Pochi vantaggi e tanti problemi. A dieci anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione lo sviluppo delle politiche sanitarie in Italia continua ad apparire una concentrazione di paradossi, legati principalmente alla necessità di continua concertazione tra Stato e Regioni nell’ambito di un Organismo non previsto dalla Costituzione: la Conferenza Stato-Regioni. Ad affermarlo è il costituzionalista Giovanni Guzzetta, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università Tor Vergata di Roma, che in una lettura magistrale al Congresso Siti (la Società italiana di Igiene, medicina preventiva e sanità pubblica) in corso a Venezia, ha approfondito il tema del diritto alla salute nell’era del federalismo.
Secondo Guzzetta la proficua interazione tra i due livelli, Stato e Regione, funziona solo nei casi di emergenze sanitarie. “Ci sono troppi veti e condizionamenti regionali sulle decisioni dello Stato – ha detto Guzzetta – con modelli consensuali che fanno sfuggire l’addebitamento delle responsabilità in caso di risultati negativi; non è stata mai istituita una seconda Camera regionale trascinando il modello del bicameralismo perfetto ormai anacronistico”.
“Dato il quadro e l’intreccio di competenze, c’è, in conclusione, da chiedersi in cosa possa consistere l’autonomia delle Regioni e quale spazio residuo rimanga per una politica regionale della Salute – ha affermato Guzzetta –. Ciò vale soprattutto considerando quanto condizionata sia la programmazione finanziaria dai generali equilibri di finanza pubblica. Qui potrebbe aiutare tornare ai fondamentali e richiamarsi ai principi fondativi del federalismo. In tale prospettiva è possibile immaginare che, nel contesto italiano, la mission degli enti territoriali sia quella di concorrere nella ricerca delle innovazioni e delle sperimentazioni gestionali che consentano di massimizzare l’efficienza nel rapporto tra costi economici ed efficacia dei servizi. Il regionalismo, può, allora, rappresentare il contesto istituzionale per la sperimentazione di “buone pratiche” economico-gestionali che spetta poi al circuito della collaborazione istituzionale mettere in circolazione nel sistema delle autonomie a vantaggio anche dei cittadini della altre Regioni.
Mentre, al contrario, – ha concluso – è nell’interesse di tutti i centri istituzionali isolare e colpire le pratiche cattive. Forse con più durezza di quanto non si sia voluto fare sinora. Ma questa è un’altra storia”. Insomma, la speranza è che l’avvento del federalismo fiscale possa portare a una maggior responsabilizzazione negli enti locali e a una nuova strategia in tema di governo della spesa sanitaria passando dai tagli generici ai costi standard, basandosi su regioni benchmarking validati.
(E.M.)