17 maggio -
"I numeri riportati dalla Commissione per la vigilanza e controllo del doping (Cvd) del ministero della salute sono significativi soprattutto se paragonati con le percentuali di positività riscontrate tra gli atleti di alto vertice che sono circa 3 volte più basse”. Lo ha detto a
Quotidiano Sanità, Roberta Pacifici, dirigente di ricerca del Reparto di farmacodipendenza, tossicodipendenza e doping dell’Istituto superiore di sanità.
Dott.ssa Pacifici ritiene che il numero di riscontri positivi potrebbe essere in realtà più alto?
I dati riportati oggi sono solo una piccola finestra su questa problematica. Dobbiamo considerare che il numero di atleti controllati è molto limitato e non rappresentativo di tutte quelle persone che praticano attività sportiva. Se al basso numero di controlli, soprattutto analizzandoli divisi per Federazioni sportive, aggiungiamo anche il limitato numero di sostanze che sono state rilevate rispetto a quanto offre il mercato clandestino in questo campo, possiamo desumere che il volume del fenomeno sia allarmante proprio perché il più resta sommerso.
Questo 3% di positività al doping potrebbe essere la punta dell’iceberg?
Sì, proprio perché, con questa percentuale, stiamo facendo riferimento ad una fascia di popolazione soggetta ad un controllo. Dobbiamo però ricordare che esistono tantissimi praticanti di attività sportive che, non partecipando a competizioni, non vengono in nessun modo assoggettati a questi controlli.
Potremmo fare l’esempio delle palestre, lì esiste un’alta diffusione non solo di intergatori ma anche di anabolizzanti. A tutto questo dobbiamo, infine, sommare anche altri indicatori indiretti quali i sequestri sempre maggiori di sostanze dopanti e il traffico di acquisto e vendite via internet di anabolizzanti.