5 ottobre -
Gentile direttore,
molti medici sperimentano ogni giorno l’estraneazione e lo smarrimento professionale verso una crisi della Medicina che è l’espressione di una evidente crisi complessiva sociale e culturale in ogni ambito.
Frequentemente si sente da più parti l’esigenza di rimettere al centro la persona malata e non la malattia ma, a parte il fatto che al centro andrebbe rimesso il malato con il suo medico, quelle sono solo parole vuote finché non saranno seguite da una concreta proposta di un’azione riformatrice.
Non potranno essere gli amministratori della sanità, gli epidemiologi, gli igienisti pur con i loro importantissimi ruoli e con le loro insostituibili competenze ad occuparsi di ridefinire il paradigma della Medicina ma soprattutto i filosofi della scienza con i clinici che si confrontano giornalmente con i malati nel tentativo di guarirli o almeno di curarli.
Avevamo bisogno di un testo che ci chiarisse le idee sulle nostre considerazioni e ci desse l’orientamento per strutturarle meglio e per sostenerle con più efficacia.
L’ultima fatica del prof Cavicchi “
L’evidenza scientifica in medicina” - l’uso pragmatico della verità - rappresenta un caposaldo che ci viene in aiuto.
E’ un libro che fa riflettere e mi auguro che anche gli studenti in Medicina e i neolaureati siano interessati a leggerlo perché, interpretando i tempi di una crisi sperimentata e sofferta da molti medici, ma non ancora chiaramente percepita ed ammessa da tutti, propone soluzioni coraggiose che potrebbero favorire la riscrittura di un nuovo paradigma.
Inizia con l’affrontare il concetto di evidenza in Medicina ( un segno più che un sintomo) che viene fatto coincidere con la nascita dell’Ebm, ma che in realtà risale a Platone e Aristotele e via via arriva a Cartesio ed al barocco.
Rivela le analogie fra le evidenze barocche dove si trasferiscono le proprietà della matematica e della geometria alla filosofia e successivamente anche al paradigma in Medicina dove si consoliderà fino al neopositivismo e la nostra attualità.
Stimolante la sua segnalazione che quello che accade oggi è un processo analogo a quello del periodo barocco ma al posto della matematica troviamo l’epidemiologia e la statistica e grazie alla matematica e alla filosofia meccanicista le evidenze oggi sono espresse in algoritmi.
Ma la scienza ci ha indotto, con le conoscenze successive, a prendere le distanze da quelle certezze ; dunque la storia dovrebbe insegnarci a riflettere.
La garanzia di una verità assoluta che asseriva la filosofia cartesiana di allora è simile a quello che l’Ebm pretenderebbe di imporre oggi con implicazioni economiche vantaggiose ma che non sono più accettabili in una attualità in cui urge una revisione radicale del paradigma di conoscenza e di azione nella Medicina.
Ci siamo sempre chiesti se il paradigma ipotetico deduttivo ( quello dell’Ebm) dal positivismo ad oggi, sempre imperante in Medicina e con le sue implicazioni pratiche, sia ancora valido. Ammesso che lo sia mai stato.
E’ quello che ci garantisce il miglior metodo per la cura dei nostri pazienti?
Abbiamo ben chiaro dove questo metodo sta avviando la Medicina?
Che il medico stia rischiando di diventare una “trivial machine”( usando la definizione cara al professore) è percepito da molti ma l’insoddisfazione per la professione e la rabbia serpeggiano fra quasi tutti.
Rinunciare alla evidenze sarebbe inopportuno, ma bisognerebbe utilizzarle bene e non come verità affidabilissime su cui basare l’agire medico perché comunque il caso clinico presenta sempre gradi di incertezza e di variabilità che i medici devono saper considerare per cercare di sbagliare meno o se impossibile di sbagliare bene ( senza danneggiare il malato).
Aggiungerei che il metodo dell’Ebm si è imposto con una tale autoreferenziale incontestabilità che potrebbe essere ascritto alle ideologie secondo la demarcazione popperiana fra scienza e pseudoscienza.
Effettivamente di fronte alla singolarità di ciascun paziente l’Ebm evapora quando non si riduce a far entrare a tutti i costi il caso nelle evidenze a disposizione esponendo il medico a rischi.
