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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Ecco la dieta ideale per le persone con diabete. Dall’antipasto anti glicemia al pesce azzurro

5 maggio - A fare il pieno di consensi, ancora una volta, è la dieta mediterranea della quale gli studi presentati al congresso della Società Italiana di Diabetologia hanno dimostrato gli effetti anti-infiammatori, ma anche quelli ‘ringiovanisci-arterie’; per quanto riguarda quest’ultimo effetto molto interessante ad esempio è l’effetto esercitato dal consumo di pesce azzurro.
 
Un suggerimento di immediata utilità pratica e di grande impatto sul contenimento dei picchi di glicemia dopo i pasti che risultano pericolosi per il sistema vascolare in quanto innestano processi cellulari in grado di terminare un aumento dello stress ossidativo e dell’infiammazione viene da due studi presentati dall’Università di Pisa che dimostrano come il consumo di alimenti contenenti proteine e lipidi prima di pasti a prevalente contenuto di carboidrati (pane e pasta), aiuta a contenere le escursioni della glicemia dopo i pasti.
 
Il ‘trucco’ sta nel concedersi un antipasto proteico (un pezzetto di parmigiano o un antipasto a base di uova sode) o addirittura nel consumare il secondo prima dei ‘primi’. Importante per il contenimento dei picchi di glicemia post-prandiali è non solo la quantità e la qualità dei carboidrati (ad alto o a basso indice glicemico), ma anche il tipo di condimento utilizzato. Se si opta per l’olio d’oliva non si sbaglia; l’effetto anti-picchi di glicemia è garantito.
 
“La dieta costituisce un vero strumento terapeutico che affianca la terapia farmacologia durante tutto il decorso della malattia diabetica – commenta il professor Giorgio Sesti, presidente eletto Sid – I benefici della dieta non sono solo quelli di controllare il possibile aumento di peso ma anche quelli di migliorare il controllo glicemico e di prevenire eventi cardio-vascolari attraverso la riduzione dei fattori di rischio come i lipidi o la pressione arteriosa”.
 
“La dieta - prosegue Sesti - non significa sempre privazione di gusto o dieta fortemente ipocalorica. Un ottimo esempio di alimentazione sana, variata e vicina alle nostre preferenze è la dieta mediterranea non a caso iscritta dall’Unesco tra i Patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È un’alimentazione ricca di fibre provenienti da ortaggi, frutta e cereali non raffinati e povera di grassi di origine animale, privilegia l’uso dell’olio d’oliva rispetto a burro. Via libera a frutta e verdura, soprattutto verdura a foglia (bieta, spinaci, broccoletti e cicorie, compresi i radicchi) e ortaggi a radice (carote, barbabietole, rape), ma anche pomodori e carciofi, veri e propri alimenti nutraceutici. Per l’apporto di carboidrati sono da prediligere vegetali, legumi, frutta e cereali preferibilmente integrali, mentre sono da limitare il consumo di pane bianco, troppo ricco di zuccheri semplici come la rosetta (o michetta), pizza e pasta”.
 
L'antipasto che protegge dai picchi di glicemia
Per non sbagliare conviene innanzitutto partire col piede giusto, come dimostra uno studio firmato da Emanuele Filice e colleghi del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa che dimostra come gli antipasti ricchi a base di proteine e lipidi (ad esempio un pezzetto di parmigiano o un uovo sodo) aiutano a controllare meglio la glicemia dopo un pasto a base di carboidrati. L’ingestione di alimenti non glucidici migliora la risposta glicemica acuta (2-3h) ad un successivo carico orale di glucosio (OGTT) attivando diversi meccanismi fisiologici tra cui il rallentamento dello svuotamento gastrico. Scopo di questo studio è stato indagare gli effetti di un pasto misto, lipidico e proteico, sulla tolleranza al glucosio a distanza di qualche ora dal pasto (fase post prandiale tardiva). 
 
