25 ottobre -
Gentile Direttore,
sul numero del 15 ottobre di “quotidianosanità.it” si può leggere l’articolo dal titolo “
Covid. Anaao: Tra i non vaccinati rischio 90 mila morti. Si all’obbligo”. L’articolo riporta le dichiarazioni rilasciate pochi giorni prima dal Segretario nazionale di Anaao-Assomed, Carlo Palermo, all’Agenzia Adnkronos Salute.
Il Segretario Anaao sostiene la necessità dell'obbligo vaccinale per tutti perché teme che nel prossimo anno 3 milioni di persone non vaccinate possano infettarsi e, attendendosi una letalità di 3 morti per 100 contagiati, stima la possibilità di 90 mila morti tra i non immunizzati. Rimarca che la politica ha scelto di non rendere obbligatoria la vaccinazione, ma ha deciso di ricorrere ad una misura surrogata come il Green pass, la cui applicazione deve necessariamente continuare.
A questo proposito, credo sia opportuno rifarsi ai dati ufficiali del Governo sullo stato della pandemia nel Paese.
Alla data del 15 ottobre 46 milioni di italiani hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, pari all’85% dei soggetti con età superiore ai 12 anni. Restano, quindi, quasi 8 milioni di persone non ancora vaccinate, così suddivise: 4.480.513 con età compresa tra 12 e 39 anni, 2.969.399 con età compresa tra 40 e 59 anni, 1.283.816 con età compresa tra 60 e 79 anni e 224.640 persone con più di 80 anni. Come si vede, si tratta di una platea costituita per l’80% da persone giovani, sotto i 60 anni.
Sappiamo che durante l’intera pandemia la letalità media è stata di 2.8 defunti ogni 100 contagiati, ma sappiamo anche che essa ha oscillato dall’iniziale 19 per cento fino allo 0.4 nel corso delle diverse fasi pandemiche a causa del continuo variare tanto del numero dei contagiati, quanto del numero dei defunti. Non è, quindi, facile stimare con precisione quante saranno le persone colpite nel prossimo anno tra quelle non vaccinate, né quale sarà la letalità associata.
Tuttavia, è possibile trovare utili punti di riferimento nell’ultimo Bollettino ufficiale Covid-19 che descrive l’andamento dell’infezione nel mese di settembre appena passato, sia dei vaccinati che dei non vaccinati.
Tra gli 11 milioni e mezzo di persone non ancora vaccinate in settembre sono stati registrati 70.900 contagi e 927 morti, corrispondenti a 0.6 persone contagiate ogni 100 (tasso di contagio) e a 1.3 persone defunte ogni 100 contagiate (letalità).
Applicando i tassi di contagio e la letalità di settembre agli 8 milioni di persone oggi non vaccinate, è possibile stimare che nel prossimo anno i contagiati dovrebbero attestarsi intorno a 648 mila unità e i defunti intorno a 8.400. Si tratta di valori quasi 5 volte e 11 volte inferiori a quelli ipotizzati nel comunicato Anaao-Assomed.
Certamente non si può escludere che, come l’anno passato, con l’arrivo della stagione fredda e con la ripresa delle attività sociali al chiuso, il virus non acceleri la sua circolazione, né si può escludere che non si presenti una nuova variante virale più aggressiva, così che lo scenario debba effettivamente cambiare. Vale, però, ricordare che nel primo anno di pandemia, quando il virus ha corso per lunghi tratti completamente libero e la vaccinazione non era ancora alle viste, le persone contagiate sono state 2 milioni e mezzo e i defunti 88.845 su tutta la popolazione italiana di oltre 59 milioni di persone.
Anche tenendo conto che l’attuale variante virale sembra essere più aggressiva di quella originaria, appare difficile che tra soli 8 milioni di persone non vaccinate ben 3 milioni possano contagiarsi e 90.000 possano morire nel prossimo anno, tanto più se si ricorda che l’80% dei non vaccinati è costituito da persone con età inferiore ai 60 anni che a settembre mostravano una letalità molto bassa (pari a 0.24 defunti per 100 contagiati) e che godranno anch’esse della “protezione” fornita dalla vaccinazione della maggior parte della popolazione.
Ma, nell’ipotesi peggiore, le preoccupazioni potrebbero derivare non solo dagli otto milioni di persone non vaccinate, ma anche dai 46 milioni di persone immunizzate con un vaccino che purtroppo tende a perdere spontaneamente efficacia specialmente nelle persone anziane e gravate da più patologie o che potrebbe rivelarsi meno efficiente contro qualche nuova variante virale.
E infatti, i dati del Bollettino ufficiale del mese di settembre mostrano che persino i vaccinati con due dosi sono tutt’altro che esenti da contagi e mortalità: sui 37 milioni e mezzo di persone completamente vaccinate si registravano 40 mila contagi e 581 decessi (letalità 1.45 per cento) soprattutto a carico delle persone più anziane e fragili che meno bene rispondono all’immunizzazione.
Fortunatamente non vi sono segnali che lo scenario pandemico debba proprio precipitare, anche se una certa accelerazione delle infezioni nei prossimi mesi sia da mettere in conto.
Queste precisazioni non sono fine a sé stesse, perché i dati sanitari possono avere un impatto sia sulle decisioni concernenti la gestione della pandemia, sia sulla reattività sociale alla stessa.
Sono sotto gli occhi di tutti i contrasti tra i fautori della vaccinazione obbligatoria e i contrari all’obbligatorietà, che allignano non solo tra i No-vax, ma anche (e forse più) tra le persone già vaccinate. Molte persone sono favorevoli alla vaccinazione per salvaguardare la salute propria e quella altrui come provvedimento sanitario e principio etico, ma sono contrarie alla vaccinazione imposta per legge.
Non si vuole qui entrare nel merito dei presupposti costituzionali e giuridici che rendono problematica la vaccinazione obbligatoria, ma si deve ammettere che anche in campo clinico sono tuttora in via di formazione le conoscenze scientifiche che guidino le vaccinazioni.
Restano aperti una serie di quesiti: se sia sufficiente raggiungere una copertura vaccinale dell’85-90% della popolazione o se sia necessario il 100% o se non basti neppure questo a causa del possibile arrivo di varianti virali poco o per nulla sensibili agli attuali vaccini; quale sia la risposta immunitaria nella diverse categorie di persone, in particolare nei soggetti molto anziani, con compromissione immunologica o con molte patologie associate; quanto duri realmente l’immunità vaccinale nei soggetti “sani”, 6 mesi, 12 mesi o più, come alcuni studiosi sostengono grazie alla persistenza della memoria immunologica; quali siano gli effetti collaterali del vaccino a lungo termine quando più dosi dovessero essere ripetute; se, accanto alla vaccinazione, non sia il caso di mantenere più strettamente le regole sociali del distanziamento, della mascherina e dell’igiene; tra quanto tempo disporremo di farmaci attivi anti Covid, alcuni dei quali si profilano promettenti.
Questi ed altri fattori di incertezza non animano solo la discussione tra gli esperti, ma sono ormai di pubblico dominio e influenzano le reazioni sociali alla vaccinazione
Tutto ciò considerato, appare chiaro che anche la comunicazione della materia sanitaria abbia un ruolo rilevante.
Giovanni Oliviero Panzetta
Vicepresidente Associazione Salute e Sanità Trieste (ASST)