27 febbraio -
Emanuele nasce nel 2009, dopo una gravidanza priva di problemi. Avendo avuto già un’altra figlia due anni prima, la mamma Cinzia si rende conto delle difficoltà di crescita del bambino già a 6 mesi, perché sta solo sdraiato e non alza le manine. Cinzia è ben presto costretta a viaggiare con Emanuele da un centro all’altro, da una regione all’altra, e il bambino viene sottoposto a una lunga serie di analisi e accertamenti. Gli vengono riscontrati ritardi visivi, motori e cognitivi ma, a parte alcune ipotesi di diagnosi, come malattia mitocondriale o sindrome di Leigh, la sua malattia non ha ancora un nome. Grazie ad alcuni tipi di riabilitazione la situazione è migliorata ma Emanuele, che oggi frequenta l’asilo, è fortemente ipovedente, non cammina, con difficoltà prende gli oggetti e comunica solo attraverso vocalizzi, talvolta con grande frustrazione.
Cinzia e il marito sono entrambi ingegneri, ma Cinzia ha dovuto prendere un congedo dal lavoro che non sa se potrà riprendere. Il bambino ha infatti bisogno di assistenza giorno e notte e spesso sono necessari spostamenti in altre città per visite e controlli. Il sogno dei genitori di Emanuele è quello di poter dare un nome alla sua malattia. Una diagnosi, infatti, significherebbe per loro poter prevedere la progressione e il decorso della malattia, saper gestire al meglio la quotidianità e le eventuali situazioni di emergenza, poter programmare i controlli medici. Dare un nome alla malattia, per Emanuele e la sua famiglia, vuol dire trovare un’ancora psicologica e la possibilità di liberarsi dal senso di solitudine e isolamento che provano per essere “un caso raro tra i rari”.