toggle menu
QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lettere al Direttore

Tutti i rischi del tampone dal medico di medicina generale

di Giuseppe Belleri
6 novembre - Gentile direttore,
dopo il recente provvedimento che obbliga i medici di medicina generale ad eseguire i tamponi antigenici rapidi nei propri studi si è animato il dibattito pubblico. Il provvedimento propone due rilevanti e delicate questioni, attinenti all’efficacia dei test e alla sicurezza dei medici che saranno chiamati ad seguirli.

Come ha osservato il Prof. Crisanti i tamponi antigenici scontano il limite di una sensibilità non ottimale, nel senso che un 30% dei soggetti pur negativi al test potrebbe essere portatore del Covid-19 con intuibili rischi per coloro con cui dovessero venire a contatto. Per questa ragione i test antigenici sono ritenuti più affidabili per interventi di screening in asintomatici che non per la diagnosi in soggetti sintomatici, come indica l'ACN all'art. 4, comma 6.

Per mesi alcune strutture poliambulatoriali e distrettuali sul territorio sono rimaste chiuse al pubblico. Per metterle in sicurezza dal punto di vista del rischio infettivo sono necessari alcuni requisiti, oltre naturalmente ad idonei DPI individuali per gli operatori sanitari addetti: distinti percorsi organizzativi tra pazienti Covid e non Covid, come negli ospedali, entrata separata dall'uscita, aree filtro per la vestizione/svestizione del personale sanitario e per lo smaltimento dei DPI usati in appositi contenitori, sanificazione dei locali adibiti ad attività diagnostiche dopo l'utilizzo etc... Due sono le circostanze in cui è più elevato il rischio di contagio:
- durante la manovra di esecuzione del tampone naso-faringeo, sia per il venire meno del distanziamento dal paziente sia per la possibilità di essere investiti dalle secrezioni a seguito di colpi di tosse e starnuti,
- ma ancor di più durante la svetizione, quando l'operatore sanitario si può auto-contaminare venendo in contatto con i propri DPI "infetti".

Senza adeguate misure il rischio è quello di "contagiare" la struttura, come è accaduto con i PS in primavera, e di mettere a repentaglio la salute degli operatori. Per prevenire queste eventualità i tamponi non vengono eseguiti nei laboratori analisi ma all’aperto nei cosiddetti Car-covid. Il motivo è intuitivo: in carenza di adeguate misure di sicurezza, rispetto agli standard logistici sopra accennati, l’esecuzione del tampone in auto evita l’accesso dei pazienti a strutture inidonei ed affollamenti. Tuttavia anche in queste particolari circostanze un numero significativo di infermieri dei Car-Covid, pur bardati di tutto punto, è stato contagiato.
 
Come afferma il Rapporto ISS COVID-19, n. 2/2020 sulla sicurezza i “DPI devono essere considerati come una misura efficace per la protezione dell’operatore sanitario solo se inseriti all’interno di un più ampio insieme d’interventi che comprenda controlli amministrativi e procedurali, ambientali, organizzativi e tecnici nel contesto assistenziale sanitario. Pertanto, in situazione di ridotta disponibilità di risorse, i DPI disponibili dovrebbero essere utilizzati secondo un criterio di priorità per gli operatori a più elevato rischio professionale che svolgano procedure in grado di generare aerosol e che operino in un contesto di elevata intensità assistenziale e prolungata esposizione al rischio. In questo scenario, risulta di particolare importanza l’implementazione nelle strutture sanitarie di tutti icontrolli di tipo amministrativo-organizzativi, tecnici e ambientali in ambito di infection control”.

Ebbene, nonostante queste raccomandazioni secondo il recente accordo nazionale i tamponi dovrebbero essere eseguiti negli studi dei MMG, generalmente molto più a rischio e del tutto inadeguati dal punto di vista logistico, per non parlare della loro collocazione in affollati condomini con grande via vai di gente.
 
La probabilità del contagio può essere ridotta solo eseguendo i tamponi con le stesse protezioni personali garantite agli operatori dei Car-Covid (tuta, occhiali, visiera, idonea mascherina, doppio paio di guanti etc..) e soprattutto nelle stesse condizioni ambientali e strutturali (accesso del paziente in automobile, area filtro per la vestizione/svestizione, adeguatamente ventilata e dotazione di appositi contenitori per lo smaltimanto dei DPI utilizzati etc..). Solo a queste condizioni si può evitare che gli ambienti e i medici vengano contagiati, come è accaduto a decine di colleghi durante la prima ondata epidemica.


I medici di famiglia hanno garantito la gestione delle situazioni acute "a mani nude" facendo fronte ad una crescente domanda di prestazioni, mentre venivano annullati ricoveri, visite specialistiche ed accertamenti diagnostici già programmati per lo spostamento dei medici ospedelieri nei reparti Covid, anche da giugno fino a settembre quando il coronavirus era in letargo, ma non era possibile accedere a nuove prestazioni.

Si sente dire che la medicina del territorio è impreparata a fronteggiare la pandemia, ma non è certo per volontà dei medici che l'ACN non viene rinnovato dal lontano 2009, risalente quindi all' era pre-internet. Per seguire i malati a domicilio i medici di famiglia dovrebbero distogliere tempo ed energia indirizzate alle cure di tutti gli assistiti con problematiche croniche ed acute, che peraltro lamentano l’impossibilità di accedere alle prestazioni ospedaliere se non per problemi urgenti.

Sempre da una decina di anni si attende in Lombardia l’applicazione della Riforma Balduzzi, che doveva incentivare le aggregazioni dei medici di MG o AFT e le unità complesse multiprofessionali del territoriale. Par di più in Lombardia è stata smantellata all’inizio del secolo la rete dei distretti sanitari, in nome della concorrenza tra aziende e gestori sul mercato sanitario, che invece potevano costituire assieme alle AFT un valido supporto organizzativo per far fronte alla pandemia sul territorio. Oggi di questo vuoto organizzativo stiamo pagando tutti le conseguenze.

Infine la terapia e la gestione domiciliare dei pazienti Covid-19 da marzo è garantita dalle USCA, appositamente create, dotate dei DPI e formate per questi compiti, compresi i tamponi a domicilio; il MMG fino a poche settimane fa aveva il preciso mandato di evitare i contatti con i pazienti sospetti o affetti, onde evitare ciò che è accaduto in primavera quando quasi un centinaio di colleghi sono stati contagiati e non sono più tra noi.
 
Dott. Giuseppe Belleri
Medico di medicina generale, Brescia
6 novembre 2020
© QS Edizioni - Riproduzione riservata