24 novembre -
Gentile Direttore,
la medicina di famiglia vive un momento di forti contraddizioni che generano insoddisfazione e smarrimento in chi ogni giorno lavora in trincea, chiamato a combattere in prima linea questa pandemia senza avere ben chiaro dove lo stanno portando le direttive e le esternazioni di quanti dovrebbero tutelarlo.
Il disorientamento e la confusione è palpabile soprattutto se si “frequentano” gruppi facebook come quello dal classico nome “Medici di famiglia” che conta più di 10.000 iscritti di tutta Italia, dove si condivide la fatica quotidiana e spesso pure il malcontento per un carico di lavoro che aumenta di giorno in giorno.
E in effetti ai medici di famiglia molto è stato chiesto in questo anno dall’inizio della pandemia di Covid.
Si è partiti con la disponibilità a rispondere al telefono ai propri assistiti per l’intera giornata, dato il forte impatto anche emotivo che la pandemia stava provocando; poi questa estate ci è stato chiesto di fare i test sierologici a tutti gli insegnanti… e poi le richieste sono proseguite e hanno portato all’accordo principe che ha reso obbligatoria l’esecuzione dei tamponi rapidi per tutti i medici di famiglia, pena l’esclusione o la revoca dalla convenzione.
Il non celato malcontento di molti di noi medici di famiglia e i distinguo da parte dei sindacati minori hanno fatto partire una indicibile campagna di aggressione mediatica nei nostri confronti per la quale siamo stati additati come “fannulloni”, medici “da stanare” i veri responsabili della pressione su Pronto Soccorso e Ospedali perché incapaci di curare a casa i malati di Covid.
A questo si aggiunge la
recente sentenza del Tar del Lazio che, accogliendo il ricorso di un piccolo sindacato (lo SMI) contro l’obbligo per i medici di famiglia di andare a visitare a casa i malati di Covid, ha sentenziato che “i medici di famiglia risultano investiti di una funzione di assistenza domiciliare del tutto impropria... che dovrebbe spettare unicamente alle USCA istituite dal legislatore nazionale proprio e esattamente per questo scopo”.
La sentenza del Tar del Lazio ha provocato la risposta immediata del Sindacato maggioritario (Fimmg) che si è inalberato e per bocca del
suo vice Bartoletti ha parlato di attacco alla “autonomia” del medico di famiglia e su questo giornale il
dr. Panti, dall’alto del suo osservatorio di pensionato da molti anni, ha rincarato chiedendosi “Altrimenti a cosa servono i medici di famiglia?”.
La sentenza del Tar è stata occasione di strali televisivi contro i medici di famiglia. Alcuni talk show hanno coinvolto il viceministro della salute e medico, dottor Sileri che in una trasmissione di punta ha accusato i medici di famiglia che hanno fatto il ricorso di “aver scritto una pagina triste” ed il sottosegretario alla salute on. Zampa ha affermato “Se ci fosse una presa in carico più attiva della medicina del territorio, ci sarebbe meno caos negli ospedali”.
Ciliegina sulla torta è stato infine l’intervento del segretario nazionale del sindacato maggioritario Scotti che si è vantato di aver risposto al telefono a una sua paziente alle dieci di sera …. e al suo interlocutore che chiosava “se tutti i suoi colleghi rispondessero alle 10 di notte quanti codici verdi in meno ci sarebbero”, ha beatamente risposto che “chi non lo fa è bene che vada via dal fare il medico di famiglia”.
Di fronte a queste affermazioni, molti di noi medici di famiglia siamo sconcertati e ci chiediamo quale sia il ruolo del sindacato oggi: rappresentare, tutelare e difendere i diritti dei propri iscritti o mandarli in trincea senza adeguate protezioni e munizioni? Ed il rafforzamento del territorio tanto sbandierato da tutti si traduce sempre e solo nel caricare di compiti i “soliti noti”?.
