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QS Edizioni - giovedì 18 luglio 2024

Studio su 482 ospedali europei: 40.000 l'anno le mancate diagnosi di infezione da Clostridium difficile

3 dicembre - La variabilità nei metodi diagnostici per le infezioni da Clostridium difficile (CD) può inficiare il trattamento dei pazienti, aumentare il rischio di trasmissione e far perdere dati epidemiologici. Lo studio EUCLID, appena pubblicato su Lancet Infectious Diseases ha cercato di ‘misurare’ il fenomeno della sotto-diagnosi nel caso delle infezioni da CD negli ospedali d’Europa.
 
Lo studio, basato su un questionario, ha interessato 482 ospedali distribuiti in 20 nazioni europee. Ai centri partecipanti venivano fatte domande circa i metodi diagnostici utilizzati e sulle ‘politiche’ di diagnosi per infezione da CD, durante i periodi settembre 2011-agosto 2012  e settembre 2012-agosto 2013.
 
È stato quindi richiesto a tutti gli ospedali di spedire, in una giornata d’inverno e in una giornata d’estate,  tutti i campioni di feci diarroiche, inviate ai relativi laboratori di microbiologia, anche ad un laboratorio di coordinamento nazionale per una diagnostica standardizzata dell’infezione da CD.
 
Le misure di outcome primario erano i tassi di richiesta dei test diagnostici e quelli di infezione da CD per 10.000 giornate di degenze standardizzate per paziente. Si è proceduto dunque a confrontare i risultati dei laboratori locali con quelli del laboratorio centralizzato. I casi risultati positivi nel laboratorio centralizzato e negativi in quelli periferici, venivano classificati come infezione da CD non diagnosticata.
 
Nel periodo in studio, gli ospedali partecipanti hanno riportato una media di 65,8 test per infezione da CD per 10.000 giornate di degenza-paziente (ma con un ampio spread da nazione a nazione, con ‘minime’ di 4,6 e ‘massime’ di 223,3) e una media di 7 casi di infezione da CD per 10.000 giornate di degenza-paziente (anche in questo caso con un ampio range di variabilità per nazione da 0,7 a 28,7).
 
Solo 2 ospedali su 5 utilizzavano dei metodi ideali per la diagnosi di infezione da CD (secondo i dettami delle linee guida europee), sebbene il numero degli ospedali ‘modello’ fosse aumentato da 152 sui 468 partecipanti nel 2011-12 (32%), a 205 (48%) sui 428 dell’edizione 2012-13.
 
Sul totale di tutti gli ospedali europei, nei due giorni di ‘campionatura’, ben 148 su 641 campioni fecali diagnosticati come positivi per infezione da CD dal laboratorio centralizzato, non sono stati  riconosciuti come positivi al CD dai laboratori degli ospedali. Ogni giorno insomma, negli ospedali ‘campione’ partecipanti allo studio EUCLID venivano ‘perse’ 74 diagnosi.
 
Gli autori concludono quindi che l’assenza di sospetto clinico e l’impiego dei metodi di diagnosi di laboratorio subottimali fanno sì che ogni anno, nei 482 ospedali europei coinvolti nello studio vengano potenzialmente ‘perse’ 40 mila diagnosi di infezione da Clostridium difficile.
 
 
In un editoriale di commento pubblicato sullo stesso numero da Simon Goldenberg del Centre for Clinical Infection and Diagnostics Research, King’s Collegedi Londra,  viene sottolineata l’incredibile differenza di 48 volte nei tassi di ricorso ai test diagnostici, riscontrata nei 20 Paesi coinvolti nello studio. Un dato che si riflette inevitabilmente nei tassi di casi non diagnosticati di infezione da CD, che andava dallo 0% di Belgio, Irlanda, Olanda, Slovenia e Svezia, al 60% e oltre di Bulgaria, Grecia e Romania.
 
 
La media europea era di un 23% di casi di infezione non diagnosticato, cioè di un caso su quattro, che rapportato ad un anno, ammonta a circa 40.000 diagnosi ‘perse’, solo negli ospedali partecipanti. In media, ogni laboratorio coinvolto nello studio ‘perdeva’ una media di 80 diagnosi di infezione da CD l’anno.
 
Ma perché è così pericoloso sotto-diagnosticare? In primo luogo, spiegano gli autori dell’editoriale, i pazienti con infezione non diagnosticata e dunque non posti in isolamento, possono trasmettere ad altri l’infezione. In secondo luogo, se non diagnosticati correttamente, questi pazienti con infezione da CD finiscono col venir sottoposti a tanti altri test inappropriati e inutili, alla ricerca della causa della loro sintomatologia. Le diagnosi inaccurate inoltre comportano una ‘distorsione’ dei dati epidemiologici.
 
Le principali ragioni alla base delle diagnosi mancate sono essenzialmente la mancanza del sospetto clinico e la scarsa sensibilità delle metodiche diagnostiche. Purtroppo - nota l’editorialista - nonostante l’esistenza di raccomandazioni internazionali per la diagnosi di laboratorio, un laboratorio su due in Europa non utilizza dei metodi diagnostici ottimali; è chiaro dunque come ci sia molto lavoro da fare per armonizzare le metodologie diagnostiche.
 
“Il successo nel ridurre le infezioni da Clostridium difficile che il National Health Service inglese ha sperimentato – conclude Goldenberg - è la prova che migliorare le conoscenze sull’argomento e potenziare la sorveglianza obbligatoria giocano un ruolo importante”.
 
Maria Rita Montebelli
3 dicembre 2014
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