Otto pazienti con diabete mellito di tipo 2 ben controllato sono stati sottoposti a due OGTT della durata di 5 ore, preceduti dall’assunzione di 500 ml di acqua, oppure di un uovo sodo, 50 g di parmigiano e 300 ml di acqua. Per valutare la velocità di comparsa in circolo del glucosio assunto con l’OGTT è stato impiegato un tracciante stabile del glucosio (U-[13C]glucosio). Durante i test sono stati misurati i livelli plasmatici di glucosio, U-[13C]glucosio, insulina, C-peptide, glucagone, GIP, GLP-1. E’ stata inoltre stimata la secrezione, la clearance e la sensibilità insulinica ed è stato applicato un modello matematico per valutare le diverse componenti della funzione β cellulare. In seguito all’ingestione dei nutrienti, è stata osservata una riduzione significativa della risposta glicemica (iAUC -28%, p<0.03), della glicemia esogena (iAUC -30%, p<0.03), della clearance insulinica (-28%, p<0.04) e un incremento dell’insulinemia (iAUC +52%, p<0.003), della secrezione insulinica (iAUC +22%, p<0.003) e della funzione β cellulare sia stimolata (β cell glucose sensitivity +44%, p<0.009) sia basale (insulin secretion at fasting glucose +24%, p<0.009). Questi effetti erano associati ad un potenziamento della secrezione di GLP-1 (iAUC +463%, p<0.002), GIP (iAUC +152%, p<0.0003) e glucagone (iAUC +144%, p<0.0002).
 
I ricercatori concludono dunque che partire con un antipasto a base di proteine e lipidi migliora sensibilmente la tolleranza ad un successivo pasto ricco di glucidi in pazienti con diabete mellito di tipo 2. Questo effetto è sostenuto durante l’intera fase postprandiale ed è determinato da una rallentata comparsa in circolo del glucosio orale, un miglioramento della funzione β cellulare ed una ridotta clearance insulinica. Questi risultati supportano dunque il potenziale ruolo terapeutico di “antipasti” non glucidici nel trattamento del diabete mellito di tipo 2.
 
(Effetto di un antipasto a base di nutrienti proteici e lipidici sulla tolleranza al glucosio durante l'intera fase postprandiale in pazienti con diabete mellito di tipo 2 E. Filice, D. Tricò, S. Baldi, A. Natali)
 
Nella dieta anti-diabete, meglio il secondo prima… dei primi!
Lo stesso gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa, in un altro studio dimostra che modificare l’ordine dell’ingestione degli alimenti in un pasto, in pratica consumando prima il secondo (a base di lipidi e proteine), poi il primo migliora la risposta glicemica a un successivo carico orale di glucosio nelle persone con diabete di tipo 2, rallentando l’assorbimento intestinale del glucosio, potenziando la funzione beta cellulare e riducendo la clearance insulinica. 17 pazienti diabetici in buon controllo glicemico sono stati randomizzati a seguire per 8 settimane una dieta ipocalorica standard o una dieta ipocalorica sperimentale, nella quale veniva richiesto di consumare alimenti ad alto contenuto di carboidrati (es. pane e pasta) solo dopo alimenti a prevalente contenuto di proteine e lipidi (ad esempio carne e formaggi) ai pasti principali (pranzo e cena).
 
Nel corso dello studio sono stati misurati glicemia, emoglobina glicata, peso, indice di massa corporea, massa grassa, circonferenza vita, pressione arteriosa, profilo lipidico, funzione epatica e renale. Sono stati inoltre raccolti dati relativi all’automonitoraggio glicemico domiciliare e all’aderenza alla dieta.

Il regime dietetico sperimentale è risultato ben tollerato e neutrale sul profilo lipidico e sugli indici di funzione epatica e renale. A fronte di un calo ponderale (-1.9 kg) e di una riduzione del grasso viscerale (circonferenza vita -2.9 cm) simili a quelli ottenuti con la dieta di controllo, il regime dietetico sperimentale induceva un significativo miglioramento globale del controllo glicemico (emoglobina glicata -0.3%), riducendo sia la glicemia a digiuno (-1.0 mmol/l,), sia le escursioni glicemiche postprandiali (pranzo: -1.8 mmol/l; cena: -1.0 mmol/l). L’effetto ‘acuto’ di proteine e lipidi sulla tolleranza glucidica è persistente e può essere attivato nella vita reale manipolando la sequenza di ingestione dei macronutrienti. Questo intervento dietetico secondo gli autori è sicuro, ben tollerato, facilmente praticabile. E soprattutto efficace.
 
