Il Consiglio regionale della Lombardia, esprimendosi con un voto segreto a maggioranza, ha deciso nella seduta di ieri di “non trattare” il progetto di legge di iniziativa popolare relativo a “procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito” promosso dall’Associazione Luca Coscioni.
La Questione pregiudiziale di costituzionalità, illustrata da
Matteo Forte (FdI) e approvata con 43 voti a favore e 34 voti contrari - compreso quello dell’ex assessore al Welfare
Giulio Gallera (FI) – (nessun astenuto e un consigliere in congedo), dichiara infatti che nel testo del progetto di legge “sussistono possibili questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 117 della Costituzione”. “Ogni qual volta la Corte ha considerato un intervento legislativo in materia – viene precisato – si è rivolta solo e soltanto al legislatore statale, al quale solo spetta il compito di individuare il punto di equilibrio tra autodeterminazione e tutela della vita”.
Richiamando una specifica sentenza della Corte, si afferma inoltre che si tratta di diritti “la cui tutela non può non darsi in condizioni di fondamentale eguaglianza su tutto il territorio nazionale”.
Un concetto, questo, sottolinea la nota di fine seduta dell’ufficio stampa del Consiglio regionale, “che nella Questione pregiudiziale viene sottolineato e approfondito. Nel testo del progetto di legge, infatti, vengono individuate alcune ‘invasioni di campo’ in riferimento a materie esclusive dello Stato quali l’ordinamento civile e penale e, appunto, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ‘che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale per ragioni imperative di eguaglianza tra tutti i cittadini”.
“In ogni caso – ha detto il relatore
Matteo Forte, riprendendo alcuni passaggi della Questione pregiudiziale, – ad oggi in Italia non esiste alcun diritto al suicidio medicalmente assistito. La sentenza 242 del 2019, alla quale fa riferimento il pdl traendone conseguenze sbagliate, si limita infatti ad escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. La non punibilità viene riconosciuta quando il paziente è affetto da patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili, tenuto in vita con trattamenti di sostegno vitale e sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli. La stessa Corte, tornando sulla materia nel 2024, ha precisato che ‘una simile ratio, all’evidenza, non si estende a pazienti che non dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non hanno la possibilità di lasciarsi morire semplicemente rifiutando le cure’”.
Carmela Rozza (PD), correlatrice nel lavoro delle Commissioni, intervenendo, ha insistito sul fatto che il progetto di legge non intendeva aggiungere nessuna decisione rispetto a quanto stabilito dalla Corte. “Si trattava - ha detto- di stabilire procedure e tempi affinchè la Regione potesse completare quanto previsto dalla Corte, che ha elencato precise condizioni per l’accesso al suicidio assistito rendendo irragionevole l’esclusione delle persone interessate. E infatti in questo senso avevamo individuato emendamenti migliorativi, ma qui purtroppo prevalgono le tifoserie di partito”.
Per il capogruppo del Pd in Consiglio regionale della Lombardia e componente della segreteria nazionale Dem,
Pierfrancesco Majorino, “la destra ha fatto un grande errore. Ha deciso di impedire che vi possa essere una legge al fianco delle persone più sofferenti. La questione del fine vita non credo riguardi uno schieramento politico o un altro, ma la vita delle persone e un diritto che va garantito. E riguarda anche la necessità di dare indicazioni più chiare agli operatori sanitari. Penso che ci sia stata una grande dimostrazione di viltà da parte della destra, che non è neanche riuscita a bocciare la legge nel merito, ma ha addirittura impedito che venisse discussa dal Consiglio regionale. Peraltro è stato imbarazzante assistere al comportamento del presidente Fontana che mesi addietro si era detto disponibile ad un confronto nel merito. Oggi ha vinto Fratelli d'Italia che ha deciso di dare una linea oscurantista ancora una volta”, ha aggiunto Majorino in una nota diramata a fine seduta.
In una nota anche il gruppo Fratelli d'Italia argomenta le proprie motivazioni: “Abbiamo posto la questione pregiudiziale da parte della maggioranza, con la richiesta di non trattazione del PDL 56/XII, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 73 del Regolamento Generale del Consiglio Regionale, in quanto in tutto l’articolato si verifica il rischio di scivolare nelle materie di esclusiva competenza statale, attribuita chiaramente dall’art. 117 della Costituzione. Richiesta che è stata approvata, come sosteneva sin dall’inizio Fratelli d’Italia, in quanto sussistono rilevanti questioni di legittimità costituzionale - ha precisato il consigliere regionale
Matteo Forte – E’ davvero curioso che chi si oppone all’eliminazione dei vincoli statali in materia di spesa di personale sanitario, ivi compresa l'assunzione di quello da impiegare per la riduzione dei tempi d’attesa, poi pretenda che sui diritti fondamentali ogni regione faccia da sé. Sull’ipotesi se in assenza di una legge statale la sentenza della Corte Costituzionale 242 possa considerarsi una fonte da cui derivare un intervento normativo regionale di dettaglio, il prof. Zanon è stato alquanto lapidario: «sarebbe un’acrobazia in termini di diritto costituzionale piuttosto intensa”.
