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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Epatite C: cos’è e come si scopre se si è infetti

18 aprile - L’Epatite C è un’infiammazione del fegato causata da un virus denominato hepacavirus (HCV) che, attraverso l’attivazione del sistema immunitario, provoca la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica). Le cellule epatiche distrutte vengono sostituite da un tessuto di cicatrizzazione, con la comparsa di noduli e di cicatrici che determinano la perdita progressiva della funzionalità del fegato. Come la B, infatti, anche l’Epatite C può cronicizzare, trasformandosi in una patologia di lunga durata. A seguito del contagio, circa il 60-70% degli individui diventa portatore cronico del virus, presentando transaminasi elevate o fluttuanti e insorgenza di fibrosi. Ciò significa che anche un’incidenza relativamente modesta dell’infezione contribuisce ad alimentare efficientemente il pool dei portatori cronici del virus. Altri cofattori, come sovraccarico di ferro, steatosi epatica (accumulo intracellulare di trigliceridi), obesità e diabete possono contribuire a una progressione più rapida della fibrosi. Una volta che tale tessuto sostituisce gran parte della componente sana del fegato, l’Epatite si evolve in cirrosi epatica, con grave compromissione delle sue attività.
La fase acuta dell’infezione del virus decorre quasi sempre in modo asintomatico, tanto che la patologia è definita un “silent killer”; appena contratta l'infezione, il paziente può soffrire febbre, senso di stanchezza, inappetenza, dolore di stomaco, urine scure, ittero, nausea e vomito, dolori ai muscoli e alle giunture, mancanza di concentrazione, ansia e depressione. Generalmente questi sintomi passano e per molti anni la malattia non da segni.
 
Ad oggi non esiste un vaccino, e il trattamento ha come obiettivi terapeutici primari quello di inattivare il virus, bloccare la progressione della malattia, combattere i sintomi e prevenire il tumore al fegato. Il corrente Standard Of Care (SOC) si fonda sulla cosiddetta “terapia duplice”, una combinazione tra interferone (standard o pegilato) associato all’analogo nucleosidico ribavirina.
Le dosi e la durata del trattamento dipendono dal genotipo virale. Attualmente è stata resa disponibile per i pazienti con Epatite C genotipo 1 una “terapia triplice”, ovvero la combinazione di SOC più un inibitore della proteasi, come boceprevir, che consente l’eradicazione del virus mediante un innovativo meccanismo d’azione.
 
Quali sono le vie di trasmissione del virus?
La condivisione di aghi o siringhe è a tutt’oggi il maggior fattore di rischio di contrarre la malattia. Ma non è il solo. Altri fattori includono il tatuaggio e il body piercing eseguiti in ambienti non igienicamente protetti o con strumenti non sterilizzati; la trasmissione dell’infezione per via perinatale al proprio figlio; la trasfusione di sangue non sottoposto a screening; tagli/punture con aghi/strumenti infetti in contesti ospedalieri; ma anche la condivisione dei dispositivi per l’assunzione di droghe inalabili e di spazzolini dentali o spazzole da bagno contaminati, se utilizzati in presenza di minime lesioni della cute o delle mucose.
Anche se l’Epatite C non è facilmente trasmissibile attraverso i rapporti sessuali, rapporti non protetti, anche con più partner, sono associati a un rischio maggiore di contrarre l’HCV.
 
Quali sono le complicanze che produce?
L’Epatite C è la causa principale delle cirrosi, dei tumori al fegato,
dei trapianti di fegato e
dei decessi di malati di AIDS.Infatti, soprattutto nelle persone tossicodipendenti l’infezione dell’HCV e spesso associata a quella dell’HIV: il 20% delle persone positiva all’HCV è coinfetta con l’HIV. Entrambi i virus usano RNA per veicolare il loro codice genetico, anche se appartengono a due famiglie differenti e hanno strategie di replicazione e sopravvivenza diverse.
La cronicizzazione dell’Epatite C può comportare la formazione di varici nell'esofago e nello stomaco, che rompendosi causano emorragie; l'ingrossamento della milza, con conseguente anemia, calo dei globuli bianchi e delle piastrine; l'ittero, per l'accumulo nel sangue del pigmento bilirubina; l'accumulo di liquido nell'addome (ascite) con eventuale infezione; la riduzione nella funzione urinaria, con concomitante aumento della creatinina e dell'azotemia. Inoltre, le sostanze tossiche che il fegato non riesce più a smaltire possono riversarsi nel sangue e arrivare al cervello, determinandone un cattivo funzionamento, che può iniziare con uno stato confusionale e arrivare fino al coma (encefalopatia epatica).
 
Come si esegue una corretta diagnosi di HCV?
Non sempre le analisi del sangue di routine sono in grado d’identificare l’infezione da HCV: se si ritiene di essere esposti al rischio del virus è bene consultare il proprio medico curante.
Sono quattro i test diagnostici utilizzati:
1) test dell’Alanina amino transferasi (Alt) e dell’Aspartato transaminasi (Ast): l’aumento di questi due specifici enzimi, conosciuti anche come GPT (Transaminasi Glutammico-Piruvica) e il GOT (Transaminasi Glutammico-Ossalacetica) segnala la presenza del virus nel sangue;
2) test Elisa (Enzyme Linked Immunosorbent Assay) e Risa (Recombinant Immunoblot Assay): misurano i livelli degli anticorpi specifici prodotti dall’organismo in risposta all’attacco del virus;
3) test PCR (Polymerase Chain Reaction): individua il materiale genetico del virus in campioni biologici, una volta determinata la presenza di anticorpi nel sangue;
4) test RFLP (Restriction Fragment Lenght Polymorphism): determina i genotipi del virus, analizzando direttamente la sequenza genomica o tramite una tecnica detta dell’ibridazione inversa.
Una volta diagnosticata, può essere eseguita una biopsia sul tessuto epatico, per determinare il grado d’infiammazione del fegato, l’eventuale presenza di fibrosi e lo stadio della malattia.
18 aprile 2012
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