18 novembre -
Gentile Direttore,
come puntualmente riferito qui su QS c’è un grosso dibattito sui cosiddetti 21 indicatori.
Le Regioni chiedono di ridurli e
l’Istituto Superiore di Sanità li difende. Io credo che dovrebbero essere più chiari e più trasparenti. In sostanza che siano calcolati in tutte le Regioni allo stesso modo e che siano resi disponibili in ogni Regione alla consultazione da parte di tutti gli stakeholder. Limito le mie osservazioni ad alcuni indicatori che compaiono anche negli aggiornamenti quotidiani del Ministero della Sanità e dell’Istituto Superiore di Sanità (questo è l’
ultimo di ieri) e poi ripresi sistematicamente dai media.
Il primo dato è la percentuale di tamponi positivi. Credo sia arrivato il momento di calcolarlo oltre che sul totale dei tamponi effettuati (in cui c’è dentro di tutto) anche separatamente per quelli effettuati a scopo diagnostico (soggetti sintomatici), quelli effettuati per scopi di tracciamento (tamponi sui contatti), quelli effettuati nel percorso “di guarigione” dei già positivi e quelli effettuati per screening. Come credo sia arrivato il momento di fare chiarezza sulla modalità di gestione dei tamponi effettuati presso i laboratori privati che in alcune realtà danno un contributo imponente al totale dei tamponi. Ritengo a questo proposito che almeno a livello regionale si debba monitorare il contributo dato dai laboratori privati alla attività diagnostica, di screening e di monitoraggio attraverso i tamponi.
Sui dati sui tamponi pesa una importante variabilità nei comportamenti regionali che viene resa clamorosamente evidente dalla tabella quotidiana Ministero/ISS in cui a seconda delle diverse Regioni il peso dei tamponi attribuiti alla colonna screening (pessimo termine che andrebbe sostituito da “monitoraggio e screening”) ha un peso diversissimo. Come periodicamente riportato in una
Tabella del rapporto ALTEMS (Tabella 3.7) la percentuale di tamponi positivi generata dalla magmatica attività di screening va da un massimo dell’84% ad un minimo dello 0-1%. E siccome l’indice Rt verrebbe calcolato sui soli sintomatici temo che il suo calcolo venga molto influenzato da questa variabilità così abnorme che mi chiedo come possa essere accettata. Come minimo per ogni Regione andrebbe chiarito il numero di soggetti che ha generato quell’indice così magari si capisce meglio se la cattiva gestione di quel dato sia ininfluente o meno sul calcolo di quell’indice ritenuto, immagino a ragione, così strategico.
Un altro dato apparentemente hard e quindi poco soggetto a variabilità interpretativa è quello relativo al tasso di occupazione dei posti letto di area critica e di area medica da parte dei pazienti Covid. Questo dato è quotidianamente aggiornato nel
sito dell’AGENAS. Qui troviamo la tabella sui posti letto di area intensiva e di area medica di ciascuna Regione. Quelli di area critica sono distinti tra “posti letto in TI” e “posti letto in TI attivabili”. Il calcolo viene fatto su quelli “normali” di TI.
A che serve e in che modo influisce allora il dato sui posti letto “attivabili” e, prima ancora, come viene definito un posto letto di questo tipo? Ma il problema maggiore è coi posti letto di area medica che presentano numeri che fanno pensare a criteri molto diversi di calcolo del loro numero da parte delle diverse Regioni. Prendiamo le Marche. Per un milione e mezzo di abitanti sono disponibili in quest’area 1016 posti letto contro i 1277 posti letto di Friuli Venezia Giulia (1,2 milioni di abitanti) e i 1895 della Liguria (1,5 milioni di abitanti come le Marche). Siccome il DM 70 è uguale per tutti c’è una evidentissima anomalia nei criteri di calcolo del denominatore dell’indicatore sull’indice di “saturazione” dei posti letto di area non critica. Lo stesso problema ci potrebbe essere per il numeratore e cioè il numero di pazienti ricoverati in quell’area.
Secondo il sito dell’AGENAS quell’area corrisponderebbe ai reparti di Medicina Interna, Malattie Infettive e Pneumologia. Domanda: e le Geriatrie e i posti letto di Medicina d’urgenza? La Regione Marche ha deciso ad esempio di togliere dal numero dei ricoverati in area medica non critica i pazienti in Pronto Soccorso che poi sarebbero quelli a regola ricoverati (almeno in parte) in Medicina d’Urgenza. Non mi pare logico e anzi il numero dei pazienti ricoverati in Medicina d’urgenza meriterebbe un indicatore a sé e comunque dovrebbe rientrare al numeratore dell’indicatore sulla saturazione di posti letto di area non critica come i posti letto di Medicina d’Urgenza dovrebbero rientrare nel corrispondente denominatore.
L’impressione è che ai 21 indicatori si pensi solo come componenti dell’algoritmo (che peraltro un algoritmo non è) che porta alla attribuzione delle Regioni ad una delle tre zone di rischio. In un mondo normale il loro utilizzo andrebbe prima mirato a comprendere l’evoluzione della pandemia in rapporto alle misure organizzative adottate. Migliorare i 21 indicatori, rendendone più chiara ed omogenea la rilevazione e favorendone la trasparenza a livello locale, non serve solo adesso, ma servirà anche di più dopo. Chiedere semplicemente una loro semplificazione e riduzione è un brutto segnale.
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on