26 giugno -
Le nuove linee guida emesse dalle Società europee dell’Ipertensione arteriosa e di Cardiologia contengono novità e anche molte conferme. “Anzitutto viene ribadito che vi sono molti farmaci per la riduzione della pressione arteriosa e che tale riduzione è in sé importante al di là di come viene ottenuta”, ha spiegato
Giuseppe Mancia, Presidente 23° Congresso ESH. “Vi è poi l’accettazione delle terapie di combinazione di due o più farmaci che si rendono necessarie per arrivare al controllo della pressione. Le linee guida contengono poi anche una revisione degli obiettivi pressori: ora l’obiettivo è unificato indipendentemente dal livello di rischio a 140 (massima) e 85/90 (minima). Per gli anziani questo valore può essere anche 150, sulla base delle evidenze cliniche”.
Ma come viene inquadrata l’ipertensione resistente all’interno delle nuove linee guida? “L’ipertensione resistente è un’altra novità delle nuove linee guida”, ha spiegato. “Mentre nelle precedenti si prestava attenzione solo alla definizione, ora invece all’ipertensione resistente viene dedicato un capitolo di discreta lunghezza nel quale si esaminano i vari aspetti ad essa collegati e si esprime preoccupazione per l’incidenza del problema”. I dati sono diversi a seconda del contesto clinico, ma si stima che nella popolazione generale via sia una incidenza di ipertensione resistente pari all’8/10%: ciò significa 1 paziente su 10, ovvero una stima di circa 10-15 milioni di persone nella sola Europa. Vi sono poi dati che indicano che chi ha ipertensione resistente è soggetto ad elevato rischio di eventi renali, cardiaci, ictus ecc. e che chi ha bisogno di 2 o 3 farmaci è più a rischio di chi ne assume uno solo.
“Una delle novità più interessanti è la procedura di denervazione renale”, ha poi aggiunto. “Si basa sulla introduzione di un catetere che, risalendo dall’arteria femorale, riesce attraverso l’applicazione di radiofrequenza a distruggere i nervi renali. Vi è infatti una solida base fisiopatologica, alla quale ha molto contribuito anche la scuola di Milano, che dimostra come i nervi renali abbiano un grosso impatto sul funzionamento dei reni - ad esempio stimolano la secrezione di renina, il riassorbimento di sodio - e influenzino anche il sistema nervoso contribuendo ad aumentare la pressione”.
Le nuove linee guida prendono atto del razionale della denervazione renale e dei dati positivi finora prodotti (con follow up fino a 30 mesi e a 3 anni per gli studi Symplicity HTN-2 e HTN-1 rispettivamente) sulla riduzione della pressione e sul miglioramento del danno d’organo nei pazienti sottoposti al trattamento, e sostengono che vi sia bisogno di evidenze aggiuntive e di un incremento nei dati sulla sicurezza. I pazienti che hanno raggiunto i 3 anni di follow-up sono infatti ancora un numero limitato (30-40) e ci si aspetta quindi di poter raggiungere numeri più grossi. “L’atteggiamento espresso nelle linee guida nei confronti della denervazione renale è comunque positivo, con la cautela indispensabile in questi casi e la richiesta di maggiori evidenze”, ha spiegato ancora Mancia. “In particolare, si attendono dati sugli effetti del trattamento sulla protezione dagli eventi cardiovascolari e non solo sulla riduzione della pressione”.
Inoltre, spiega, è stato creato un Registro internazionale per monitorare l’efficacia e la sicurezza della procedura di denervazione renale. “Il Global SYMPLICITY Registry (di cui sono uno dei due coordinatori) ha l’obiettivo di verificare cosa accade nella vita reale. Mira nei prossimi due anni a raccogliere informazioni su 5.000 casi trattati nei diversi Paesi del mondo, per avere una visione il più possibile completa”, ha concluso. “Il registro è partito circa un anno fa e ad oggi sono oltre 1.000 i casi raccolti e circa 620 quelli finora analizzati. Al congresso ESH un poster riporta proprio questi primi dati, che sono promettenti nel senso che i pazienti sottoposti alla procedura mostrano mediamente una buona riduzione pressoria, inclusa quella misurata nell'arco delle 24 ore. Si registrano grandi discrepanze sul numero di procedure effettuate fra Paese e Paese. Basti pensare che in Europa la Germania è in testa a tutti con circa quattro-cinquemila procedure effettuate, mentre in Italia i casi sono numericamente molto più ridotti”.