3 dicembre -
Gentile Direttore,
la pandemia COVID-19 ha fatto emergere una interrelazione stretta tra la salute delle persone, la sanità animale e la protezione dell’ambiente. Questo scenario deve richiamare i Governi e le istituzioni sanitarie ad un impegno preciso ed inderogabile: declinare con forza e consapevolezza le azioni di prevenzione e controllo delle infezioni secondo una visione olistica-globale che attiene il concetto One Health.
I piani pandemici devono prevedere opportuni e sempre aggiornati programmi di sorveglianza integrata finalizzati al rilevamento di segnali
spill-over in contesti eco-ambientali con stretta interfaccia animale-umana e con potenziale epidemico o pandemico, oltre che assicurare una più ampia mobilizzazione delle competenze veterinarie (epidemiologi, virologi) all’interno delle task force nazionali.
Detti piani devono inoltre far proprio un modello simile a quello militare, in cui le operazioni, comprensive delle esercitazioni annuali di simulazione di epidemie, vengono realizzate già in tempi di pace, sostenute da strumenti e dalla definizione di ruoli specifici all’interno di un piano strategico che consenta di essere sapere quando e come rispondere, ed essere più preparati a contrastare le future pandemie.
In sostanza si tratta di un guerra tra noi ed il virus! Per tradurre ciò su scala nazionale è imperativo che la politica assicuri capitoli di finanziamenti ad hoc per la prevenzione e gestione delle ‘emergenze pandemiche,’ sotto la guida delle istituzioni sanitarie.
I veterinari e le pandemie ed epidemie. Per garantire l’efficacia dei piani pandemici e la loro coerenza con l’approccio One Health, occorre abbattere gli steccati tra le professioni e sviluppare sinergie ed integrazioni metodologiche tra la medicina veterinaria e quello umana, al netto del contributo altrettanto essenziale di altre figure professionali come sociologi, ingegneri, antropologi, esperti ambientali, economisti.
La professione veterinaria parte già con un forte accento
One Health in virtù delle esperienze fatte sul terreno della prevenzione e controllo delle infezioni negli animali che si trasmettono alle persone (es. zoonosi come
Salmonella e
Campylobacter), gestione delle passate epidemie animali e costruzione di vaccini. Questo bagaglio professionale va sostenuto perché è funzionale alla gestione della pandemia COVID-19 e di quelle future.
I
veterinari ed i vaccini. La narrativa sui primi vaccini nella storia dell’umanità si intrecciano con gli animali e veterinari. Oggi, in un’ottica
One Health si colloca la creazione di vaccini animali contro alcune zoonosi. Mi piace citare la ricerca sui virus del papilloma nei conigli e bovini che ha contribuito allo sviluppo del vaccino contro il
papillomavirus umano somministrato alle ragazze per prevenire il cancro cervicale.
Riguardo invece ai coronavirus, la veterinaria da decenni studiano le relative infezioni animali (cani, gatti ed animali da allevamento) ed ha messo a punto vaccini efficaci per prevenirle.
I veterinari sanno che i coronavirus isolati per lo sviluppo di vaccini contro alcune infezioni animali sono rimasti in gran parte invariati per decenni, il che suggerisce un basso tasso di mutazione rispetto ad altri virus come l'influenza, che al contrario richiedono vaccini stagionali contro gli ultimi ceppi circolanti.
Forse ciò può costituire una lezione preziosa per lo studio dei vaccini contro il coronavirus? In sostanza le tecnologie esistenti ed il relativo know-how non necessitano di essere inventati dal nulla.
E questo ci conduce ad un esempio eccellente dell'approccio
One Health per la costruzione di vaccini, che consente alle diverse discipline di ricerca di collaborare per fornire soluzioni che giovino contemporaneamente agli animali, alle persone e agli ecosistemi.
Ed è il nuovo vaccino contro la Febbre della Valle del Rift (FVR), denominato
ChAdOx1, sviluppato dal
Jenner Institute presso l’Università di Oxford e la cui l’efficacia protettiva è stata confermata dai ricercatori del
Pirbright Institute nel Regno Unito. La FVR è un’infezione che colpisce i ruminanti e si trasmette all’uomo attraverso il contatto con animali infetti e relativi tessuti contaminati, oltre che con la puntura di zanzare infette.
L’infezione umana può condurre a cecità, encefalite e febbre emorragica, ed ad oggi non esistono vaccini umani. La tecnologia ChAdOx1 si basa sull’utilizzo di un vettore costituito da un adenovirus della scimmia non replicante integrato con i geni che codificano alcune glicoproteine dell’
envelope virale responsabili della risposta immunitaria.
Oltre che per la FVR, il vaccino vettoriale ChAdOx1 viene attualmente sperimentato per le infezioni virali umane
MERS,
Chikungunya e
Nipha che riconoscono tutte un serbatoio animale.
La stessa tecnologia ChAdOx1 è stata impiegata sempre dal
Jenner Institute in collaborazione con la casa farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca per lo sviluppo del vaccino umano vettoriale
ChAdOx1 nCov-19contenente il materiale genetico della proteina Spike del virus SARS-CoV-2, attualmente in attesa di essere autorizzato dall’
European Medicines Agency (EMA).
Maurizio Ferri
Coordinatore scientifico Società Italiana di Medicina veterinaria preventiva (SIMeVeP)