La stampa 3D è una tecnologia che nasce intorno al 1986 con l’ingegnere e inventore statunitense Chuck Hull, il primo di fatto a inventare la Stereolitografia ossia una particolare tecnica di stampa 3D che utilizza la resina come materiale di stampa.
Non è affatto scontato che tutti conoscano il significato di “Stampa 3D” e non è certo improbabile che qualcuno possa pensare che la Stampante 3D sia semplicemente una normale stampante per fogli di carta semplicemente un po' più evoluta. Questo non certo per ignoranza sul tema ma semplicemente perché questa tecnologia, sebbene sia oggi diffusissima in tutto il mondo, rimane ancora un’applicazione di nicchia.
Il mercato della stampa 3D è stato valutato circa 12 mila miliardi di dollari nel 2020 negli Stati Uniti con un tasso di crescita annuo previsto intorno al 17% tra il 2020 e il 2023
1. Stiamo però parlando di stampa 3D in generale, quella cioè che interessa tutti gli ambiti industriali. Se confinassimo la nostra analisi al solo settore biomedicale invece la stampa 3D ha un mercato stimato intorno ai 2,4 mila miliardi di dollari
2.
La Stampa 3D è una tecnologia che permette di creare oggetti fisici a partire da progetti 3D virtuali. Si parte cioè da un modello 3D realizzato al computer il quale viene poi inviato alla stampante che lo produce fisicamente in vari materiali. Questa tecnologia è dirompente perché permette a tutti di creare oggetti personalizzati e richiede delle infrastrutture relativamente accessibili senza enormi costi di acquisto e di gestione. La possibilità di personalizzazione degli oggetti che la stampante 3D offre è stata immediatamente intercettata dal settore biomedicale dove la customizzazione dei dispositivi gioca spesso un ruolo cruciale nei processi di cura.
Nel settore biomedicale l’uso della Stampa 3D risale a circa 30 anni fa, precisamente nel 1990 quando questa tecnologia iniziava ad essere utilizzata nel settore dentale. Successivamente anche la protesica ortopedica ha sfruttato le potenzialità delle stampanti 3D per produrre i primi prototipi di protesi paziente-specifiche. L’odontoiatria rimane però di fatto la disciplina pioniera dell’uso del 3D printing in medicina, disciplina che ha saputo applicare direttamente alla pratica clinica i prodotti ottenuti tramite questa tecnologia.
Alla fine degli anni 90 la stampa 3D iniziava a suscitare l’interesse dei medici e dell’ingegneria biomedica che vedeva in questa tecnica una grande possibilità di sviluppo nell’ambito clinico e biomedico. Sviluppo che, tuttavia, non era ai tempi ben inquadrato e orientato. Si percepiva fortemente la potenzialità di questi strumenti innovativi ma non se ne conoscevano nel dettaglio gli ambiti clinici concreti in questa poteva essere applicata. Solo successivamente la stampa 3D inizia ad essere utilizzata per la produzione di modelli anatomici ricavati da immagini radiologiche i quali svolgeranno un ruolo molto rilevante nella pianificazione pre-operatoria di casi clinici complessi, ruolo che tali modelli tutt’oggi rivestono.
Motivi per cui la Stampa 3D è considerata una tecnologia importante nell’ambito biomedicale
Di fronte a ogni innovazione tecnologica si riscontrano sempre approcci contrastanti. C’è chi sposa le innovazioni accogliendole con interesse e chi le respinge a causa di una scarsa predisposizione ad abbandonare i protocolli tradizionali che svolgono un ruolo a volte troppo “rassicurante”.
Sin dal momento della sua introduzione anche la stampa 3D in medicina ha determinato questi due sentimenti di accettazione e rifiuto. Il rifiuto viene generalmente anteposto all’approfondimento della tecnologia innovativa e pertanto è mosso quasi esclusivamente da una presa di posizione aprioristica sulla presunta scarsa utilità clinica di metodiche così innovative (e magari low-cost) rispetto ai più consolidati capisaldi tradizionali della pratica medica.
La Stampa 3D è generalmente riconosciuta come una innovazione tecnologica di assoluto interesse nei contesti clinico, biomedico e di cura del paziente anche se ad oggi essa è presente solo in pochi centri ospedalieri che sono generalmente quelli a più alta complessità, questo a causa delle competenze che la stampa 3D in medicina richiede sia in termini di uso di strumenti software di ricostruzione anatomica 3D e sia in termini di uso della stampante stessa. Rispetto a 10 anni fa però le cose stanno cambiando e molti centri ospedalieri hanno già acquisito questi strumenti che sono entrati a far parte della routine quotidiana di cura e diagnosi dei pazienti. Altri invece stanno ipotizzando la nascita di piccoli laboratori 3D all’interno di ospedali e strutture sanitarie da utilizzare quando si presentano all’attenzione del team chirurgico casi clinici complessi che richiedono un approccio e un’analisi più evoluta.