(Modificare la sequenza di ingestione degli alimenti migliora il controllo glicemico in pazienti con diabete mellito di tipo 2 D. Tricò1 E. Filice1 A. Natali1 1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa)
 
Anche l’olio d’oliva ‘lima’ i picchi di glicemia dopo i pasti
La risposta della glicemia dopo un pasto può essere influenzata oltre che dalla quantità e qualità dei anche dalla quantità dei grassi. Uno studio è andato a valutare se anche la qualità dei grassi e l’interazione tra qualità/quantità di grassi e carboidrati possano influenzare la risposta della glicemia dopo i pasti. A tale scopo sono stati presi in considerazione pasti con la stessa quantità di carboidrati ma diversi per indice glicemico, quantità e qualità di grassi (grassi monoinsaturi, MUFA, o saturi, SAFA). 13 pazienti con diabete di tipo 1 trattati con microinfusore di insulina hanno consumato a casa a pranzo, nell’arco di 2 settimane, 3 pasti ad alto (AIG) e 3 a basso (BIG) indice glicemico. In ciascun gruppo (AIG o BIG) i pasti differivano per quantità/qualità dei grassi: 1) NoG: povero in grassi, 2) SAFA: ricco in burro, 3) MUFA: ricco in olio extra-vergine d’oliva (OEVO).

Il profilo glicemico è risultato significativamente diverso tra i pasti a basso e ad alto indice glicemico; in particolare i pasti ad alto indice glicemico provocano un picco di glicemia precoce (156±26 min) e mentre la glicemia tende a salire più tardivamente nei pasti a basso indice glicemico (253±27 min). Nell’ambito dei pasti ad alto indice glicemico, la risposta della glicemia post-prandiale risulta decisamente inferiore dopo un pasto contenente olio d’oliva, rispetto ai pasti poveri di grassi o a quelli ricchi di burro. Nell’ambito dei pasti a basso indice glicemico, non sono state osservate differenze significative di risposta glicemica post-prandiale tra pasti poveri di grasso, conditi con olio o con burro.

Gli autori concludono dunque che la qualità dei carboidrati (alto o basso indice glicemico) influenza il la risposta della glicemia dopo un pasto. Il consumo di olio d’oliva in un pasto ad alto indice glicemico abolisce il picco glicemico postprandiale osservato invece con il burro o nei pasti a basso contenuto di grassi. Pertanto, per ottimizzare la dose prandiale di insulina nei pazienti con diabete mellito di tipo1 è necessario considerare oltre alla quantità di carboidrati (‘conta dei carboidrati’) e alla loro qualità, anche la qualità di grassi.
 
(L'olio extra-vergine di oliva riduce la risposta glicemica a pasti ad alto indice glicemico in pazienti con diabete tipo 1 L. Bozzetto1 A. Alderisio1 M. Giorgini1 F. Barone1 A. Giacco1 G. Riccardi1 A. A. Rivellese1 G. Annuzzi1 1Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia Univesrità Federico II, Napoli)
 
La dieta mediterranea ringiovanisce le arterie
La dieta è un fattore importante anche nei riguardi della salute delle arterie, che sono purtroppo un obiettivo ‘preferenziale’ dei danni prodotti dal diabete. Per questo, in particolare nelle persone con diabete è importante che la dieta sia ‘protettiva’ nei confronti dei vasi, in particolare del loro delicato e importantissimo rivestimento interno, l’endotelio. Uno studio effettuato dai ricercatori della Seconda Università di Napoli¹ è andato a valutare gli effetti della dieta mediterranea sulla capacità rigenerativa dell’endotelio nei soggetti con diabete di tipo 2. Di questo tipo di dieta sono già ben note le proprietà cardioprotettive.
 
