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QS Edizioni - martedì 30 luglio 2024

Regioni e Asl

No alla libera professione nelle strutture private per i medici che hanno optato per esclusività con il Ssn. Consulta boccia la legge della Liguria

immagine 30 luglio - Anche se l'intento è ridurre le liste d‘attesa, per i giudici il comma 1 dell’art. 47 della legge regionale 20/2023 è in contrasto con un principio fondamentale, e vincolante per tutte le Regioni, che vieta ai medici con rapporto di lavoro esclusivo con il SSN di svolgere l’ALPI presso strutture private accreditate. Sì, invece, al comma 2 che consente al Ssr, in via transitoria, di acquisire prestazioni in regime di Alpi, ad eccezione della parte in cui si prevede che tali prestazioni possano essere effettuate anche presso strutture accreditate. LA SENTENZA
I dirigenti sanitari dipendenti dal Servizio sanitario regionale che abbiano optato per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria non possono operare nelle strutture sanitarie private accreditate, neanche parzialmente e anche se l’obiettivo è abbattere le liste d’attesa. Lo ha chiarito la Corte Costituzionale che, con la sentenza 153 del 2024, si è pronunciata parzialmente contro la legge regionale della Liguria (n. 20 del 23/12/2023) impugnata dal Consiglio dei ministri, laddove prevedeva, all’articolo 47, comma 1, che “In via transitoria, fino all’anno 2025, anche al fine di migliorare l’integrazione tra le strutture facenti parte del sistema sanitario pubblico allargato di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), della legge regionale 7 dicembre 2006, n. 41 (Riordino del Servizio Sanitario Regionale), nelle strutture sanitarie private accreditate, anche parzialmente, con il Servizio sanitario regionale possono operare i dirigenti sanitari dipendenti dal Servizio sanitario regionale che abbiano optato per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria”.

Per la Consulta si tratta, infatti, di una previsione illegittima, in quanto si pone in contrasto con un principio fondamentale in materia di tutela della salute, vincolante per tutte le Regioni, che vieta ai medici che abbiano optato per il rapporto di lavoro esclusivo con il SSN e ai quali è dunque consentito svolgere attività libero professionale solo intramoenia, di svolgere l’ALPI presso strutture sanitarie private accreditate. Anche allorquando, infatti, è stata transitoriamente introdotta, in considerazione della carenza degli spazi disponibili, la possibilità di un’ALPI “allargata” e si è consentito al direttore generale di assumere le specifiche iniziative per reperire fuori dall’azienda spazi sostitutivi, includendovi anche gli studi professionali privati, è stata sempre ribadita l’espressa esclusione delle strutture sanitarie private accreditate.

Con tale divieto, stabilito dall’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007 e ripetutamente affermato dal legislatore statale negli anni, il legislatore “ha inteso garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico”, evitando che “potesse spiegare effetti negativi il contemporaneo esercizio da parte del medico dipendente di attività professionale presso strutture» accreditate, con il “pericolo di incrinamento della funzione ausiliaria” della rete sanitaria pubblica, che queste ultime svolgono.

Diverso, invece, il giudizio dei giudici sulle censure di incostituzionalità rivolte al comma 2 dello stesso art. 47 della legge della Regione Liguria n. 20 del 2023, là dove consente, “[i]n via transitoria” e comunque solo “fino all’anno 2025”, alle aziende sanitarie, enti e istituti del SSR di acquisire dai propri sanitari prestazioni in regime di ALPI “[a]l fine di ridurre le liste di attesa” e ovviare alla carenza di organico (prestazioni aggiuntive o integrative). Per la Consulta la disposizione regionale impugnata è, infatti, in linea con la normativa statale, ad eccezione della previsione della possibilità che le prestazioni acquistate dall’azienda sanitaria dai propri dirigenti sanitari in regime di ALPI siano effettuate presso strutture sanitarie accreditate.
30 luglio 2024
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