toggle menu
QS Edizioni - giovedì 4 luglio 2024

TBC. La situazione in Italia e l’appello dei microbiologi: “Servono centri specializzati”

di Edoardo Stucchi
23 marzo - La TBC non fa più paura come una volta e l'isolamento è riservato soltanto alle forme più resistenti, grazie alle medicine di ultima generazione. Purtroppo cresce il numero dei pazienti multiresistenti alle terapie e il rischio di contagio aumenta. Il pericolo maggiore viene dagli immigrati dell'Europa dell'Est che non portando a termine la terapia o sospendendola per la mancanza di medicine, circolano liberamente in Europa. La diffusione è maggiori nelle grandi città, dove c'è più concentrazione di persone e maggiore promiscuità e per far fronte alla nuova endemia occorrono centri specializzati per la diagnosi per avere più efficienza e risparmiare risorse. E' l'appello  dell’Amcli, l'Associazione microbiologi italiani in occasione della Giornata mondiale della tubercolosi in programma il  24 marzo. La malattia, comunque, continua fare vittime, perché nel 2013, nel mondo,  ancora 9 milioni di persone sono rimaste infettate e più di un milione e mezzo sono morte.  
 
La situazione italiana. L’Italia è un paese a bassa endemia tubercolare con un’incidenza che nell’ultimo decennio si è mantenuta stabilmente al disotto di 10 casi ogni 100 000 abitanti. Come in tutte le aree metropolitane europee anche in Italia c’è un’incidenza nettamente più alta nelle grosse città ed in particolare a Milano e Roma. La situazione europea è caratterizzata da una netta distinzione fra paesi occidentali, a bassa endemia, con l’eccezione del Portogallo e paesi ex Unione Sovietica,  in alcuni dei quali si registrano incidenze superiori a 50 casi per 100 000 abitanti. “Da anni l’Amcli si batte per l’istituzione dei centri regionali di riferimento per la diagnostica della tubercolosi e delle micobatteriosi – dice il presidente dall’Associazione,  Pierangelo Clerici, direttore di microbiologia all’azienda ospedaliera di Legnano  -. In molte regioni tali centri sono una realtà, in altre si registrano dei ritardi non giustificati. È ormai chiaro che solo la concentrazione in centri ad alta specializzazione può conciliare le diverse esigenze di una diagnostica di qualità, omogenea per tutti i cittadini e del contenimento dei costi”.  Il mantenimento alla terapia è di assoluta importanza, ma, come spiega il dottor Enrico Tortoli, consulente dell’Istituto di ricovero e cura San Raffaele  e coordinatore del gruppo di lavoro micobatteri dell’Amcli - spesso i pazienti appena di sentono meglio interrompono la cura che invece deve continuare per 6 mesi”. 
 
La malattia, come noto, si trasmette per via aerogena, cioè  attraverso le goccioline di saliva contenenti il bacillo tubercolare emesse, prevalentemente con i colpi di tosse, dai soggetti con malattia attiva. Il contatto prolungato, in ambienti chiusi, con un malato facilita l’infezione. Nessuno è immune dalla possibilità del contagio, ovviamente i fattori socioeconomici hanno un’importante rilevanza sull’esito. “La tubercolosi è una malattia curabile; esistono tuttavia forme dovute a bacilli resistenti ai farmaci principali in cui la mortalità può superare anche il 50%. I soggetti appartenenti alle classi economiche più disagiate e gli immunodepressi costituiscono le categorie a maggior rischio” ricorda Enrico Tortoli.
 
La diagnosi e la cura. La diagnosi precoce  dei nuovi casi e la stretta aderenza alla terapia sono le misure più efficaci di prevenzione del contagio. “Nei casi di tubercolosi multiresistente è di fondamentale importanza l’isolamento del paziente, che oggi avviene in camere sterili a pressione negativa, in modo che i batteri non escano dall’ambiente ospedaliero e la somministrazione di una terapia adeguata basata su risultati di laboratorio attendibili. La terapia della tubercolosi farmaco-sensibile comporta un trattamento di 6 mesi: 2 mesi di terapia con 4 farmaci seguiti da 4 mesi con 2 farmaci. La percentuale di guarigione è vicina al 100%.
 
Lo stigma. Il costo sociale della tubercolosi è altissimo in tutti i paesi e la patologia è ancora fonte di discriminazione. I malati possono rimanere  ricoverati a lungo e l’impatto sociale in termini di giorni di lavoro persi e reddito mancato è particolarmente alto nelle fasce di popolazione più vulnerabili. La terapia, gratuita per il paziente, ha un costo che varia da poche centinaia a svariate migliaia di euro. Il trattamento delle forme a resistenza estesa può superare addirittura i 100.000 euro. Senza contare gli importanti costi per la diagnostica e il management degli effetti collaterali.
 “Importante  - conclude  Clerici - che i medici provvedano alla segnalazione dei nuovi casi agli uffici di igiene pubblica, per meglio prevedere programmi e budget”.
 
Edoardo Stucchi
23 marzo 2015
© QS Edizioni - Riproduzione riservata