Con la votazione di ieri, per
Christian Garavaglia, capo gruppo FDI in Consiglio regionale, “si è concluso un percorso, che ci ha visto sin dall’inizio chiaramente dalla parte della vita e per promuovere percorsi di cure palliative e terapia del dolore. Come avevamo sollevato alla presentazione del progetto di legge vi sono criticità tanto su questioni tecniche che giuridiche e di competenza, anche per non creare situazioni che trattino diversamente i cittadini da una regione all’altro, senza dimenticare valutazioni a carattere etico-morale: Fratelli d’Italia ha sempre scelto la difesa della vita, che non può per sua natura essere confinata solo in procedure prefissate ed all’interno di un iter terapeutico o di procedure medicali. Pertanto, la terapia del dolore e le cure palliative in essere presso le Asst rimangono gli strumenti al servizio del malato come dei propri famigliari per condurre il paziente dignitosamente al termine della propria esistenza”.
“Abbiamo condotto un partecipato e complesso percorso nelle Commissioni, con diverse audizioni e analizzando i vari profili tecnici ed amministrativi della questione, affrontando nel merito, con una lettura multidisciplinare, i vari contenuti del progetto di legge, grazie anche ad interventi di rilevanti esperti legali. Fondamentale rimane l’uniformità di trattamento ovvero il principio di uguaglianza; quindi, una scelta uniforme su tutto il territorio nazionale, che non crei differenze di trattamento e condizioni ai malati” - ha commentato il Presidente della III Commissione Sanità,
Patrizia Baffi.La nota affida le conclusioni a Matteo Forte: “L’infondatezza delle lettere alle Regioni dell’allora Ministro Speranza, in cui spingeva perché legiferassero sul suicidio assistito, è ben argomentata dalla sentenza della Corte costituzionale con cui lo scorso 14 novembre ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’intera legge sull’autonomia differenziata. Si legge, infatti, nel relativo comunicato diffuso, che i giudici delle leggi hanno solo ravvisato taluni elementi di incostituzionalità su cui sarà chiamato ad intervenire nuovamente il Parlamento: tra questi la Corte rileva che non può essere rimessa nelle sole mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Ecco tornare indietro ancora una volta il boomerang dell’autonomia lanciato da quanti sostengono che esisterebbe una competenza da parte del legislatore regionale ad intervenire sul suicidio assistito. Mi sia concesso di concludere citando uno dei padri della democrazia liberale, John Locke: «siamo forniti delle stesse facoltà e partecipiamo tutti di una sola comune natura, non è possibile supporre fra di noi una subordinazione tale che ci possa autorizzare a distruggerci a vicenda, quasi fossimo tutti gli uni per uso degli altri, come gli ordini inferiori delle creature sono fatti per noi». Violare il principio della divisione del potere per competenza e accettare l’idea che possiamo autorizzare la reciproca distruzione «quasi fossimo gli uni per uso degli altri» significa altresì accettare il diritto del più forte e non la forza del diritto. Se ha un senso il nostro essere eletti quali rappresentanti dei cittadini, non lo possiamo permettere”.
Il progetto di legge di iniziativa popolare, accompagnato da 8181 firme, era stato presentato dall’Associazione Luca Coscioni lo scorso 18 gennaio. L’Ufficio di Presidenza, deliberandone l’ammissibilità (relativa alla sola verifica dei requisiti previsti dalla legge regionale ai fini dell’avvio dell’iter legislativo), aveva assegnato alle Commissioni Sanità e Affari istituzionali l’esame congiunto del provvedimento. Nei mesi scorsi sono stati chiesti pareri giuridici e si è proceduto con le audizioni di esperti e professori di diritto costituzionale. Il testo è composto da sei articoli, il secondo dei quali afferma che “la Regione Lombardia assicura la necessaria assistenza sanitaria alle persone che intendono accedere al suicidio medicalmente assistito… ai sensi e per effetto della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale”. Negli altri articoli vengono stabiliti modi e tempi della “prestazione”, che dovrà essere “assicurata gratuitamente”.