Tutta la letteratura scientifica in merito all’uso della tecnologia 3D in medicina è comunque concorde nel dire che questa innovazione tecnologica consente di:
• Risparmiare tempi operatori
• Ridurre pericoli intra e post operatori per il paziente (sanguinamento, tempi anestesiologici)
• Migliorare le performance chirurgiche degli operatori potendo questi eseguire l’intervento prima su modello e poi su paziente.
• Migliorare la comprensione di condizioni patologiche complesse soprattutto nell’ambito cardiochirurgico, chirurgico toracico, ortopedia e chirurgia maxillo facciale;
• Migliorare la comunicazione dei casi clinici tra i membri del team medico e paramedico;
• Migliorare la comunicazione medico paziente finalizzata ad una maggiore comprensione del consenso informato.
Applicazioni cliniche della stampa 3D nel settore biomedicale
Da una veloce revisione della letteratura scientifica biomedica su Pubmed relativamente al tema della Stampa 3D in medicina negli ultimi 10 anni otteniamo circa 17 mila risultati di ricerca. Questo dimostra l’attenzione notevole che la comunità scientifica rivolge a questa tecnologia applicata al settore biomedicale.
Oggi la stampa 3D in medicina è applicata clinicamente in numerosi contesti e specialità mediche. Se volessimo stabilire un ordine di specialità mediche che utilizzano attivamente questa tecnologia ordinandole in ordine decrescente per intensità di utilizzo avremmo che l’Odontoiatria e la Chirurgia Maxillo Facciale occuperebbero senz’altro il primo posto, seguite dall’Ortopedia, Cardiochirurgia, Chirurgia Generale e Neurochirurgia.
Quest’ordine preciso deriva da una serie di considerazioni molto pratiche sulle caratteristiche proprie della stampa 3D. La stampante 3D infatti è uno strumento che riesce a produrre molto bene modelli rigidi, non particolarmente complessi e normalmente privi di cavità difficili da stampare. Più difficile invece è stampare parti anatomiche in materiali morbidi volti a simulare i tessuti molli.
L’odontoiatria e la chirurgia maxillo facciale in effetti hanno interesse alla stampa 3D delle arcate dentarie e delle ossa del cranio, entrambe parti anatomiche non particolarmente difficili da riprodurre tramite Stampa 3D sia per la consistenza rigida di queste parti sia per la geometria non particolarmente articolata.
L’odontoiatria utilizza la stampa 3D per numerosissime applicazioni cliniche rivolte direttamente al paziente. Parliamo della produzione di guide chirurgiche per implantologia, modelli di allineatori ortodontici invisibili, bite dentali, denti provvisori stampati in 3D con resine in grado di rimanere nel cavo orale per lunghi periodi.
La chirurgia maxillo facciale utilizza questa tecnologia per la stampa 3D di parti anatomiche del distretto cranio facciale finalizzate sia allo studio preoperatorio dei casi clinici ma anche alla pre-piegatura delle placche metalliche di osteosintesi direttamente sulla stampa 3D anziché sul paziente, risparmiando così circa il 40% del tempo operatorio per ogni singolo intervento chirurgico.
La Cardiochirurgia e la Chirurgia Generale sono due discipline che utilizzano molto la stampa 3D per la produzione di modelli anatomici ricavati da immagini radiologiche (TAC e RMN) finalizzate principalmente alla pianificazione chirurgica. La neurochirurgia invece si pone all’ultimo posto perché le dimensioni molto contenute delle strutture anatomiche del cervello rende non sempre utile una visualizzazione prechirurgica del caso clinico tramite modello anatomico stampato in 3D. Piuttosto per la Neurochirurgia ha particolare importanza l’uso della Realtà Virtuale e della Realtà Aumentata, due scenari di innovazione tecnologica di notevole impatto nel settore medicale.
Quando parliamo di stampa 3D nell’ambito biomedicale è fondamentale tenere presente che nella maggior parte dei casi si sta parlando di produzione di modelli anatomici non impiantabili, stampati in materiali non biocompatibili finalizzati esclusivamente allo studio pre operatorio di casi clinici che interessano la chirurgia complessa. E’ quindi molto rilevante tenere presente che tutte le specialità mediche che usano la stampa 3D nella loro routine clinica sono orientate all’uso di modelli anatomici per approfondire diagnosi complesse al fine di facilitare il percorso chirurgico del paziente potendo contare su un aumento della preparazione chirurgica del medico grazie ad un training realizzato prima sui modelli anatomici paziente specifici e, solo alla fine, sul paziente. E’ facile immaginare quindi quanto questa tecnologia assuma rilevanza nel contesto del training per giovani chirurghi in formazione spesso impossibilitati a svolgere esercitazioni hands-on su cadavere o su animale.
Tuttavia una buona parte della produzione biomedica in stampa 3D è riservata proprio a dispositivi impiantabili con enormi benefici in termini di compliance del paziente ad interventi chirurgici complessi.
Stiamo parlando ad esempio di dispositivi per la ricostruzione di difetti della teca cranica generalmente stampabili in 3D in biopolimero e applicabili direttamente su paziente, oppure di protesi metalliche custom made prodotte tramite stampanti 3D che usano polveri di titanio per realizzare fisicamente una protesi precedentemente disegnata da ortopedici e ingegneri biomedici sulla base di dati radiologici del paziente.
