13 settembre -
Gentile Direttore,
l'ipotesi del passaggio alla dipendenza degli attuali medici convenzionati con il SSS, anticipata dal suo giornale e ripresa in un
contributo dei ricercatori Garattini e Nobili dell'istituto Mario Negri di Milano ha innescato un vivace dibattito sulle sorti future della medicina territoriale.
Dalla sommaria definizione/diagnosi del "problema MG", proposta dai ricercatori del Mario Negri, si deduce che i colleghi non hanno il polso della situazione e in particolare hanno una scarsa percezione del disagio vissuto dalla categoria, in ragione di una insufficiente esperienza diretta del contesto e delle dinamiche della medicina territoriale, come traspare da alcune sorprendenti affermazioni/premesse per la soluzione del problema. Vediamole schematicamente.
1 - Il contributo dell’invecchiamento della popolazione e della crisi economica al travaglio della categoria è marginale rispetto ad una ultradecennale vacanza contrattuale e ad altre concause, in primo luogo il "ricatto" della revoca, mentre la presunta carenza oraria del MMG dovrebbe essere misurata sulle liste d’attesa e non per impressioni. Per una valutazione oggettiva basterebbe confrontare i tempi medi di attesa e il numero di accessi ambulatoriali sul territorio durante la pandemia rispetto alle liste attesa e al numero di prestazioni ospedaliere annullate, sospese o rinviate nell'ultimo anno e mezzo; senza contare che, per la legge ferrea dell’economia sanitaria, un aumento dell'offerta indurrebbe di per sè ulteriore domanda, non sempre appropriata. Dalle statistiche dell'istituto Health Search, ad esempio, emerge che ogni cittadino accede in media 11 volte l'anno allo studio del proprio medico, numero che cresce con il passare dell'età fino a raddoppiare tra gli ultra 85enni.
2 - Non passa giorno che i giornali non riferiscano lamentele e proteste dei residenti nei centri minori per la mancata sostituzione del medico andato in pensione: per questi cittadini pare proprio che “la distanza da percorrere per recarsi a questi centri (per definizione “meno capillari”)” non sia un falso problema - come invece ritengono i ricercatori milanesi - ma una vera ed iniqua barriera all’accessibilità, come afferma esplicitamente l'Agenas.
La proposta di "un sistema articolato di cure primarie che metta veramente (e non solo a parole) il cittadino al centro del sistema sanitario" costringerà gli stessi pazienti, magari anziani e soli, ad accedere ad una Casa della Comunità distante Km dalla propria abitazione e senza un professionista fiduciario al quale fare costente riferimento: si è mai preso in considerazione il parere degli assistiti a proposito del "falso problema" della “distanza da percorrere per recarsi nelle future Case della Comunità, per definizione “meno capillari”?
3 - Infine che dire di un'altra discutibile argomentazione/premessa: "i MMG godono sostanzialmente di quasi tutti i vantaggi della libera professione senza dover affrontare le sfide legate alla necessità di cercarsi clienti per mantenere il proprio fatturato". Evidentemente i colleghi non sospettano che il neo-MMG inizia la propria carriera aprendo uno studio con ZERO iscritti e che per per raggiungere un numero ragguardevole di scelte in certe zone sono necessari anni ed anni, senza considerare la continua sfida della revocabilità della scelta. Quali sarebbero infine i vantaggi della libera professione: mancanza di tutele per malattia, ferie, tredicesima, fine rapporto, sostituti introvabili?
Insomma, dall'analisi emerge una drammatica divaricazione tra la realtà fattuale e una rappresentazione astratta, costruita in modo ideologico e autoreferenziale dai ricercatori del Negri, che dettano le condizioni per una riforma epocale della MG, verosimilmente senza aver fatto una congrua esperienza di pratica sul campo. Se queste sono le premesse dell'analisi e gli ingredienti della ricetta c'è da dubitare che il risultato finale sia apprezzabile ed efficace.
La proposta dei ricercatori milanesi rientra nell’impostazione giuridico-formale della nostra PA, che immagina un cambiamento sociale complesso come conseguenza, necessaria e sufficiente, della modifica di uno status legale a seguito di un dispositivo normativo top-down, che dovrebbe ipso facto cambiare la realtà secondo i desiderata dei decisori pubblici. Come ammoniva il sociologo francese Michel Crozier "non si cambia la società per decreto!".
A questa impostazione si contrappongono i programmi basati sui meccanismi del cambiamento, su obiettivi di salute e programmi condivisi, sulle valutazioni delle performance e sulla documentazione dei risultati conseguiti nel contesto situato, ad esempio valutando i Percorsi Diagnostico Terapeutici ed Assistenziali con opportuni indicatori e standard di processo ed esito clinico-assistenziale, a prescindere dallo status giuridico. Alla promozione di queste pratiche dovrebbero dedicarsi prioritariamente i ricercatori nell'ambito dell'assistenza primaria.
P.S. La rottura dell'attuale equilibrio comporterà un periodo più o meno lungo di scompenso, che accompagna ogni cambiamento radicale di un assetto sanitario e sociale. A parte le generiche anticipazioni della stampa, manca un documento ufficiale che descriva in modo dettagliato condizioni di fattibilità, obiettivi, tempi, modi, costi, risorse e incentivi, tappe intermedie del percorso e possibili criticità del passaggio alla dipendenza, problemi di cui i ricercatori del Negri sembrano poco interessati dando per scontati i vantaggi.
Si possono però prefigurare, sulla base della conoscenza e dell'esperienza sul campo, alcune conseguenze pratiche e possibili effetti indesiderati accanto a quelli attesi del passaggio alla dipendenza, così schematizzabili:
• nelle CdC con le dimensioni previste da Pnrr, non potranno trovare sistemazione nemmeno al termine del quinquennio tutti i medici delle cure primarie attualmente in attività, figuriamoci in caso di passaggio immediato ed ope legis alla dipendenza
• quale sarà la sorte delle medicine di gruppo attive e dei medici single che hanno investito in strutture immobiliari ed in attrezzature di studio
• che fine faranno i medici che garantiscono la capillarità e la prossimità dell’assistenza nei piccoli comuni sparsi in vaste aree privi di CdC.
• che ne sarà di tutti i collabori di studio, segretariali ed infermieristici, attualmente assunti che rischiano di ingrossare le fila dei disoccupati
• quale sarà la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico ENPAM, che dovrà garantire l’erogazione delle pensioni dell’ondata di medici che decideranno nel prossimi anni di abbandonare la professione, magari anticipatamente
• chi garantirà l’assistenza dei cittadini residenti in aree rurali o nelle zone disagiate della montagna, lontane dalle CdC, già ora sguarnite di assistenza di base per il mancato ricambio generazionale.
Dott. Giuseppe Belleri
Medico di medicina generale, Brescia