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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Diabete: killer silenzioso dei reni. Le nuove terapie al vaglio per la nefropatia

28 maggio - Diabete, ipertensione, colesterolo, trigliceridi e fumo danneggiano i reni in modo silenzioso e irreversibile. Per questo è importante scoprire il danno, quando non ha ancora dato segno di sé.  “Il diabete – spiega la dottoressa Anna Solini, ricercatore di Medicina Interna, Università di Pisa e segretario eletto del gruppo di studio ‘nefropatia’ della società europea di diabetologia (EASD) - è la principale causa d’insufficienza renale terminale nelle popolazioni occidentali, seguito dal danno renale da ipertensione arteriosa”.
 
Un grande impulso alla conoscenza della nefropatia diabetica l’ha dato negli ultimi anni uno studio tutto made in Italy, il RIACE, condotto con il supporto della Società Italiana di Diabetologia su 16.000 pazienti afferenti a 19 centri su tutto il territorio nazionale. Così è stato possibile ad esempio determinare la prevalenza di malattia renale cronica (un filtrato glomerulare inferiore ai 60 ml/min, è considerato indicativo di danno renale conclamato), che si aggira intorno al 18% della popolazione diabetica. Percentuale che aumenta in modo rilevante con l’avanzare dell’età: tra gli ultra 65enni diabetici, una persona su tre è affetta da una nefropatia di grado severo.

“La nefropatia diabetica – spiega la dottoressa Solini - è un’affezione dalla patogenesi estremamente complessa al cui determinismo, oltre alla predisposizione genetica, concorrono non solo un inadeguato controllo metabolico del paziente, ma anche la presenza di valori pressori elevati o di dislipidemia. Per questo è necessario un approccio multifattoriale per la prevenzione dell’insorgenza del danno renale o per rallentare il declino della funzione renale, una volta che essa sia già compromessa.” L’effetto tossico diretto dell’iperglicemia sulle cellule, si somma a quello della dislipidemia, al danno alle arterie provocato dall’ipertensione arteriosa, ad un danno di tipo infiammatorio, indotto da un eccesso di citochine ed altre molecole infiammatorie.

Una patologia complessa dunque, ancora in gran parte sconosciuta e con qualche ‘ripensamento’. “Fino a qualche anno fa – prosegue la dottoressa Solini - si riteneva che la nefropatia diabetica avesse sempre lo stesso tipo di evoluzione e cioè che la prima ‘spia’ di danno a comparire fosse la microalbuminuria, seguita dalla macroalbuminuria e infine dalla riduzione del filtrato glomerulare, che è il vero danno funzionale. Di recente, studi osservazionali condotti su diverse migliaia di soggetti, tra i quali quelli dello studio RIACE,  hanno documentato come una percentuale rilevante di pazienti con diabete di tipo 2 (tra il 35 e il 50% circa), perde una quota importante di filtrato, pur in assenza di albuminuria. Questo configura dunque un fenotipo diverso, che potrebbe differire per alcuni aspetti patogenetici dalla ‘forma classica’, nonché richiedere un trattamento in parte diverso”. E’ importante dunque, per il paziente, e soprattutto per i medici, non basarsi solo sul valore della creatinina o della microalbuminuria, ma misurare anche il filtrato glomerulare, che si può calcolare applicando formule molto semplici. In questo modo si evita il rischio che il danno renale avanzato possa non essere riconosciuto in un numero rilevante di pazienti. “La nefropatia continua ad essere motivo di ricorso alla dialisi in un numero crescente di persone con diabete in Italia – commenta il Prof. Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana di Diabetologia. Studi come il RIACE sono importanti perché mettono in guardia i diabetologi italiani sulla necessità di essere più incisivi e attenti nella identificazione delle persone a rischio, soprattutto quando questo può essere fatto con mezzi semplici ma efficaci”.

Ma anche un accurato trattamento multifattoriale (volto, cioè, a controllare adeguatamente tutti i principali fattori di rischio cardiovascolare e di danno renale, che sostanzialmente sono gli stessi), può non essere sufficiente per arrestare il danno ai reni. “L’età media dei nostri pazienti è, per fortuna, in aumento – commenta la dottoressa Solini -  ma c’è bisogno di strategie alternative per ridurre ulteriormente il cosiddetto ‘rischio residuo’, e garantire nei prossimi anni un drastica abbattimento dell’accesso alla dialisi, risultato che non siamo ancora stati in grado di conseguire. Una recente analisi pubblicata sul New England Journal of Medicine documenta infatti come, nella popolazione  statunitense, negli ultimi 20 anni, a fronte di una significativa riduzione della prevalenza di infarto miocardico e ictus, il numero di pazienti che vanno incontro nel tempo ad insufficienza renale terminale è ancora piuttosto elevato. Le più recenti ricerche sono impegnati a scoprire, con l’ausilio di tecniche modernissime di biologia molecolare quali la proteomica e la metabolomica, marcatori precoci di malattia che permettano di identificare i pazienti più a rischio di sviluppare danno renale severo, concentrando su questi i massimi sforzi al fine di raggiungere precocemente i target metabolici e pressori raccomandati.
 
Molti sono gli sforzi indirizzati anche alla ricerca di nuovi target terapeutici.Dati incoraggianti, riguardano l’utilizzo di derivati della vitamina D, che sembrano ridurre la escrezione urinaria di albumina.  Qualora gli studi di supplementazione con la vitamina D attualmente in corso, dessero risultati positivi sulla riduzione o rallentamento del danno renale nelle persone con diabete, avremmo un’arma in più da utilizzare per proteggere la salute dei reni. Altre possibilità interessanti, ma che richiedono ulteriori conferme in merito sia alla loro efficacia che alla sicurezza, e sono quindi al momento lontane da un possibile utilizzo nella pratica clinica, riguardano molecole che possono agire riducendo l’infiammazione, componente assai importante nel determinismo e nell'accelerazione del danno renale in corso di diabete; tra queste, alcuni regolatori dello stress ossidativo quali i derivati della pentossifillina; gli antagonisti selettivi del recettore A della endotelina;  i modulatori del Vascular Endothelial Growth Factor- A (VEGF-A), un fattore di crescita regolatore della permeabilità vascolare che svolge un ruolo importante anche nello sviluppo della retinopatia”.
28 maggio 2014
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