Può essere che chi ci rappresenta abbia elaborato delle strategie che la base non sa cogliere ma siamo dell’idea che queste andrebbero almeno condivise e rese palesi.
Ricordo che ad Aprile 2020 la Fimmg ha presentato un dossier al ministro Speranza dove chiariva che per il sindacato “nel percorso gestionale del trattamento dei pazienti domiciliari sarà̀ strategico e rilevante sviluppare il ruolo delle USCA (Unità Speciali di Continuità̀ Assistenziale), o di altre Unità Professionali della medicina generale, ove territorialmente previste, fortemente integrate con il MMG sul versante della visita domiciliare …”
Oggi lo stesso sindacato si scaglia contro la sentenza del Tar del Lazio che ribadisce proprio quanto previsto: le visite domiciliari ai pazienti positivi al covid spettano alle USCA che sono state istituite e preposte a questo compito specifico.
Certo che un medico di famiglia non abbandonerà mai i propri pazienti, anche quelli COVID o sospetti tale e continuerà a sentirli telefonicamente direttamente o indirettamente attraverso i famigliari. Voglio qui sottolineare che noi medici di base non abbiamo mai smesso di visitare i nostri pazienti NON covid nei nostri ambulatori e a domicilio. Ogni giorno ci avvalliamo dei colleghi delle USCA (dotati di DPI ed esperti nelle manovre di vestizione e svestizione), con cui siamo costantemente in contatto, per la visita domiciliare dei pazienti Covid.
Come è pensabile che un medico di famiglia che deve svolgere la normale attività ambulatoriale, anche aumentata dalla riduzione degli accessi specialistici negli ospedali, che deve dare disponibilità per i tamponi, fare le certificazioni dei malati covid e contatti stretti, monitorare a distanza i pazienti positivi, trovi anche solo il tempo materiale per visitare a domicilio i malati di covid tenuto conto che solo l’operazione di vestizione e svestimento porta via molto tempo? Senza contare il rischio contagio. Ad oggi sono ancora i medici di famiglia a dare il maggior tributo in morti e malati di covid.
Quale strategia sottende questa posizione? E che tutela ha un lavoratore medico di famiglia la cui attività fa capo ad un contratto nazionale che prevede la guardia medica notturna dalle ore 20 alle ore 8.00 e nei giorni festivi e che viene denigrato dal Segretario del suo Sindacato perché non risponde nelle legittime ore di riposo?
E’ accettabile che i medici di famiglia diventino i capri espiatori di una politica che da anni ha de-finanziato il sistema sanitario nazionale, tagliato posti letto senza investire sul territorio?
Nel giro di pochi anni migliaia di medici di famiglia andranno in pensione, già adesso molti territori sono in sofferenza per mancanza di medici.
Come è pensabile che si risolvano i problemi cronici della sanità territoriale caricando tutto sulle spalle dei pochi che restano?
Appare evidente che manca una visione complessiva della organizzazione sanitaria che vada al di là della contingente emergenza e che sappia mettere insieme territorio e ospedale senza contrapposizioni ma come parte di un unico progetto per la tutela della salute dei cittadini.
Occorre saper programmare e realizzare una vera integrazione ospedale e territorio di cui molto si parla a livello Ministeriale e all’interno delle varie Regioni ma che oggi appare ancora molto lontana dalla realtà.
Manca una idea di riforma o peggio ancora manca il desiderio di mettere mano a quei cambiamenti necessari per chi voglia rinnovarsi.
Ricordo bene quando nel 2016 la Fimmg elesse il suo nuovo segretario ed esecutivo e l’immagine evocata dell’autobus: un autobus che era pronto a partire con “gomme nuove, telaio nuovo, motore nuovo”.
Dopo quattro anni dove ci ha portato questo autobus?
Temo che la corsa stia diventando assai pericolosa per i medici di famiglia, per questo io ho deciso di scendere.
Ornella Mancin
Medico di famiglia