Dopo sette anni (dal 2011 al 2018 e quando ormai si sta studiando il modo di abrogarlo) il Tar del Lazio ha respinto su tutti i fronti il ricorso del 2011 del Veneto contro il superticket (sentenza 8276/2018 pubblicata il 23 luglio 2018).
Il ricorso del Veneto era contro il ministero della Salute, dell’Economia e contro tutte le altre Regioni per l’annullamento del decreto del Capo Dipartimento della Qualità del Ministero della Salute 26 luglio 2011 su: “La definizione della stima degli effetti, nelle singole regioni, della complessiva manovra connessa all’applicazione della quota fissa per ricetta pari a 10 euro per le prestazioni dia ssistenza specialistica ambulatoriale, di cui all’art. 1, comma 796 lett. p) primo periodo della legge 27 dicembre 2006, n. 296”.
Varie le motivazioni del Veneto.
Tra queste l’errata quantificazione del gettito del superticket che avrebbe penalizzato le finanze regionali, l’esodo provocato dalla norma di molti pazienti per prestazioni ambulatoriali dal pubblico verso il privato e la presunta incostituzionalità della norma per “Illegittimità per eccesso di potere: carenza di motivazione e sviamento illegittimità per incompetenza”.
Netta la risposta con cui il Tar ha respinto il ricorso.
Secondo i giudici al “sopravvenuto difetto di interesse ed in parte infondato in ordine alla illegittimità del provvedimento impugnato, derivata da quella costituzionale che inficerebbe l’art. 17, comma 6 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 convertito in legge con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111” il decreto prevedeva “in alternativa all’applicazione della quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale a carico degli assistiti non esentati dalla quota di partecipazione al costo, sono quelle riferite alle singole tipologie di prestazioni, per i singoli costi espressi nell’allegato documento tecnico, parte integrante e sostanziale del presente Accordo” e quindi “non ha senso per la ricorrente insistere sui vizi del provvedimento, come la stessa effettua con memoria per l’udienza odierna”, dal momento che a seguito dell’Accordo, dalla stessa sottoscritto la Regione si è testualmente impegnata “ad adottare con proprio provvedimento tutte le misure, ove non già adottate, contenute” nell’allegato al decreto.
E’ poi superata secondo il Tar la censura con cui la Regione sostiene che l’eccezione di illegittimità costituzionale non trovi limite nella sentenza n. 203 del 2008 con la quale la Corte Costituzionale ritenne infondato un ricorso proposto dalla stessa Regione contro l’art. 1, comma 796 lettera p e p-bis della legge n. 296/2006, dal momento che la norma è stata espressamente richiamata dal sesto comma dell’art. 17/Dl 98 “avverso il quale l’interessata ripropone col motivo in esame i profili di illegittimità costituzionale che si vanno ad esaminare e cioè quelli di violazione o di contrasto con i principi di cui agli articoli 3, 32 e 97 Cost”.
Oltre tutto secondo il Tar, essendo la norma dettata dalla legge annuale di stabilità per il 2012 che aveva come obiettivo quello di contenere la spesa pubblica, tra le altre, in materia di sanità, il principio di buon andamento anche dell’amministrazione regionale “va contemperato con quello di contenimento del fabbisogno finanziario dello Stato”.
Secondo i giudici poi non è sufficientemente dimostrato “se non con assertive locuzioni” in che termini avverrebbe la violazione del diritto alla salute, né che la norma incida sulla uguaglianza nella responsabilità di condividere i costi, sia da parte delle Regioni che degli utenti del servizio, “laddove in base a tal principio devono essere adottate misure allo stesso tempo idonee al contenimento della spesa sanitaria e idonee a garantire a tutti i cittadini, a parità di condizioni, una serie di prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza” anche sulla base del principio sempre elaborato dalla Corte Costituzionale secondo il quale “poiché il diritto alla salute spetta ugualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull'intero territorio nazionale”
Il ricorso quindi, secondo il Tar Lazio “va in parte rigettato in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse”.