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QS Edizioni - martedì 26 novembre 2024

Intervista a Lapadula: “Per risparmiare veramente serve una programmazione sanitaria di più ampio respiro”

16 luglio - Bisogna saper guardare lontano. Quando si ragiona sulle malattie croniche, come quelle reumatiche, bisogna abbandonare le strategie basate solo sul breve periodo: danno risposte nell’immediato, ma alla distanza ti presentano un conto salato.
Ha le idee molto chiare Giovanni Lapadula, Direttore della Uoc di reumatologia Universitaria dell’Azienda Universitaria Ospedaliera Policlinico di Bari. In un momento in cui la coperta economica è corta bisogna agire con lungimiranza e ricordando che “i medici non solo hanno la capacità di gestire i pazienti secondo scienza e coscienza, ma anche quella di partecipare alle politiche sanitarie scegliendo con appropriatezza i farmaci in maniera da non gravare troppo sulle casse dell’erogatore”.
E in questa intervista ci spiega il perché.
 
Professor Lapadula, dal 2000 a oggi la ricerca ha messo a segno terapie innovative e metodi diagnostici sempre più efficaci per la cura e la gestione del paziente con malattie reumatiche. Terapie con benefici indiscutibili che corrono il rischio di arenarsi nelle secche della sostenibilità economica, alla luce degli alti costi che comportano. Uno scenario che sta mettendo a dura prova la vostra libertà di agire in scienza e coscienza. Quali sono le maggiori criticità a suo parere?
Medici e pazienti scontano due grandi problemi. Il primo è quello della frammentazione regionale: abbiamo 22 sistemi sanitari regionali che non si coordinano tra loro e si comportano come se fossero isole a se stanti. Il secondo, quello di una programmazione sanitaria che non ragiona sul lungo periodo. Abbiamo una governance del Ssn che guarda solo al brevissimo periodo e spesso per rispondere a esigenze elettorali. Una strategia sbagliata, soprattutto quando ci confrontiamo con malattie croniche, che crea inoltre uno strano conflitto di competenze. Da una parte ci sono i medici che hanno la necessità di soddisfare le peculiarità del singolo paziente interpretando ogni volta regole differenti, dall’altra ci sono le istituzioni che sull’onda di spinte economicistiche devono rispondere nel breve periodo al raggiungimento di obiettivi di budget. Non è così raro trovare Direttori generali che hanno interesse a chiudere il bilancio di cassa annuale, e con i quali al massimo si riescono a fare ragionamenti di eventuali risparmi sul triennio o sul quadriennio. Questo è sbagliato proprio perché ci dimentica che il paziente cronico ha ormai, e fortunatamente, una lunga aspettativa di vita. E quindi ha bisogno di una programmazione di più ampio respiro.
 
Qualche esempio?
La donna che si ammala a 35 anni di artrite reumatoide. È una persona che ha davanti a sé almeno 40-50 anni di convivenza con la malattia. Questo significa che tutta sua la strategia terapeutica deve essere proiettata nei decenni successivi, non può essere programmata solo nell’immediato. Tradotto, io posso decidere di prescrivere una cura ad alto costo subito quando la mia paziente ha ancora la possibilità di entrare in remissione e tenere sotto controllo la malattia, oppure decidere di risparmiare subito e magari mandare tra vent’anni la paziente su una carrozzella.
 
Qual è allora la soluzione?
Non dimenticare un elemento essenziale: che i medici non solo hanno la capacità di gestire i pazienti secondo scienza e coscienza, ma anche quella di partecipare alle politiche sanitarie scegliendo con appropriatezza i farmaci in maniera da non gravare troppo sulle casse dell’erogatore. Mi spiego. Una delle decisioni che ha lasciato più perplessi i clinici sono state le posizioni assunte da Ema e Aifa sui biosimilari, farmaci verso i quali i clinici non hanno alcun tipo di preclusione ma che sono ancora da valutare perché la pratica clinica ci ha insegnato che eventi avversi possono anche comparire a distanza di anni dall’immissione in commercio. Una prudenza doverosa per chi ha rapporti constanti con le persone e si fa carico della vita degli altri. L’Aifa ricorda, infatti, che il principio attivo dei biosimilari è analogo, ma non identico al farmaco originator, quindi non automaticamente interscambiabile, ma ci dice anche che i biosimilari sono da preferire agli originator qualora costituiscano un vantaggio economico, in particolare per il trattamento dei pazienti “naive”. Un’indicazione che ogni Regione ha interpretato in maniera differente salvo poi lasciare ai clinici, con modalità diverse, la possibilità di indicare la strada più opportuna nella scelta del farmaco. Ma non si può legiferare facendo finta che la normativa deliberata abbia un significato solo tecnico quando invece incide sulla vita delle persone. E soprattutto quando incide sulle responsabilità penali di altre persone. Il decisore non può legiferare in modo tale creare un problema di salute del paziente e poi scaricare la responsabilità sul tecnico che è stato costretto a applicare le direttive imposte. Stesso discorso vale quando si afferma che i farmaci inseriti in liste di trasparenza possono essere sostituiti direttamente dal farmacista, questo va benissimo purché poi il farmacista ne risponda personalmente in casi di eventi avversi.
 
Allora come trovare un punto di equilibrio? Anche perché è indiscutibile, le risorse ormai sono scarse?
Innanzitutto le istituzioni devono dialogare di più con i clinici esperti. E poi come ho già detto bisogna continuare ad insistere sull’appropriatezza prescrittiva. La prescrizione appropriata è una prescrizione che consente di risparmiare. Non si risparmia tagliano o razionando le prescrizioni. Lo diciamo da sempre: razionalizzare e razionare sono due termini che hanno un significato diverso. Razionalizzare significa prescrivere solo i farmaci che sono appropriati per quel tipo di paziente e quel tipo di patologia. E poi le prestazioni inappropriate si possono bloccare con facilità. Certo ci sarà anche un momento in cui anche le Aziende dovranno fare la loro parte abbassando i prezzi dopo aver recuperato i costi di registrazione.
 
Veniamo alla sua Regione. La Puglia in una recente delibera ha stabilito che in caso di mancata motivazione da parte del medico della scelta terapeutica, al medico prescrittore sarà addebitata la differenza di costo tra il farmaco originator e il biosimilare a prezzo più basso. Cosa ne pensa?
In realtà questa è una delibera moderata. Si incentiva l’utilizzo di farmaci con un rapporto costo beneficio favorevole e che a parità di efficacia abbiano un prezzo più basso, ma il medico è lasciato libero di scegliere la molecola. In questo momento i biosimilari costano meno rispetto ai rispettivi originator, ma anche tra i “branded” vi sono farmaci con un costo inferiore. E non è detto che in futuro tutti gli originator potranno avere un costo più basso.
 
16 luglio 2015
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