3 giugno -
Gentile direttore,
solo un caso di reinfenzione ogni 100000 residenti con la possibilità di reinfettarsi allo 0.07%, meglio del vaccino. Questi i risultati pubblicati su JAMA il 28 maggio 2021 frutto del lavoro del nostro gruppo che dimostra che dopo un anno su oltre 122.007 tamponi e 15.960 positivi in una coorte ben studiata, al punto che è stato pubblicato su una delle più prestigiose riviste Internazionali, solo cinque pazienti si sono reinfettati. E in ogni caso nessuno di loro ha sviluppato una malattia clinicamente importante.
L'intervallo medio tra l'infezione primaria e la reinfezione è stato di oltre 230 giorni. Delle 13.496 persone che inizialmente non erano state infettate da SARS-CoV-2, 528 (3,9%, IC 95%: 3,5-4,2) hanno successivamente sviluppato un'infezione primaria. L’ incidenza per 100.000 residenti è stata di 1,0 (95% CI: 0,5-1,5) per le reinfezioni rispetto a 15,1 (95% CI: 14,5-15,7) con le nuove infezioni, mentre il rapporto del tasso di incidenza aggiustato per età, sesso, etnia e l'area sanitaria era 0,07 (IC 95%: 0,06-0,08). Analizzando l'incidenza cumulativa durante il follow-up abbiamo confermato che le due coorti erano significativamente differenti (hazard ratio 0,064, 95% CI: 0,05-0,08; Log-rank test P <0,0001).
Tuttavia, questi nostri risultati confermano che le reinfezioni sono eventi davvero rari e che i pazienti guariti da COVID-19 potrebbero avere un minor rischio di reinfezione. In conclusione il nostro studio suggerisce che la naturale immunità naturale a SARS-CoV-2 potrebbe conferire un effetto protettivo per almeno un anno, che è simile a quello che risulta vicino alla protezione riportata nei recenti studi sui vaccini.
In una mia precedente intervista del dicembre scorso AdnKronos, sostenevo che i pazienti che erano stati affetti da covid non dovevano essere vaccinati immediatamente in quanto la reinfezione è molto rara. I dati di medicina basati sull’evidenza confermano quanto detto.
Questi dati, che vedono tra i firmatari della research letter, anche il presidente dell’AMCLI (Associazione dei Microbiologi Italiani), Pier Angelo Clerici, sottolineano come l’immunità acquisita durante la infezione protegge per più di un anno, ed il rischio di ammalarsi di nuovo o di morire è davvero simile alla popolazione normale.
La nostra ricerca ha meritato un editoriale a commento del prof. Mitchell H. Katz (editor di JAMA, New York Medical School) che sostiene: “Quanta protezione contro future infezioni fornisce una precedente infezione da SARS-CoV-2? Questa è una domanda importante per consigliare i singoli pazienti, nonché per prevedere future epidemie di SARS-CoV-2.
In questo numero di JAMA Internal Medicine, il nostro gruppo ha utilizzato i risultati dei test diagnostici di reazione a catena della trascrittasi inversa-polimerasi in Lombardia per confrontare l'incidenza dell'infezione da SARS-CoV-2 tra persone con precedente infezione da SARS-CoV-2 con persone risultate negative al virus. Le differenze sono drammatiche. La incidenza per 100000 residenti era 1,0 (95%, IC 0,5-1,5) per le persone con una storia di infezione, 15,1 (95% IC, 14,5-15,7) per le persone senza una storia di infezione. Questi risultati completano quelli di Harvey e colleghi degli Stati Uniti, che hanno scoperto che i pazienti con un risultato diagnostico positivo del test di amplificazione dell'acido nucleico per gli anticorpi contro SARS-CoV-2 avevano molte meno probabilità di sviluppare l'infezione da SARS-CoV-2 a 90 giorni rispetto alle persone senza anticorpi”.
Prima di presumere che le persone con infezioni documentate da SARS-CoV-2, sia mediante test diagnostici della reazione a catena della polimerasi o presenza di anticorpi, siano protette contro future infezioni, ci sono 2 avvertimenti. Primo, non sappiamo quanto dura l'immunità naturale. In secondo luogo, non sappiamo se l'immunità naturale al virus wild-type sia ugualmente protettiva per le varianti SARS-CoV-2 (virus con variazioni genetiche
Nel corso di questa pandemia ci siamo trovati continuamente di fronte a situazioni nuove, che non avevamo mai sperimentato. Fra queste, la particolare natura del virus Sars-Covid-19 e le metodologie diagnostiche per evidenziarlo.
Sarebbe quindi di grande utilità eseguire il dosaggio degli anticorpi prima di fare il vaccino e, magari, non somministrarlo a chi già li ha. In questo modo si risparmierebbero moltissime dosi di vaccino ed anche potenziali danni a chi, con già gli anticorpi, dopo il vaccino potrebbe sviluppare una reazione.
Pertanto per evitare la comparsa di reazioni allergiche e per la formazione di immunocomplessi con malattie correlate vasculite, nefrite, ARDS etc.. sarebbe utile dosare gli anticorpi prima di vaccinarsi. Con grande tristezza un giudice di Siracusa, su parere di esperti Internazionali da certezza alla nostra ipotesi, il giovane militare morto dopo il vaccino è morto perche’ aveva fatto il covid senza accorgersene, aveva tanti anticorpi ed ha avuto una reazione ARDS (adult respiratory distress syndrome) su base immunitaria, che l’hanno portato a morte, nessuna trombosi e non era colpa del vaccino.
La prudenza che abbiamo ben usato per decidere se aprire o chiudere attivita’ commerciali, doveva essere estesa ai vaccini, si poteva aspettare a vaccinare i pazienti che hanno avuto il covid, si puo’ fare la sierologia negli esposti, si sarebbero risparmiati dosi ed effetti collaterali.
Antonino Mazzone
Direttore Dipartimento di Area Medica ASST Ovest Milanese
Vice Presidente FISM