Questo studio ha indagato la possibilità che la dieta mediterranea influenzi i livelli circolanti di cellule progenitrici endoteliali (EPCs) nei pazienti con diabete di tipo 2 e se questo effetto si mantiene nell’arco di 4 anni di follow-up. 215 uomini e donne con diabete di tipo 2 di nuova diagnosi sono stati assegnati con modalità randomizzata a 2 bracci di trattamento [dieta mediterranea (n=108) o dieta a basso tenore di grassi (n=107)] e seguiti per un follow-up di 4 anni. Alla visita basale e al termine di ciascun anno, sono stati valutati i livelli di sette fenotipi di EPCs, risultanti dalla combinazione dei tre antigeni di superficie CD34, CD133 e KDR.

Ad un anno, il numero delle cellule CD34+KDR+ e CD34+KDR+CD133+ ha mostrato un incremento significativo nel gruppo dieta mediterranea rispetto a quello con dieta a basso tenore di grassi (P <0,01). I pazienti diabetici con score di aderenza alla dieta mediterranea più alti (6-9) presentavano livelli più elevati di cellule CD34+KDR+ rispetto ai pazienti diabetici con minore compliance (P = 0.001).
 
L’aumento dei livelli circolanti delle cellule CD34+KDR+ mostrava una correlazione diretta con le modifiche dell’assetto lipidico e dei grassi monoinsaturi (r = 0,21 e 0,28, rispettivamente; p <0,001 per entrambi) ed inversa con le modifiche nel profilo glicemico (r = -0.19 , p = 0,01). L’aumento delle cellule CD34+KDR+ e CD34+CD133+KDR+ nel gruppo dieta mediterranea risultava sostenuto nei 4 anni di follow-up. In conclusione, lo studio ha dimostrato che seguire una dieta di tipo mediterraneo porta ad un aumento delle cellule progenitrici endoteliali nei pazienti con diabete di tipo 2 di nuova diagnosi; questo suggerisce un effetto benefico di tale regime alimentare sulle capacità rigenerative dell’endotelio.
 
¹ (Effetti della dieta mediterranea sulle capacità rigenerative dell'endotelio nel diabete di tipo 2 M. I. Maiorino1 C. Mosca1 A. Costantino1 C. Annunziata1 D. Giugliano1 K. Esposito2 1Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche, Neurologiche, Metaboliche e dell'Invecchiamento - Seconda Università degli Studi di Napoli 2Dipartimento Medico-Chirurgico di Internistica Clinica e Sperimentale “F. Magrassi - A. Lanzara” - Seconda Università degli Studi di Napoli)
 

Il pesce azzurro protegge il rivestimento interno delle arterie
Le Linee Guida di prevenzione cardiovascolare (CV) raccomandano di ridurre il consumo di acidi grassi saturi (presenti ad esempio nelle carni e nei formaggi grassi) e di aumentare invece quello di grassi polinsaturi omega-3 (presenti in grosse quantità in alcuni alimenti quali il pesce). Uno studio presentato al congresso della SID² ha valutato gli effetti di un pasto a base di omega -3 (alici) sulla biodisponibilità di ossido nitrico (NO, un potente vasodilatatore) e sulla funzione endoteliale di un gruppo di 17 pazienti con sindrome metabolica, ad aumentato rischio cardiovascolare. Ogni paziente riceveva 2 diversi pasti con uguale contenuto di calorie in 2 differenti giornate.
 
Il pasto era costituito da: pasta al pomodoro, un secondo, insalata di pomodoro, pane, una mela e olio extravergine d’oliva;1050 Kcal). In un pasto il secondo era costituito da 60 gr di bresaola, mentre nell’altro da 140 gr di alici fresche. I pazienti sono stati sottoposti a prelievi per la valutazione di glicemia, insulinemia e trigliceridi prima e 30, 60, 120 e 240 minuti dopo la somministrazione del pasto, mentre la reattività vascolare veniva valutata, prima e 240 min dopo il pasto.
 
