19 maggio -
Gentile Direttore,
i temi trattati nel confronto sull’attualità delle evidenze
aperto da Quotidiano Sanità hanno trovato eco anche su Nature, che ha dedicato al tema dell'evidenza in medicina
una riflessione di grande spessore. Covid-19 sembra aver messo in crisi la medicina delle prove e obbligato medici, infermieri, decisori sanitari a fare scelte in condizioni di incertezza. Gli studi clinici avviati tempestivamente spesso mancavano di gruppi di controllo o arruolavano un numero troppo piccolo di pazienti per trarre conclusioni definitive. In realtà, la crisi pandemica ha messo in luce molto di quello che non funziona nella produzione e nell'uso di prove basate sulla ricerca. Ma è onesto riconoscere anche che l’emergenza sanitaria sta rendendo ogni giorno più evidente come sia essenziale prendere decisioni basate sulle prove e quanto sia importante che queste siano il frutto di una ricerca rigorosa e non condizionata da conflitti di interesse.
Al di là di qualche apparentemente insuperabile resistenza, i risultati degli studi di maggiori dimensioni stanno informando le raccomandazioni istituzionali e, più concretamente, la pratica clinica. Lo studio RECOVERY promosso dalle istituzioni sanitarie e di ricerca del Regno Unito e lo studio SOLIDARITY coordinato dall’Organizzazione mondiale della sanità hanno dimostrato la possibilità di condurre grandi sperimentazioni cliniche in situazioni di emergenza. Parallelamente, le revisioni sistematiche "living" curate da centri di ricerca –
in Italia dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario Regionale del Lazio ASL Roma 1 – sono costantemente aggiornate man mano che si rendono disponibili nuovi risultati e sempre aperte alla consultazione dei professionisti sanitari.
Insomma, l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze nel prendere decisioni sulla cura della persona malata non sembra, dopo tutto, essere passato di moda.
Al contrario, se la fragilità metodologica degli studi condotti in questi primi quindici mesi di pandemia ha reso meno utili le revisioni sistematiche basate su dati inconcludenti, clinici e ricercatori hanno messo in campo intelligenza e competenza per elaborare delle alternative. Pensiamo per esempio alla
Covid-19 Recommendations Map curata dalla McMaster University in Canada e recentemente presentata in Italia in una talk promossa dalla Biblioteca Alessandro Liberati del Deplazio. Come ha detto Jeremy Grimshaw, l’affermarsi della medicina delle prove è stata “una rivoluzione invisibile e gentile" e questo stile è stato testimoniato nei mesi passati dall’atteggiamento di chi si richiama ai principi della Ebm.
Tuttavia, continuiamo ad avere esempi di "medicina basata sulla pubblicità": può essere ammessa in televisione ma difficilmente trova spazio nelle corsie di ospedale. Soprattutto nei reparti Covid-19. Perché è troppo costosa, sia in termini di vite umane perdute, sia di risorse economiche male utilizzate. La ricerca inutile perché basata su interrogativi poco plausibili o ridondanti si traduce in sprechi intollerabili. Servono protocolli di studio rigorosi, progetti collaborativi, confronti diretti tra strategie terapeutiche valide. Servono investimenti sulle infrastrutture per gli studi clinici, perché nei grandi istituti di assistenza le capacità di governo della ricerca sono tanto importanti quanto le competenze cliniche.
È essenziale che la riflessione avvenuta negli ultimi anni tra i ricercatori che si richiamano alla Ebm – che ha portato ad una ridefinizione della “storica” piramide delle prove, la gerarchia delle quali è oggi prioritariamente informata dalla qualità degli studi e non dal tipo di disegno adottato – diventi patrimonio condiviso della cultura dei sistemi sanitari, anche attraverso la garanzia di accesso alle risorse documentali attraverso portali aperti di cui, in Italia, solo poche Regioni si sono dotate.
Uno dei clinici “protagonisti” dell’articolo uscito su Nature dice di essere felice nel vedere come il desametasone possa “salvare letteralmente centinaia di migliaia di vite in tutto il mondo." E la cosa ancora più “fantastica” è che queste vite possano essere protette contemporaneamente ovunque, proprio grazie alle prove che tanti clinici hanno contribuito a raccogliere, insieme, in tante nazioni diverse.
Antonio Addis e Rebecca De Fiore
Dipartimento di Epidemiologia del SS della Regione Lazio ASL Roma 1 e Progetto Forward, Il Pensiero Scientifico Editore