3 maggio -
Gentile direttore,
le scrivo per condividere con lei, i lettori e le lettrici, l’esperienza di risposta socio-sanitaria di prossimità portata avanti in Italia in contrasto alla pandemia da COVID-19 in contesti caratterizzati da forte marginalità sociale. Sono un medico. Lavoro con INTERSOS, un’organizzazione umanitaria presente in 19 Paesi nel mondo, che dal 2011 è attiva anche in Italia con diversi progetti volti alla tutela e alla realizzazione del diritto alla salute delle persone che vivono in condizioni di forte esclusione sociale, perseguendo l’obiettivo della piena inclusione delle persone nel servizio socio-sanitario pubblico.
Con la rapida diffusione della COVID-19 in Italia, non sono state previste indicazioni a livello nazionale sulla costruzione di interventi rivolti alla popolazione immigrata e alle persone, italiane e non, che vivono in condizioni di marginalità sociale. Sulla base dei nostri anni di esperienza sul campo, sapevamo che questo era un rischio, perché venivano escluse proprio quelle fasce di popolazione che, per via delle condizioni di deprivazione e delle minori risorse a cui hanno accesso, sono più esposte e più colpite dalla diffusione della COVID-19, e al contempo più difficili da raggiungere dal sistema sanitario.
Per rispondere a questa criticità, in collaborazione con le istituzioni locali e con i Servizi Sanitari Regionali, INTERSOS ha rapidamente riconvertito in chiave di contrasto alla COVID-19 i progetti in corso: a fine febbraio nella provincia di Foggia, nell’area conosciuta come Capitanata, potenziando l’attività di prevenzione e monitoraggio negli insediamenti informali dove vivono i braccianti agricoli; ad inizio marzo nella città di Roma, potenziando due team mobili sanitari, già in parte attivi in partenariato con UNICEF, effettuando visite di valutazione del rischio COVID-19 tra le popolazioni senza fissa dimora, negli insediamenti informali della città e nelle occupazioni abitative. Con gli stessi obiettivi abbiamo anche avviato un progetto in Calabria Ionica (province di Crotone e Cosenza) e due progetti in Sicilia (province di Siracusa e Trapani) negli insediamenti informali rurali abitati in prevalenza da lavoratori stagionali agricoli stranieri.
Il perno degli interventi in queste quattro regioni sono state l’educazione sanitaria e la promozione della salute all’interno delle comunità. I team di INTERSOS hanno svolto cicli di educazione sanitaria sulla COVID-19 e sul cambiamento delle normative con il supporto di materiale informativo multilingue. Queste attività ci hanno di fatto permesso di coinvolgere progressivamente le persone, radicando all’interno delle comunità il lavoro di prevenzione, amplificando la conoscenza del fenomeno pandemico e la percezione del rischio e rafforzando la relazione collaborativa non solo con gli operatori e le operatrici di INTERSOS, ma soprattutto con le Istituzioni sanitarie locali. In alcuni contesti, infatti, come nelle occupazioni abitative a Roma, è stato possibile facilitare un dialogo diretto tra le comunità e le Autorità sanitarie sul territorio, dialogo che unito all’educazione sanitaria e agli interventi costanti di screening di valutazione del rischio da COVID-19, ha permesso di tenere sotto controllo i contagi in contesti che sarebbero facilmente potuti diventare importanti cluster e di gestire al meglio i casi positivi, spesso con assistenza domiciliare, sperimentando anche pratiche alternative al completo isolamento delle intere strutture abitative che si era altrove realizzato in insediamenti informali ed occupazioni abitative (ad esempio a Roma, Mondragone, nella Calabria tirrenica).
In un’ottica di opportunità, la pandemia ci ha permesso di accelerare la sperimentazione di approcci organizzativi integrati e territoriali che si sono dimostrati particolarmente efficaci e necessari sulle popolazioni più difficili da raggiungere e che sarebbero auspicabili per la cura e la salute della popolazione in generale.
Ad un anno dall’avvio delle attività di contrasto alla COVID-19, possiamo testimoniare come gli approcci di prossimità e di partecipazione comunitaria permettano, a partire dalle risorse disponibili nelle comunità stesse, di colmare lacune istituzionali che tutt’oggi spiccano come dei nodi irrisolti.
Per questo INTERSOS ha deciso di raccogliere il proprio intervento in un report dal titolo “
La pandemia diseguale”, auspicando che questo esperimento possa essere un primo, piccolo mattone per la ricostruzione della relazione fra le marginalità sociali ed un Sistema Sanitario, che, nel rispetto della Costituzione italiana, non può lasciare indietro nessuno. Perché la pandemia ci ha duramente ribadito l’evidenza cruciale che, per dirla con le parole di Christiaan Barnard, una catena è forte quanto il suo anello più debole. La tutela della salute dei migranti e delle popolazioni più vulnerabili è un atto imprescindibile di salute pubblica, che deve essere garantito dalle politiche socio-sanitarie, perché il diritto alla salute è un diritto fondamentale e inalienabile delle persone, ma anche e soprattutto perché tutelare la salute dei più fragili significa difendere quella dell’intera comunità.
Alessandro Verona
Medico coordinatore dei progetti in Italia di Intersos