I risultati dello studio dimostrano che la reattività vascolare mostrava un peggioramento dopo il pasto con bresaola, mentre dopo il pasto con alici, la reattività endoteliale non mostrava alcuna variazione. Non sono state osservate invece differenze significative dei livelli plasmatici di glicemia, insulinemia e trigliceridemia dopo i due pasti. Gli autori concludono dunque che l’assunzione di un pasto a base di alici, alimento ricco in omega-3, non si associa al peggioramento della funzione endoteliale, che invece si verifica dopo un pasto con bresaola. Questo studio suggerisce quindi che l’alimentazione a base di pesce possa contribuire ad un ridotto sviluppo di aterosclerosi, attraverso una maggiore produzione di NO e una migliore funzione endoteliale nel periodo immediatamente successivo ad un pasto.
 
² (Effetti di un pasto a base di alici sulla funzione endoteliale in pazienti con sindrome metabolica A. Ruvolo1 T. Zannella1 P. Chiola1 G. Palma2 A. Anastasio3 R. Marrone3 R. Napoli1 1Scienze Mediche Traslazionali 2Assoittica e Federpesca 3Medicina Veterinaria)
 

La dieta mediterranea ‘spegne’ l’infiammazione, ma solo in chi rimane ‘fedele’ a questo regime alimentare
Un altro ‘plus’ della dieta mediterranea è quello di ‘spegnere’ l’infiammazione in maniera durevole. Lo dimostra un altro studio dell’Università di Napoli che è andato a valutare i livelli circolanti di proteina C reattiva (PCR, un indice di infiammazione) e di adiponectina (un ormone prodotto dal tessuto adiposo che svolge importanti azioni di protezione nei confronti dell’apparato cardiovascolare) nei pazienti con diabete di tipo 2.
 
A tale proposito è stato disegnato uno studio osservazionale³ a due bracci di trattamento nel quale 215 soggetti con nuova diagnosi di diabete tipo 2 sono stati randomizzati ad una dieta di tipo mediterraneo (n = 108) o ad una dieta a basso contenuto di grassi (n = 107); entrambi i gruppi sono stati seguito per un totale di 8.1 anni. 
 
Dopo un anno di osservazione, la PCR risultava diminuita del 37% e l’adiponectina aumentata del 43% nel gruppo dieta mediterranea, mentre entrambi i parametri non hanno mostrato variazioni nel gruppo dieta a basso tenore di grassi. Sono stati valutati peso corporeo, indice HOMA, PCR, adiponectina e sue frazioni, alla visita basale, a 1 anno, 2 anni, 4 anni e al termine dello studio. La variazione delle frazioni di adiponectina (ad elevato e a basso peso molecolare) ha mostrato andamento simile a quello dell’adiponectina totale. I pazienti diabetici con i punteggi più alti di aderenza alla dieta mediterranea (6-9 punti) hanno mostrato minori livelli circolanti di PCR ed un aumento di quelli di adiponectina totale rispetto ai pazienti diabetici con scarsa aderenza alla dieta (<3 punti) (p = 0.001).
 
Nei pazienti del gruppo dieta mediterranea con fallimento del trattamento dietetico l’HOMA ed i valori di PCR sono risultati più elevati mentre quelli di adiponectina totale sono risultati più bassi rispetto a quei pazienti che, al contrario, avevano mantenuto una compliance ottimale alla dieta. La dieta mediterranea esercita dunque un effetto anti-infiammatorio durevole nei pazienti con diabete tipo 2 di nuova diagnosi; tale effetto si perde tuttavia nei pazienti che non mantengono l’aderenza alla dieta.
 
³ (L'effetto antinfiammatorio della dieta mediterranea in pazienti con diabete tipo 2 è di lunga durata: follow-up di un trial controllato a 8 anni E. Della Volpe1 M. Maiorino1 M. Petrizzo1 M. Improta1 A. Sarnataro1 D. Giugliano1 K. Esposito2 1Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche, Neurologiche, Metaboliche e dell'Invecchiamento - Seconda Università degli Studi di Napoli 2Dipartimento Medico-Chirurgico di Internistica Clinica e Sperimentale “F. Magrassi - A.Lanzara” - Seconda Università degli Studi di Napoli)  
5 maggio 2016
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