11 maggio -
Chemio, radioterapia, interventi chirurgici, continui accertamenti diagnostici. Sono tappe obbligate, fasi di un calvario che chi riceve una diagnosi di cancro deve affrontare. Ma anche quando arriva la guarigione non è finita. I primi 5 anni sono fondamentali per scongiurare di riammalarsi. E dopo, forse, si può immaginare di ritornare alla vita di prima. Ma che la sua qualità sia la stessa di un tempo nessuno può assicurarlo. I percorsi di riabilitazione, di assistenza psicologica, sono troppo pochi. Non sempre c’è qualcuno che riconduca “per mano” il paziente alla sua esistenza di un tempo.
“Oggi, la nuova sfida della sopravvivenza al cancro, per i pazienti e i clinici, è quella di andare oltre la qualità delle cure e garantire la qualità della vita”. Una sfida proposta da Francesco De Lorenzo, presidente Favo, la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia. In occasione della presentazione del Rapporto Airtum 2016 sulla sopravvivenza dei pazienti oncologici in Italia, De Lorenzo ha sottolineato quanto l’Italia si stia impegnando proprio in questa direzione.
Il progetto dell'Europa
A livello europeo, grazie alla Joint Action on Cancer Control, che fornisce ai governi europei le prime linee guida per la definizione di una pianificazione adeguata ai progressi ed ai problemi della sopravvivenza, 17 Paesi stanno progettando insieme proprio un percorso di assistenza per quei pazienti che hanno vinto contro il cancro.
Il manuale: “La vita dopo il cancro”
“L’Italia è in prima linea nel progetto europeo”, ha aggiunto il presidente Favo. È stato già pubblicato un volume “La vita dopo il cancro. Consigli utili per il ritorno alla normalità”, a cui hanno collaborato Aiom, Airo, Airtum, Cipomo, Favo, Fimmg, Sico, Simg e Sipo.
Se le aspettative di vita di chi si ammala di tumore sono migliorate, allora il numero di anziani aumenterà di pari passo. Si stima che nel 2030 rappresenteranno il 30% della popolazione italiana. “La cronicizzazione della malattia o la completa guarigione dal cancro – ha detto Raniero Guerra, Direttore generale della Prevenzione Sanitaria al ministero della Salute – hanno creato una fetta di popolazione che in passato non esisteva. Prima al tumore si sopravviva di rado. Quindi bisogna prepararsi a gestirne le esigenze e soprattutto far fronte ad un numero che è destinato ad aumentare".
“In Italia ci sono 900 mila persona guarite dal cancro. Di loro sappiamo ben poco, se non che molti ricorrono a pensioni di invalidità o altri aiuti perché, una volta sconfitta la malattia, non sono più in grado di tornare ad una esistenza normale. Eppure vorrebbero tornare alla vita di prima. Purtroppo oggi non sempre è possibile, perchè manca una riabilitazione che non sia solo fisica, ma anche di carattere psicologico, sessuale, nutrizionale”.
“E non si riesce a ritornare ad una vita normale – ha aggiunto Carmine Pinto, presidente nazionale Aiom – è inevitabile che le condizioni del paziente si traducano in un peso non solo per la spesa sanitaria ma anche per quella sociale”.
Una riabilitazione che si rende necessaria anche per monitorare gli effetti tardivi del tumore: il 14% sviluppa un cancro diverso da quello di cui si è ammalato in precedenza. “Ci sono patologie che minano pesantemente la condizione di salute del malato – ha continuato De Lorenzo – da quelle cardiache a quelle vascolari. Come Associazione dei malati abbiamo monitorato i luoghi di Italia dove è presente questo tipo di riabilitazione. Esiste in Piemonte e in Toscana”.
Una situazione, dunque, che ancora una volta divide le regioni e soprattutto i destini dei cittadini italiani. “Differenze - ha concluso il Presidente Favo - che potranno essere sanate solo con una messa in rete di tutte le strutture di cura oncologiche presenti sul territorio”.
Una soluzione che potrebbe evitare la migrazione dei malati, obbligati a curarsi lontano da casa. E soprattutto potrebbe impedire che, altri ancora, non avendo la possibilità economica di fare le valige e partire, siano costretti a rinunciare alla speranza di una guarigione.