9 maggio -
A quanto pare lo spread di cui dobbiamo preoccuparci non è uno solo. Oltre a quello che riguarda il mercato finanziario europeo di cui sentiamo parlare ultimamente nei telegiornali, secondo gli esperti ce n’è anche uno che riguarda la lotta all’Hiv e all’Hcv. Per
Antonio Craxì, docente di Gastroenterologia all'Università di Palermo, uno spread che deve preoccupare è infatti anche quello tra il numero dei pazienti che contraggono questi virus, che continua a salire, e l’aumento dei costi delle terapie.
Un problema che potrebbe avere ripercussioni direttamente sulle cure.“Ben presto saremo costretti a fare i conti prima di trattare un paziente: l’Hiv ci insegna che una terapia appropriata e ben gestita può dare grandi risultati. Nel caso dell’HIV la cronicizzazione, nel caso dell’HCV addirittura l’eradicazione e, quindi, la guarigione”, ha commentato Craxì. "Le nuove Linee Guida danno una direttiva: trattare ‘ad occhi aperti’, ovvero, scegliere la migliore terapia possibile per ogni paziente tenendo conto di tutta una serie di fattori: dovremo capire chi può ancora avere benefici dalle terapie tradizionali e chi no perché già sappiamo che avrà una bassa risposta; chi dovrà da subito adottare le nuove terapie perché danno maggiori probabilità di successo. Quello che sappiamo per certo è che dobbiamo trattare chi ne ha realmente bisogno, come i pazienti con fibrosi epatica avanzata, i pazienti trapiantati, i pazienti con virus recidivato, quelli con HIV”.
Il tutto, però, con un occhio ai costi. “Nel valutare tutti i criteri – ha spiegato il docente – bisogna sin da ora tenere presente quello della costo-efficacia: un paziente trattato presto e bene è un paziente che non andrà incontro a ricoveri o, addirittura, a trapianto. È un paziente che farà terapie di minore durata. Farà meno assenze dal lavoro, avrà una maggiore aderenza alla terapia”.
Insomma, un paziente guarito costa meno alla collettività. “Quindi, alla fine, il costo nell’immediato diventa un risparmio nel medio-lungo termine”, ha aggiunto Craxì. “Mi piace pensare alla lotta all’epatite C come ad una scala fatta di gradini molto alti, faticosa da salire. Ogni gradino rappresenta un problema: quello dei costi, quello dell’efficacia, quello delle coscienze, e così via. Ne abbiamo saliti tanti e ogni volta il gradino è un po’ meno alto e la cima sembra più vicina”.
Ma in sostanza la lotta è difficile, ma si può vincere,se si riesce ad aumentare la consapevolezza su questi virus. “Possiamo veramente dire di aver voltato pagina. Questa guerra si può vincere. Le armi ci sono. Saremmo a buon punto se ci fosse più consapevolezza della malattia”, ha concluso l’esperto. “È paradossale: sappiamo come combattere il virus, abbiamo a disposizione terapie che si sono dimostrate efficaci, possiamo addirittura confidare nella guarigione del paziente ma ci vediamo costretti a parlare di ‘emergenza Epatite C’ perché manca la consapevolezza nella collettività che questa malattia esiste ed è spietata”.