Si può considerare ciò che propone il professor Cavicchi ,ossia un metodo pragmatico deduttivo, la quadratura del cerchio , un riequilibrare le evidenze con quello che non è “evidenziabile”: le peculiarità del malato, il suo soggettivo, il suo contesto(lavorativo, sociale,, sanitario …) perché mentre per la medicina positivista ciò che crede il medico è conoscenza solo se è scientifica e garantita dalle evidenze( in un’unica modalità), per la medicina pragmatica la conoscenza è scientifica in molti modi garantiti da diverse forme di plausibilità (cioè scientifica in modalità diverse).
Spesso noi medici sperimentiamo che da evidenze vere derivano conclusioni false e a volte da evidenze false emergono conclusioni vere, dunque il medico pragmatico non dovrà stancarsi mai di cercare, di provare e di ipotizzare per giungere ad una autentica spiegazione dei fatti( e non degli artefatti).
Un esempio attuale è quello che ci sta insegnando il COVID 19 sopraggiunto nel nostro Paese quando il testo del professor Cavicchi era già edito; è stata una malattia nuova senza evidenze, che si può esprimere in tanti modi in relazione soprattutto alla individualità del soggetto, verso cui ancora molte domande rimangono senza risposte.
In questo caso i medici pragmatici senza evidenze a disposizione formulando le proprie ipotesi , mettendole alla prova della falsificabilità hanno aderito o meno alle regole a seconda del caso come si fa in trincea.
E’ vero che di fronte ad un malato apparentemente senza logica , una logica emergerà sempre e questo la medicina pragmatica lo riconosce.
Essa tenta di ricondurre a se stessa ciò che nella malattia sembra illogico o perché sconosciuto, o perché strano, difforme, inconsueto singolare riflessioni quanto mai attinenti al COVID 19.
Il malato singolare ( ma lo siamo tutti!) ha una sua logica non esplicita che non può essere ricondotta ad una procedura secca , anzi il medico dovrebbe indagare le logiche che sottendono le sue singolarità per individuare le terapie.
Tutte le logiche potranno essere utili per spiegare un problema sia quelle relative alla malattia che quelle relative al malato.
Purtroppo oggi la logica nella medicina è sostituita dai protocolli , dalle linee guida ,dalle procedure che se bene usate garantiscono anche un sapere comune e di base ai fruitori ma stanno favorendo e concedendo agli operatori sanitari una pigrizia intellettiva e una rinuncia alla logica. Forse anche per motivi medico legali.
Come si fa a non sostenere con il professor Cavicchi che la strada per ripensare il paradigma della Medicina più adeguato all’attualità non sia quella che percorre il medico pragmatico?
Un medico pragmatico che sia ben formato scientificamente, che sappia usare le evidenze ma capace di andare oltre nel rispetto e nella considerazione delle peculiarità del paziente.
Un medico che saprà impostare con il malato una relazione, strumento di ulteriore conoscenza, (mentre l’algoritmo che va bene per le cose semplici ma non per gli esseri complessi, è la sintesi della sua rappresentazione artificiale)e che saprà utilizzare tutti gli strumenti a disposizione in piena autonomia e responsabilità.
L’edizione del 1977 del trattato di Patologia Medica del Teodori riportava nella descrizione dell’eziologia di molte patologie anche la lettura psicosomatica.
Questo ha favorito gli studenti all’apertura investigativa verso altri approcci , l’attitudine a non accontentarci di quello che sembra scontato.
Purtroppo non ho mai sentito da un tirocinante nei nostri poliambulatori considerazioni metodologiche e desiderio di conoscere altro dalle “sicure “ linee guida ma solo richieste di conferme su terapie o interpretazioni diagnostiche;peccato.
D’altra parte se le offerte terapeutiche sono calibrate sulla malattia e non sul malato nella sua complessità non c’è da stupirsi.
Ho piacere di concludere con quattro semplici aforismi del professor Cavicchi che ringrazio moltissimo nella speranza che le sue idee e le sue sollecitazioni siano un grimaldello per il cambiamento di cui sentiamo tanto bisogno.
- Un medico che non sceglie cosa è meglio per il suo malato non è un medico
- Un malato che sia ridotto o ad un’evidenza o ad un algoritmo non è un malato
- Se non c’è un malato non può esserci un medico
- Se una società non ha un vero medico sono cavoli suoi
Maria Luisa Agneni
Pneumologa ambulatoriale ASL Roma1
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