Il Tribunale Amministrativo della Lombardia ha accolto il ricorso di otto medici operanti nella sanità pubblica lombarda contro le linee guida della Regione, approvate nel 2008, che avevano introdotto il limite delle 22 settimane più tre giorni per l’interruzione di gravidanza.
“Sarebbe del tutto illogico – è scritto nella motivazione – permettere che una materia tanto sensibile qual è quella afferente all’interruzione volontaria della gravidanza possa essere disciplinata differentemente sul territorio nazionale, lasciando che le regioni individuino, ciascuna per il proprio territorio, le condizioni per l’acceso alle tecniche abortive e, attraverso la definizione delle procedure, il grado di attendibilità degli accertamenti di quelle motivazioni”.
Secondo il Tar “le norme contenute nella legge 194/78 definiscono concretamente il contenuto dei diritti che fanno capo rispettivamente a madre e nascituro, e quindi incidono sulle prestazioni da garantire affinché quei diritti possano essere tutelati”.
Inoltre, secondo i giudici amministrativi “gli operatori devono poter effettuare le proprie valutazioni esclusivamente sulla base delle risultanze degli accertamenti svolti caso per caso e sulla base del livello delle acquisizioni scientifiche e sperimentali raggiunte nel momento in cui vengono formulate le valutazioni stesse”. Dunque deve essere lasciata autonomia al medico cosa che la delibera regionale negherebbe. Ecco quindi l’illegittimità delle le linee guida della Regione che incidono sui limiti temporali per l’aborto, che prevedono le consulenze di uno psicologo, la firma da parte dei ginecologi su un certificato che attesta le condizioni necessarie per accedere alle tecniche abortive, e il supporto di due specialisti di altre branche della medicina per diagnosticare la sussistenza dei gravi pericoli di salute.
Nella sede della Regione la notizia non è piaciuta “il Tar avalla una deriva abortista” è stato il commento di Roberto Formigoni che ha aggiunto “viene annullato l’atto di indirizzo con cui la Lombardia invita i propri ospedali a non effettuare interruzioni di gravidanza oltre la 22 settimana e tre giorni. Il provvedimento, bocciato dal Tar, si limita a raccogliere le evidenze scientifiche: i progressi delle tecniche di rianimazione soprattutto nei centri all’avanguardia come la Mangiagalli di Milano, hanno anticipato temporalmente la possibilità di vita autonoma di un feto rispetto al 1978. Di qui la scelta di fissare il limite alla 22 settimana e 3 giorni per l’interruzione di gravidanza terapeutica. La sentenza è antiscentifica e anticlinica”.
“Sulla pillola abortiva Ru 486 – insiste il governatore – viene ammessa una competenza legislativa anche per le regioni. C’è un’ingiustizia che ha due pesi e due misure. Mai però in difesa dei provvedimenti pro-vita”. Formigoni quindi conclude auspicando “un intervento del Parlamento”.
“La limitazione temporale – ha spiegato uno dei firmatari del ricorso al Tar, Mauro Buscaglia, direttore del dipartimento materno infantile del San Carlo – crea una discriminazione tra una Regione e l’altra. Inoltre rischia di mettere troppa fretta nell’elaborazione della diagnosi e nella decisione da parte della donna sul da farsi. Sono sempre più convinto che la legge 194 sia una buona legge e che si debbano rispettare i tempi stabiliti a livello nazionale”.
Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc, ha criticato la decisione del Tar affermando “Si ha come la sensazione che certe linee culturali trovino sponda in certa magistratura per portare avanti un disegno in favore dell’aborto libero che è in contrasto con le leggi e con la Costituzione italiana”. Ma ha anche rilanciato sulla proposta di limitare il termine per l’interruzione di gravidanza “è sempre più urgente che finalmente si porti in discussione nell’aula di Montecitorio la proposta per limitare l’aborto entro e non oltre la ventesima settimana di gravidanza”.
Viceversa è stata espressa soddisfazione per la sentenza dall’Associazione Luca Coscioni “A suo tempo avevamo debitamente avvertito con interrogazioni che le linee guida varate tre anni fa dalla regione Lombardia, fortissimamente volute dal suo presidente Roberto Formigoni erano un accrocco illegittimo e illegale: che era inaccettabile che una materia così delicata come l’aborto potesse essere disciplinata differentemente sul territorio individuale e che le Regioni potessero stabilire le condizioni per l’accesso alle tecniche abortive. La sentenza del Tar è inequivocabile: il termine fissato dalla giunta Formigoni delle 22 settimane contrasta con la legge nazionale”.