28 settembre -
Sono oltre 300mila all’anno i neonati ancora affetti da questa patologia. Ma lavorando a fianco dei Governi e delle Ong si può far sì che il farmaco per curare la Malattia emolitica del feto e del neonato (Mefn), raggiunga direttamente il paziente senza passare attraverso catene di intermediazione che moltiplicano i costi. Ne abbiamo parlato con
Gioacchino De Giorgi, responsabile sviluppo internazionale di Kedrion, azienda biofarmaceutica internazionale, in occasione del lancio a Firenze di WIRhE (Worldwide Initiative for Rh disease Eradication), un nuovo soggetto no profit, nato a New YorK.
Sono passati cinquant’anni dalla scoperta di una cura per la Malattia emolitica eppure ancora oggi si contano vittime? Quali sono gli ostacoli che impediscono l’eradicazione definitiva del problema in tutto il mondo?
Sono principalmente tre. Il primo è la mancanza di infrastrutture, ci sono Paesi in cui l’assistenza prenatale al parto è ancora molto lontana dagli standard richiesti. Il secondo è l’accesso alla cura, in Cina ad esempio non è consentita l’importazione. Terzo ostacolo è la scarsa consapevolezza sia della gravità della patologia sia di quanto sia facile prevenirla.
Quando nasce l’impegno di Kedrion in quest’ambito? E quale può essere, in generale, il ruolo che può assumere l’industria per sconfiggere la Mefn?
Il nostro impegno nasce dopo l’acquisizione, qualche anno fa, della prima immunoglobulina anti-D, la più diffusa sui mercati mondiali, e da un approfondimento sui mercati internazionali che ci portò alla triste scoperta che oltre 300mila neonati all’anno sono ancora affetti da questa patologia. L’industria può fare molto sul fronte della sensibilizzazione a livello internazionale, soprattutto nel risolvere il nodo dell’accesso. Lavorando a fianco dei Governi e delle Ong si può far sì che il farmaco raggiunga direttamente il paziente senza passare attraverso catene di intermediazione che moltiplicano i costi. Per questo abbiamo messo in campo azioni di educazione in partnership con i principali Centri di salute materno fetale della Russia, dove c’era in problema di consapevolezza della malattia. Abbiamo compiuto azioni importantissime di advocacy in Nigeria, in particolare nell’area del Delta e sostenuto, in occasione del 50° anniversario dalla scoperta della cura
, 18 eventi in 18 Paesi del mondo da Dubai al Ghana al Brasile, solo per citarne alcuni.
Con quali enti e istituzioni del settore avete maggiormente collaborato in questi anni?
Principalmente con Columbia University di New York, con la Federazione internazionale dei ginecologi e degli ostetrici e con il SickKids di Toronto, che poi sono le istituzioni che hanno generato WIRhE.
Perché avete scelto proprio Firenze per il lancio di WIRhE?
Una scelta non casuale perché proprio nel capoluogo della Toscana c’è lo Spedale degli Innocenti, il più alto istituto per l’infanzia abbandonata e per le malattie prenatali. Ma WIRhE, come molte iniziative scientifiche e di solidarietà, ha una forte anima italiana a partire dal professor Di Renzi dell’Università di Perugia uno dei suoi fondatori e delle varie istituzioni italiane i prima fila per combattere il problema, come il Centro nazionale sangue.
Avete in programma investimenti per aumentare la disponibilità di farmaci per prevenire la Mefn?
Assolutamente sì. Abbiamo iniziato la produzione di immunoglobulina anti D in maniera dedicata nel nostro stabilimento negli Stati Uniti, questo perché secondo uno studio c’è un gap di un milione di dosi tra quelle che sono le necessità e quella che è l’attuale distribuzione. La maggiore disponibilità di farmaco è una delle chiavi per vincere la malattia, come anche la necessità di aumentare la consapevolezza della sua esistenza. Per questo stiamo creando un sito web dedicato alla consapevolezza della patologia e destinato esclusivamente alle donne.