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QS Edizioni - mercoledì 4 dicembre 2024

Stefan Hohaus (Ematologia Gemelli): “Efficacia e sicurezza confermate anche nella somministrazione sottocute”

22 novembre - Cosa sono i linfomi non-Hodgkin? Quante persone colpiscono? E in che modo l’avvento degli anticorpi monoclonali ha cambiato lo scenario terapeutico di queste malattie del sangue?
I linfomi non-Hodgkin sono malattie tumorali che derivano dalla trasformazione neoplastica di cellule linfatiche che risiedono nei linfonodi, ma possono anche interessare sedi extranodali come il sistema gastrointestinale e il sistema nervoso centrale. La classificazione dei linfomi non-Hodgkin è complessa. Si distinguono più di 40 sottotipi. Sono raggruppati in due gruppi principali: i linfomi derivati dalla trasformazione neoplastica di cellule di tipo B, che rappresentano la maggior parte di questi tumori, e quelli che derivano dalla trasformazione delle cellule T. Dal punto di vista clinico possiamo distinguere le forme a basso grado di malignità, che crescono lentamente, dalle forme più aggressive che crescono velocemente.

Rispetto all’incidenza dei linfomi non-Hodgkin, le stime sono di circa 20 nuovi casi su 100.000 abitanti all’anno. L’incidenza varia in base all’età, sono più colpite le persone dopo i 60 anni. In Italia ogni anno si registrano circa 10.000-12.000 nuovi casi. Il rischio di sviluppare un linfoma nel corso della vita è di circa 1-1,5% (1 caso ogni 70 a 100 persone).

Per quanto riguarda le terapie, lo scenario è cambiato radicalmente con l’avvento di rituximab, anticorpo monoclonale anti-CD20. Rituximab è una terapia a bersaglio molecolare che distrugge le cellule B, in quanto è in grado di riconoscere l’antigene CD20 espresso sulla superficie di tutte le cellule B, sia quelle normali che quelle maligne.

Può essere utilizzato nel trattamento dei linfomi non-Hodgkin B come agente singolo nella fase di mantenimento o in combinazione con la chemioterapia nella fase di induzione, rendendola più efficace. Rituximab è stato approvato dall’Autorità statunitense per i farmaci, la FDA, nel 1997 per la terapia dei linfomi follicolari recidivati.

Alla luce delle crescenti evidenza sull’efficacia del farmaco l’indicazione di rituximab è stata estesa poi ai linfomi follicolari in prima linea, al linfoma diffuso a grandi cellule B. Oggi rituximab è un pilastro del trattamento di tutti i linfomi non-Hodgkin che derivano da cellule B. Rituximab aumenta la risposta terapeutica, e di conseguenza aumenta le probabilità di guarigione, prolunga la sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale.

Quali difficoltà comporta in generale la somministrazione per endovena in termini di gestione dei tempi e possibili complicanze?
La somministrazione per endovena necessita di un accesso venoso, periferico o centrale. Qualche volta nei pazienti pluritrattati può diventare difficoltoso trovare questo accesso periferico, ma la presenza di un catetere venoso centrale permanente d’altra parte espone il paziente sia a rischio di infezione del catetere sia ad eventi trombotici, soprattutto se permane per molto tempo. Inoltre, un catetere venoso centrale necessita di medicazioni, irrigazioni da parte di personale sanitario almeno una volta a settimana. Questi sono solo alcuni aspetti della gestione dell’accesso venoso, senza considerare che la somministrazione dell’anticorpo monoclonale per endovena richiede molto tempo, normalmente circa 3 ore.

Quali sono i benefici della somministrazione sottocutanea di rituximab come alternativa a quella per endovena? Quali evidenze abbiamo in termini organizzativi nella gestione delle visite e del DH, efficacia e sicurezza?
I benefici della somministrazione sottocutanea di rituximab sono molteplici. Il principale vantaggio è il risparmio di tempo dal momento che il tempo di somministrazione si riduce a circa 5-7 minuti per l’applicazione sottocute rispetto alle 3 ore della somministrazione per endovena. Questo si traduce in minor tempo di permanenza in ospedale da parte del paziente e del suo accompagnatore o caregiver. Anche per il personale sanitario si riduce il tempo d’impegno per la somministrazione della terapia, liberando risorse umane per altri compiti.

L’efficacia e la sicurezza di rituximab somministrato per via sottocutanea sono state dimostrate in molteplici studi e sono risultate equivalenti alla somministrazione per endovena. I dati sulla farmacocinetica dimostrano che il valore farmacocinetico della concentrazione nel sangue dopo la somministrazione sottocutanea di rituximab a distanza (concentrazione di valle), prima della prossima somministrazione, è sovrapponibile a quello della somministrazione del farmaco per endovena. Sappiamo che questa concentrazione di valle è quella determinante per l’efficacia della terapia.
Nello specifico, due studi successivi pubblicati nel corso dell’ultimo anno hanno confrontato l’efficacia della terapia sottocute e quella endovena. Lo studio SABRINA ha comparato le due formulazioni in una popolazione di più di 400 pazienti affetti da linfoma follicolare. È stata osservata la stessa efficacia della formulazione sottocute e di quella per endovena per quanto riguarda la risposta globale e la sopravvivenza libera da progressione.
Lo studio MABEASE che includeva circa 600 pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B ha confermato che le due modalità di somministrazione hanno la stessa efficacia e sicurezza anche nei linfomi aggressivi. In conclusione, la formulazione sottocute permette una somministrazione della terapia più rapida con benefici per paziente, caregiver e personale sanitario a parità di efficacia e sicurezza.
22 novembre 2017
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