21 settembre -
Gentile Direttore,
c’è un grande fermento attorno alla medicina di famiglia da quanto ci è dato leggere sulla stampa (la proposta Sisac di rinnovo della convenzione, le ipotesi al vaglio delle regioni sul futuro statuto giuridico-contrattuale, la collocazione della medicina territoriale nella missione 6 del PNRR, ecc.) e dopo anni di immobilismo, di riforme annunciate e mai effettivamente attuate, di un lento e inesorabile “tirare a campare” oggi pare che si voglia effettivamente dare una svolta all’assetto della medicina generale.
Del resto il medico di famiglia per come lo abbiamo conosciuto e vissuto fino a questo momento ha subito un tale logoramento specie in questi anni di pandemia, da essere come un malato in agonia di cui si attende presto la morte. Siamo ormai giunti al famoso “redde rationem” cioè alla resa dei conti sia sul nostro passato che sul nostro futuro.
Stupisce che chi governa la professione non se ne stia rendendo conto ed immagini che basti continuare a dire qualche no e pochi sì per fare restare immutata nel tempo la medicina di famiglia.
Se prendiamo ad esempio le tre ipotesi di statuto giuridico in discussione (pieno passaggio alla dipendenza, passaggio parziale alla dipendenza, accreditamento quindi anche cooperative, ecc.) ci accorgiamo che queste ipotesi rappresentano in un modo o nell’altro la messa in discussione di ciò che siamo sempre stati storicamente.
Comunque vada, il medico di famiglia in un modo o nell’altro da domani non sarà più come prima.
Ma come è stato possibile arrivare fino a qui? Cosa ci ha portato a un punto di non ritorno? Troppo semplice sarebbe dire che se siamo a questo punto è perché le proposte sindacali sono state rifiutate, né si può dire che se queste proposte sono state rifiutate allora sono sbagliate. Ma una cosa a me appare evidente ed è che i nostri rappresentanti si sono spesso dimostrati inadeguati a reggere il confronto con le sfide del nostro tempo, che non hanno saputo cogliere la super complessità del momento e hanno continuato ad agire come se il mondo restasse immutato negli anni, accettando nel tempo solo dei correttivi spesso peggiorativi per la nostra professione ma mai accettando la sfida per una vera rifondazione della Medicina di famiglia.
Ricordo un documento Fimmg del 2007 (approvato all’unanimità dal consiglio nazionale FIMMG il 9 giugno 2007) e che significativamente si intitola “La ri-fondazione della Medicina Generale”.
A leggerlo oggi viene da piangere perché si capisce in pieno in quale razza di autoinganno la nostra categoria e i nostri rappresentanti sono caduti in questi anni: da una parte, si parlava apertamente di riforma del ruolo professionale dall’altra parte si specificava che rifondare la medicina generale non voleva dire ripensarla ma semplicemente rafforzarla giuridicamente come ruolo e funzione…. della serie tutto deve cambiare perché tutto resti come prima.
Del resto il prof. Cavicchi lo aveva ben scritto nel 2013 quando a proposito della convenzione per la medicina generale scriveva che “il rischio è che la Fimmg proponga come ha fatto in questi anni di cambiare tutto per non cambiare niente cioè concedendo qualche contentino, ma facendo bene attenzione a tenersi stretti tutti i vantaggi del rapporto convenzionato” (
QS 11 dicembre 2013) e profetizzava “che la sua storica intoccabilità prima o poi per tante ragioni intuibili {era} destinata a finire” .
Da allora sono passati 8 anni ma la strategia sindacale appare immutata: mutate sono però le condizioni esterne che non paiono più favorevoli.
Per anni la Fimmg ha sostenuto il rapporto convenzionale basandosi sull’eccessiva spesa che sarebbe gravata sulle casse dello Stato per attuare la dipendenza, ora che soldi ci sono vien meno uno dei suoi cavalli di battaglia e gli resta in difesa della convenzione il solo rapporto fiduciario a cui sono certa il cittadino rinuncerebbe a favore di una maggiore efficienza dei servizi (ammesso che il solo rapporto di dipendenza lo possa offrire); senza contare che a favore della dipendenza si stanno schierando sempre più medici stanchi di un lavoro che non consente pause.
Perché i nostri rappresentanti preferiscono ignorare i dati della realtà e continuano a proporre strategie anacronistiche?
Oggi non abbiamo chiaro che cosa diventeremo (teoricamente potremmo anche finire in una cooperativa gestita dal sindacato) lo sconcerto che non riesco a evitare è che tanto sulla morte del medico di famiglia che sul suo futuro, nessuno oggi sente il bisogno di promuovere una discussione straordinaria come se morire fosse una questione tutto sommato di ordinaria amministrazione e rinascere fosse un automatismo.
Che tristezza e che delusione. E quanta rabbia.
Ornella Mancin
Medico di medicina generale