecnologia 3D in un contesto ospedaliero sono perlopiù indiretti.
In conclusione
Abbiamo ormai capito che l’introduzione di tecnologie innovative in medicina è ormai da considerare un enorme valore aggiunto al lavoro del medico e, in generale, dell’intera struttura sanitaria. Pensiamo alla robotica in chirurgia, oppure all’intelligenza artificiale oppure alle reti internet ultraveloci che consentono di azzerare le distanze geografiche permettendo ad un chirurgo che si trova ad Hong Kong di operare un paziente in California. La tecnologia 3D rientra tra queste incredibili opportunità di avanzamento di conoscenze, competenze e opportunità. Come per tutte le innovazioni mediche anche il 3D richiede competenze specifiche e spiccate capacità di essere strettamente centrato nel contesto clinico per consentire una diretta applicabilità clinica di questa tecnica dal 3D LAB al letto del paziente.
Utilizzare uno strumento di ausilio chirurgico, quali ad esempio i modelli anatomici o la stampa 3D di parti anatomiche paziente-specifiche, significa comprendere le potenzialità e i limiti di una tecnologia interessante che, laddove incontra l’interesse di medici che ne comprendono a pieno l’utilità, può davvero fare la differenza nei processi di diagnosi e cura dei pazienti.
Aurelio Secinaro
Responsabile Radiologia Toracica e Cardiovascolare Avanzata, Coordinatore del Laboratorio 3D, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Luca Borro
Ingegnere Biomedico, Laboratorio 3D, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma