"Il problema che stiamo ponendo da diversi mesi è relativo alla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale e il fatto che recentemente lo stesso Presidente del Consiglio, Mario Monti, abbia riconosciuto la centralità di questo problema dimostra che le Regioni hanno ragione ad opporsi ad una logica di tagli lineari". Non cambia idea Vasco Errani, presidente dell'Emilia Romagna e della Conferenzsa delle Regioni che da mesi sta conducendo un vero e proprio braccio di ferro con il Governo sostenenendo la "insostenibilità" dei tagli operati da questo e dal precedente governo.
Tagli che, spiega in una lunga intervista rilasciata al portale della Fnomceo, "per il periodo 2010-2015 si sono concretizzati rispetto alla spesa tendenziale su una cifra impressionante, intorno ai 30 miliardi e il timore è che di questo passo, progressivamente, tutte le Regioni possano andare in default". Da qui la decisione delle scorse settimane di bloccare qualsiasi intesa sulla sanità senza un chiarimento sulle risorse che, a questo punto, lascia intendere Errani potrà avvenire solo col prossimo Governo.
Presidente Errani, il Ministro Balduzzi, nel fornire i dati sulla Sanità in Italia ha parlato della spesa sanitaria in rapporto al PIL. Ha però sottolineato la differenza tra il rapporto con il PIL atteso e il rapporto con il PIL reale, in tempi di crisi. Lei pensa che questa differenza sia sostanziale rispetto all’auspicata sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale?
Non credo che sia corretto, anche in tempi di crisi, fare riferimento al PIL atteso. Stiamo vivendo una situazione critica sul piano economico e sociale, ma tutti concordiamo sulla necessità di fare di più in termini di sviluppo, di rimettere in moto l’economia nei diversi territori del nostro Paese. La situazione è “fluida”: accanto a segnali incoraggianti come quello relativo alle esportazioni e quello relativo all’andamento dello spread, si pongono numeri drammatici in particolare sul fronte del lavoro, sia per quanto riguarda i disoccupati, sia per quanto riguarda l’incremento al ricorso alla cassa integrazione. Quando si dice che non bisogna fare della Sanità un argomento puramente ragionieristico, occorre essere conseguenti e fare in modo che un’affermazione di questo genere non resti un’espressione di maniera. Guardando ai dati diffusi dalla Ragioneria Generale dello Stato, si nota che l’incidenza percentuale della spesa primaria della Sanità sul PIL nell’ultimo anno rilevato (il 2009) è del 7,5%, mentre è dell’8,4% in Francia e dell’8,5% in Gran Bretagna. Non è vero, dunque, che per la salute in Italia si spenda troppo, in ogni caso non mi soffermerei tanto su questo, quanto sulla necessità per il nostro Paese di rivitalizzare gli investimenti in particolare proprio per le strutture sanitarie. E’ una delle richieste che più volte abbiamo rivolto al Governo chiedendo di sbloccare le risorse previste dall’ex articolo 20 della finanziaria dell’88. Il problema che stiamo ponendo da diversi mesi è relativo alla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale e il fatto che recentemente lo stesso Presidente del Consiglio, Mario Monti, abbia riconosciuto la centralità di questo problema dimostra che le Regioni hanno ragione ad opporsi ad una logica di tagli lineari. Come Conferenza delle Regioni abbiamo sottoposto all’attenzione del Governo e del Parlamento diversi documenti e, cifre alla mano, abbiamo dimostrato che per il periodo 2010-2015 si sono concretizzati e vanno realizzandosi tagli rispetto alla spesa tendenziale che arrivano ad una cifra impressionante, intorno ai 30 miliardi. Il timore è che di questo passo, progressivamente, tutte le Regioni possano andare in default e che quindi, in prospettiva, siano in serio rischio le prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale. Temo che questo approccio possa rappresentare un peso ulteriore su quella “questione sociale” che autorevolmente ha rappresentato agli italiani il Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno.
Spending review e ddl stabilità: il Governo afferma che meglio di così non si poteva fare. Lei come Presidente della Conferenza delle Regioni ha manifestato opinioni opposte. Ci può dire quali sono i punti critici di questa situazione?
Sulla spending review siamo stati sempre molto chiari e disponibili al confronto, ma non abbiamo avuto la necessaria attenzione da chi ha materialmente contributo alla intelaiatura e alla stesura del provvedimento. I tagli ai servizi non strettamente sanitari, ma inclusi nella qualità complessiva del SSN, e mi riferisco alla tinto-lavanderia piuttosto che alla erogazione dei pasti nelle strutture ospedaliere, stanno producendo drammaticamente i loro effetti. Non si può e non si deve imporre una riduzione percentuale di tali servizi, prescindendo dalle diverse situazioni territoriali, ragionando come se dappertutto gli appalti siano stati realizzati con un margine di spreco implicito. In questo modo si è finito per penalizzare proprio quelle realtà che avevano seguito tali servizi con maggiore meticolosità, guardando alla qualità e al rapporto costo beneficio. La Legge di stabilità poi vanta un triste primato: per la prima volta il Fondo Sanitario del 2013 risulta inferiore, di circa un miliardo, rispetto al finanziamento 2012. In questa situazione risulta ben difficile creare le condizioni per un nuovo “Patto per la Salute” (2013-2015). Contrarre le risorse, tenendo ormai da diversi anni il Fondo Sanitario al di sotto del tendenziale di spesa e del tasso di inflazione fino ad arrivare ad un segno negativo nel 2013, significa avere un atteggiamento miope perché vuol dire di fatto impedire un accordo per il nuovo Patto per la Salute, strumento che, come riconosciuto autorevolmente dalla Corte dei Conti e dallo stesso Ministero dell’Economia, ha consentito di tenere sotto controllo il Governo della spesa sanitaria.
Le Regioni non sono tutte uguali. Le misure fin qui adottate, compresi i Piani di Rientro, hanno comportato tagli drastici a strutture sanitarie, a reparti ospedalieri, con riduzione delle prestazioni, in termini quantitativi e qualitativi. E dal Sud sono ripresi i cosiddetti viaggi della speranza. In questo anno di Governo dei tecnici, se Lei fosse stato al posto di Monti cosa avrebbe fatto e cosa avrebbe evitato di fare?
Non mi piacciono i giochi di ruolo. Le proposte che può fare l’Esecutivo per le linee di indirizzo della politica sanitaria spettano al Governo. Alle Regioni tocca la responsabilità della organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale secondo criteri omogenei che salvaguardino ovunque il diritto alla salute. Quanto ai Piani di Rientro, al di là di alcuni appesantimenti burocratici, sono stati un buono strumento per tenere sotto controllo la spesa sanitaria. Uno strumento che abbiamo condiviso con il Governo nel Patto per la Salute. Ciò che manca oggi è proprio questo, ovvero uno strumento, il nuovo Patto, su cui confrontarci con riferimento alle risorse e alle prestazioni in un confronto franco fra Regioni e Governo. Nel nuovo Patto per la Salute possiamo fare molto, anche ragionare sulla mobilità regionale e intervenire per ridurre i ‘viaggi della speranza’, ma dobbiamo prima avviare un ragionamento serio sulle risorse. Pensare di realizzare riforme in sanità con la tecnica dell’annuncio, non solo e’ inefficace, ma è controproducente. I problemi del Servizio Sanitario Nazionale vanno affrontati guardando dentro le situazioni, trovando anche criteri standard – non ci siamo mai sottratti a questa sfida anche durante l’annosa discussione sul Federalismo Fiscale – ma avendo ben chiaro che stiamo parlando di un diritto fondamentale e di un sistema universalistico di natura pubblica che non può in alcun modo essere compromesso da scelte sbagliate e unilaterali.
Una domanda come Presidente dell’Emilia Romagna: in questi mesi si è notata la differenza nella gestione post-terremoto nella sua regione, rispetto quanto avvenuto a L’Aquila. Oltre ai protocolli di legalità, quali sono state le scelte che avete adottato, per cui in Emilia Romagna si è vista una positiva azione per la ricostruzione, al riparo da scandali e infiltrazioni mafiose?
Anzitutto abbiamo voluto una forte partecipazione locale alle scelte, sia nella gestione dell’emergenza che poi dell’impostazione delle fasi della ricostruzione. Assieme ai sindaci e alle Province non abbiamo fatto promesse mirabolanti o show, ma abbiamo cercato di dare un ruolo di primo piano al volontariato, all’associazionismo, alle tante realtà locali. Assieme abbiamo scelto di non fare new town, ma di intervenire e preservare il nostro patrimonio abitativo, il territorio, l’identità dei luoghi e delle comunità, studiando le necessarie soluzioni temporanee. Abbiamo deciso di dare massima precedenza alla ripresa produttiva, ai luoghi di cura (come le strutture di Carpi e Mirandola) e alle scuole, consentendo la regolarità dell’anno scolastico. Infine abbiamo chiuso i campi di accoglienza prima dell’inverno. Siamo riusciti a realizzare tali obiettivi anche grazie ad una fortissima solidarietà diffusa per la quale dobbiamo ringraziare tutto il Paese. Ed ora lavoriamo sull’incremento della sicurezza sismica e sui rimborsi per gli interventi per la case e le attività produttive, seguendo procedure certificate e vigilate da organismi come il GIRER, con una piena tracciabilità delle risorse impiegate, in modo da abbattere i rischi di infiltrazioni di economie grigie ed anche criminali. Sono trascorsi otto mesi e i problemi sono ancora tanti: si tratta di un lavoro che ci vedrà impegnati ancora per molto tempo e la nostra attenzione sarà massima.