“Tutti i cittadini delle zone rossa, arancio e delle altre aree contaminate da Pfas hanno diritto all’acqua non contaminata: la Regione intervenga affinché sia garantita anche a chi non è allacciato alla rete acquedottistica pubblica. Dopo 8 anni numerosi residenti si servono ancora di pozzi privati perché non hanno mai avuto né collegamento all'acquedotto, né fornitura d'acqua alternativa e ciò è inaccettabile”. Ad affermarlo è
Cristina Guarda, consigliera della lista Civica per il Veneto e prima firmataria di una mozione creata assieme ai colleghi
Patrizia Bartelle (Iic) e
Piero Ruzzante (LeU) del coordinamento Veneto 2020 e sottoscritta anche da
Anna Maria Bigon e
Andrea Zanoni del Partito Democratico.
Guarda accusa la Regione di avere “dimenticato queste persone da anni” mentre “è necessario fornirgli un supporto pratico e finanziario”. Ma di loro, ribadisce Guarda, “non si occupa più nessuno in Regione, nonostante siano molte le proposte da noi avanzate, alcune addirittura votate negli scorsi anni anche all'unanimità in Consiglio. Purtroppo però rileviamo non vi sia néè una comunicazione, né un progetto per rendere meno difficoltosa la loro vita. Nel tempo i gestori hanno provveduto ad ampliare la rete acquedottistica, ma molti residenti sono ancora tagliati fuori”.
Per la consigliera “siamo tornati indietro, e in peggio, di oltre 40 anni: nel 1977, sempre a Vicenza, a seguito della scoperta di una contaminazione delle acque causata sempre dall'allora Rimar, poi Miteni, fu disposta infatti la chiusura del campo pozzi e di quelli privati garantendo ai cittadini la fornitura di acqua tramite l’impiego, nel breve periodo, di autobotti. E' questa immediata capacità di azione che i cittadini si aspetterebbero ed è ciò che torniamo a chiedere oggi, dopo averlo fatto più volte nel corso della legislatura e in particolare durante la commissione straordinaria Pfas, dove proponevamo misure di sostegno in particolare per le famiglie con bimbi piccoli e donne in gravidanza”, ricorda Guarda. “Anche il direttore generale della sanità veneta, rispondendo alle Mamme No Pfas, aveva parlato di azioni per sostituire ‘l’acqua ad uso alimentare’, e all'epoca era stato promesso, alla presenza di assessori e del governatore, di fornirla con autobotti ai cittadini de
lla zona rossa. Poi è calato il silenzio”.
Per Guarda “la Regione”, in quanto “responsabile del sistema sanitario e quindi della salute dei suoi concittadini, assieme ai sindaci, ha l’obbligo di intervenire, informando adeguatamente sui rischi che si corrono nell’ingerire ancora alte concentrazioni di Pfas usando il pozzo privato per le funzioni quotidiane. I cittadini consapevoli consumano solo acqua in bottiglia, anche per fare la pasta: è normale che si debba vivere così? Chi non affronta questo disagio, che pesa economicamente e ambientalmente, non riesce a capire davvero la condizione svilente cui siamo sottoposti noi cittadini delle zone avvelenate. È stato perso troppo tempo, la Regione deve intervenire: non possono esserci veneti ‘figli di un Dio minore’: venga fornita a tutti acqua non contaminata da sostanze perfluoroalchiliche”.
A rispondere alla consigliera è l’ufficio stampa della Regione: “Per quanto concerne i pozzi ad uso civile, fin da 2014 l’ente gestore ha stanziato dei fondi per l’estensione della rete acquedottistica a tutti gli utenti che non fossero allacciati alla rete, ma l’estensione del territorio ed il numero degli interventi fa sì che, pur essendo tutti programmati, questi siano ancora in corso”, si legge nella nota.
L’ufficio stampa evidenzia poi che “la Regione del Veneto non ha competenza né può provvedere ad imporre che tali utenze (quelli che attingo ancora da pozzi privati) siano allacciate alla rete idrica dell’acquedotto dal momento che la competenza in materia è dei Comuni, che immediatamente dopo l’emergenza hanno adottato ordinanze di divieto di uso di tali pozzi privati”.
Inoltre, “a livello normativo nessun ente può imporre l’obbligo, che invece sussiste per l’allacciamento alla rete fognaria ove esistente. In ogni caso, anche se fosse disposto un obbligo di tale genere, il costo dell’allacciamento, andrebbe a ricadere sulla tariffa del servizio idrico di tutti i cittadini ricadenti nel territorio servito dall’ente gestore”.
Per quanto riguarda i pozzi ad uso irriguo, l’ufficio stampa della regione riferisce che “nel 2017 la Regione Veneto ha affidato ad Arpav il monitoraggio e il campionamento gratuito dei pozzi irrigui, zootecnici e domestici nei 21 comuni della ‘zona rossa’. Per questa azione - rivolta a tutti gli agricoltori dell’area rossa in regola con il pagamento del canone irriguo, e progettata in collaborazione con le amministrazioni comunali e le associazioni di categoria, sono stati stanziati 40.000 euro. I pozzi campionati da Arpav sono stati 66: 25 ad uso irriguo (di cui 9 nel comune di Alonte), 17 ad uso zootecnico (di cui 11 nel comune di Albaredo d'Adige), i restanti 24 ad uso domestico. La risposta degli agricoltori e dei territori interessati è stata inferiore alle aspettative (si stima nell’area interessata i pozzi siano un migliaio)”.
Passando al tema delle azioni correttive relativamente al problema dell’inquinamento delle acque ad uso irriguo, “sempre nel 2017 – prosegue la nota regionale - la Regione ha messo a bando 3 milioni di euro del Programma di sviluppo rurale per offrire un sostegno economico alle aziende agricole della ‘zona rossa’ interessate dall’inquinamento dei pozzi che intendessero attuare interventi di decontaminazione: a) allacciandosi all’acquedotto o alla rete consortile; b) spostando il pozzo in area non contaminata; c) con filtri anti-Pfas. A scadenza non sono pervenute domande di finanziamento”.
Infine, in tema di studi e prevenzione ambientale, “già nel 2016 la Regione Veneto ha aderito al progetto europeo Phoenix – nell’ambito del programma LIFE+ 2014-2020 - per studiare strategie di governance, prevenzione e contenimento per una corretta gestione del rischio di contaminazione ambientale determinata dalla diffusione di sostanze come i Pfas e i Pfoa. Il progetto ha ottenuto un contributo comunitario di 1.264.396 euro (di cui 10 mila di cofinanziamento regionale) ed è tutt’ora in corso. Sono allo studio possibili interventi di fitodepurazione”.