11 gennaio -
Gentile Direttore,
l’epidemia Covid nel bene e nel male ha cambiato moltissime cose. Ha però messo il faro su due aspetti rilevanti del nostro agire e pensare sociale e politico: l’idea di sanità pubblica e quella di azienda sanitaria. L’epidemia ha fatto capire quanto sia stata lungimirante costruire un sistema sanitario nazionale e regionale.
Avere una rete di servizi che è in grado di occuparsi di tutti indistintamente assistendo il cittadino in qualsiasi contesto ( a casa, in ambulanza, in ospedale, in terapia intensiva) è stato essenziale. Così come è stato determinante l’esistenza della prevenzione che si è occupata di tracciamenti, tamponi e vaccinazioni. Nel picco dell’epidemia a marzo il servizio sanitario ha perfino trasferito a proprie spese pazienti in terapia intensiva in Germania.
È stato così ribadito sul campo il concetto di salute come “diritto fondamentale” sottolineando il fatto che lo è sia per “ l’individuo” che per “la collettività” così come scritto nella Costituzione. Sanitá pubblica, si è visto, significa occuparsi della salute dell’intera popolazione e non solo dei “clienti” che consumano le prestazioni sanitarie dei servizi. In questo senso si è resa evidente la strumentalità della discussione sul più privato e meno pubblico. Il privato ha un grande valore se contribuisce agli obiettivi di salute collettiva, non se si preoccupa di erodere quote di “mercato” al pubblico.
Praticamente tutti i dibattiti sui problemi e le carenze rilevati durante l’epidemia hanno portato alla conclusione che il pubblico deve fare ed essere finanziato di più, non di meno.
Il secondo tema, sottolineato anche nel recente Rapporto Oasi dell’Università Bocconi, è che si è ridefinito “sul campo” il senso di esistere delle aziende sanitarie. Per molti anni è stato molto sviluppato l’aspetto di essere “azienda” rispetto all’aggettivo “sanitaria” incoraggiando efficienza, produttività, gestione economica. In questi mesi si è capito invece, e per fortuna, che una azienda sanitaria funziona bene se produce salute e salva vite umane. E più vite salva migliore è l’azienda.
Si è visto che le aziende che funzionano sono quelle che hanno un’intelligenza collettiva, ovvero usano il contributo di conoscenze e di soluzioni che arrivano dall’insieme dei professionisti. “L’uomo solo al comando” non solo non funziona ma rischia di produrre danni. Si è capito che si possono fare velocemente cose impensabili fini a pochi mesi fa: riorganizzare ospedali, lavorare in maniera multidisciplinare, saltare la burocrazia, fare telemedicina. Credo che dovremmo fare tesoro di questi insegnamenti anche per progettare il dopo.
Chi lavora in sanità ha visto, come scritto da un medico sul
New England Journal of Medicine in marzo “più cambiamenti nelle due ultime settimane che nei trent’anni precedenti”. Quindi si può fare. Adesso la palla passa alla politica che spero abbia capito che sulla sanità non si fa propaganda, che la sanità è una materia che richiede grandi competenze e che queste competenze ci sono e vanno valorizzate e non represse. Servono persone competenti non obbedienti.
Ma soprattutto è importante che si sia capito che la sanità pubblica, quella che si occupa della salute dei cittadini è un bene “fondamentale” come scritto nella costituzione.
Giorgio Simon
Già direttore generale Azienda sanitaria Friuli Occidentale