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QS Edizioni - sabato 17 agosto 2024

La donna che morì “due volte”

di Cesare Fassari
1 giugno - Parlare male dei colleghi non è cosa da fare alla leggera. Se non altro perché “errare è umano” e può capitare a chiunque faccia questo mestiere, compreso il sottoscritto.
 
Ma stavolta il caso lo merita. Se non altro perché la macroscopica disattenzione dei cronisti (uso il plurale perché nell’errore sono caduti in diversi) ha portato una ignara signora di 46 anni a “morire due volte” e diventare così protagonista suo malgrado di un nuovo caso di presunta (molto presunta come si capirà presto se avrete la pazienza di leggere queste righe fino alla fine) “malasanità”.
 
V.I., queste le iniziali della signora, si sente male la sera del 14 maggio avvertendo una forte difficoltà a respirare. Arriva al pronto soccorso del Policlinico Tor Vergata di Roma (alle ore 23) dove viene subito visitata e trattata con terapia farmacologica. I sanitari stabiliscono trattasi probabilmente di un lieve scompenso cardiaco e prescrivono ulteriori accertamenti da farsi in regime di ricovero e non in Pronto soccorso, dove, in ogni caso, la signora è trattenuta e vigilata in attesa della comunicazione sulla disponibilità di posti letto.
 
Un letto disponibile si trova la mattina dopo all’Ini di Grottaferrata, una struttura sanitaria che ha rapporti continuativi con Tor Vergata e in grado di fare gli esami del caso, dove la signora viene trasportata su un'ambulanza in compagnia di infermieri specializzati in emergenza sanitaria, senza la presenza di un medico e questo considerate le condizioni stabili e non preoccupanti della paziente.
 
Tuttavia durante il viaggio verso Grottaferrata (che, per chi non conosce Roma, dista poco più di 10 chilometri dal Policlinico e si trova nello stesso quadrante della città) la signora avverte un malore che spinge gli infermieri, come prevede il protocollo in questi casi, a contattare il 118 che mette a disposizione un’ambulanza attrezzata, dove viene sottoposta a defibrillazione, per il trasporto all’ospedale più vicino che è quello di Frascati (anche in questo caso parliamo di una manciata di chilometri).
 
In quell’ospedale la paziente viene stabilizzata e lì si decide, sempre in contatto con Tor Vergata, di trasferirla presso la terapia intensiva del policlinico universitario romano per garantire terapie e assistenza adeguate.
 
Dopo dieci giorni di ricovero in terapia intensiva la signora V.I. muore, nonostante un breve periodo di miglioramento che aveva fatto ben sperare, e muore perché, si scoprirà proprio durante il ricovero, affetta da una patologia cardiaca antecedente ai fatti in questione.
 
Da sottolineare infatti che in tutti questi giorni, dall’arrivo in pronto soccorso la notte del 14 maggio, al decesso del 26 maggio, la signora, secondo quanto emerso dagli esami effettuati (coronarografia negativa), non ha subito alcun infarto. Una precisazione importante come vedremo.
 
Questi i fatti, certificati dalle istituzioni sanitarie coinvolte.
 
E invece, ecco come è stata raccontata la notizia? Che ha smosso anche la penna di un noto commentatore mattutino del Corriere della Sera che ha parlato di “una donna di quarantasei anni che fa fatica a respirare e si precipita al pronto soccorso più vicino. Si siede e aspetta. Aspetta e boccheggia. Boccheggia e collassa. Per dodici ore la tengono ferma in quell’anticamera di dolore, prima di accorgersi che manca uno strapuntino per ricoverarla. Bontà loro, decidono di trasferirla a Grottaferrata. In macchina o in ambulanza, ancora non è chiaro, ma di sicuro senza un medico a bordo. Lungo il tragitto peggiora e viene straziata da un doppio infarto….”.
 
Ma peggio hanno fatto i cronisti che hanno raccontato per primi la vicenda, dalle cui cronache il commentatore del Corriere ha tratto probabilmente ispirazione.
 
Per questi colleghi la signora muore addirittura “due volte”, la prima stroncata da un infarto durante il trasporto a Grottaferrata, e la seconda dopo “poco meno di due settimane” di ricovero a Tor Vergata.
 
La cosa incredibile è che le due morti sono raccontate nello stesso articolo, dallo stesso giornalista (Repubblica, Messaggero, Il Giornale) senza apparente stupore.
 
E’ evidente che chi ha scritto quelle note a caldo, appresa la notizia forse da qualche parente della signora o da chissà chi, nella fretta di scrivere e trasmettere il pezzo in redazione non si è accorto del macroscopico errore.
 
E così V.I. è morta due volte. Un pasticcio che certamente non aiuta a capire come siano andate realmente le cose e ad accertare sul serio le eventuali responsabilità della sua morte che, va detto, letta bene la vicenda, non sembrano possano essere imputate ai sanitari e alle strutture sanitarie coinvolte.
 
Cesare Fassari
1 giugno 2017
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