Spingendoci su applicazioni più complesse possiamo riportare i casi di stampa 3D di dispositivi biocompatibili e biodegradabili per il ripristino del diametro bronchiale in pazienti affetti da patologie degenerative come la tracheobroncomalacia. Si tratta di dispositivi aventi geometria semicilindrica stampati in 3D con biopolimeri quali Policaprolattone il quale presente biocompatibilità e tempi di biodegradabilità controllati. Tali dispositivi vengono impiantati esternamente alla parete bronchiale con la finalità di esercitare una trazione radiale sulla parete bronchiale in grado di mantenere pervia la via aerea interessata da fenomeni malcico-degenerativi. Il dispositivo così prodotto viene innestato direttamente in vivo nel paziente e determinerà, come fenomeno di risposta infiammatoria, la formazione di tessuto fibroso peribronchiale. Tale circostanza fisiologica consente al bronco di riacquisire una certa rigidità strutturale che si manterrà stabile nel tempo in grado di riconferire la funzione aerea al bronco evitando così ai pazienti il ricorso quotidiano alla ventilazione meccanica.
Quest’ultima applicazione del 3D printing in medicina si può considerare altamente specialistica, quasi di frontiera, ma di fatto rappresenta il futuro di questa tecnologia in medicina. La stampa 3D è una innovazione tecnologica che ha enormi potenzialità per avvicinarsi sempre di più alla rigenerazione tissutale e all’emulazione dei tessuti biologici. Si arriva così al Bioprinting evoluzione massima della tecnologia 3D in grado di stampare cellule e materiale extracellulare al fine di rigenerare tessuti danneggiati.
Appropriatezza Clinica: evitare la spettacolarizzazione del 3D Printing in medicina
Uno dei pericoli principali a cui la tecnologia 3D printing in un contesto ospedaliero va incontro è quella della spettacolarizzazione dei risultati. Come già anticipato in un
precedente articolo la stampa 3D di parti anatomiche derivate da immagini radiologiche del paziente suscita grande interesse non solo dal punto di vista scientifico ma anche dal punto di vista mediatico. In generale vedere un organo di una persona reale stampato in 3D genera curiosità che a volte può diventare un preteso scientificamente poco ortodosso per richiedere la produzione di modelli anatomici senza alcun criterio di appropriatezza clinica.
L’uso di stampanti 3D in contesti ospedalieri richiede la definizione di un budget da allocare a tali attività oltre alla presenza di personale specializzato (spesso ingegneri biomedici) con competenze specifiche per governare questo tipo di attività. Per questi motivi e per evitare che uno strumento utile alla clinica e al miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti possa diventare uno strumento finalizzato ad appagare la curiosità personale è fondamentale stabilire un criterio di appropriatezza clinica nell’uso dei modelli anatomici di stampa 3D.
Non sempre infatti la stampa 3D può contribuire a fornire un valore aggiunto ad una valutazione clinica o ad un intervento chirurgico complesso. A volte tutto ciò che viene offerto dalla radiologia tradizionale è pienamente sufficiente a rispondere ai quesiti diagnostici e a orientare la strategia chirurgica. In queste circostanze risulta pertanto inappropriato approfondire con applicazioni di livello superiore come la Stampa 3D. In molti altri contesti invece la disponibilità di una stampa 3D della parte anatomica del paziente oggetto di studio è cruciale per stabilire la giusta strategia chirurgica e per comunicarla al resto del team.
L’appropriatezza clinica unita al buon senso del riconoscere a questa tecnologia un valore importante nel processo diagnostico e di cura sono le basi per non sminuirne le potenzialità e per valorizzare l’innovazione tecnologica mantenendo il focus sull’unico grande obiettivo finale che è il miglioramento delle condizioni cliniche del paziente.
Stampa 3D di un modello anatomico di cuore il cui modello è stato ricostruito in 3D a partire dalle immagini radiologiche TAC del paziente. La stampante 3D usata sfrutta la tecnologia FDM (Fused Deposition Modeling) in grado di estrudere a caldo un filamento di termopolimero (in tal caso Acido Polilattico – PLA).
Stampa 3D del modello anatomico complesso di una coppia di gemelle siamesi operata con successo presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Il modello tridimensionale è stato ricostruito dall’unione di immagini radiologiche TAC + RMN e la stampa è stata eseguita con resine trasparenti e multicolore.
Stampa 3D di una rotoscoliosi complessa. Modello stampato in 3D con tecnologia FDM in 12 ore e finalizzato allo studio preoperatorio del caso clinico.
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https://www.statista.com/statistics/315386/global-market-for-3d-printers/#:~:text=The%20worldwide%20market%20for%203D,patents%20in%20the%20United%20States.
2)
https://www.marketsandmarkets.com/Market-Reports/3d-printing-medical-devices-market-90799911.html
Aurelio Secinaro, Responsabile Radiologia Toracica e Cardiovascolare Avanzata, Coordinatore del Laboratorio 3D, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Luca Borro, Ingegnere Biomedico, Laboratorio 3D, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma